Un’altra patria

Massimiliano Fortuna

Marco Labbate, Un’altra patria. L’obiezione di coscienza nell’Italia repubblicana, Pacini, Ospedaletto (Pisa) 2020, pp. 300, € 20,00

Un’altra patria

Questo libro era atteso. Si sapeva che Marco Labbate, storico dell’Università di Urbino, da qualche tempo era impegnato a scriverlo rielaborando la sua tesi di dottorato sulla storia dell’obiezione di coscienza, discussa nel 2016 presso la medesima sede universitaria. Un lavoro che negli anni precedenti lo aveva portato in giro per mezza Italia a spulciare le carte di non pochi archivi, in cerca di tracce che lo aiutassero a ricostruire un quadro il più completo possibile delle molte vicende che si snodano attorno all’obiezione di coscienza.

Era passato anche da noi al Centro Studi Sereno Regis, che sul tema conserva documenti importanti, e non era stato difficile accorgersi subito della ricchezza della sua preparazione e della serietà del suo impegno. Ecco perché ora non sorprende che il risultato di tutto quel lavoro si condensi in un libro di valore.

La questione della pace nell’Italia postunitaria – e delle sue numerose implicazioni sociali e politiche – non si può dire sia un argomento che abbia sinora goduto di troppa attenzione da parte degli storici, finendo inevitabilmente per diventare più terreno di testimonianza e militanza che di analisi critica, premessa in fondo indispensabile di ogni seria militanza. Questo lavoro di Labbate si segnala dunque per essere uno dei non molti saggi che vanno in questa direzione e contribuisce a colmare un po’ questa carenza storiografica.

Finora l’unico libro che si era proposto di ricostruire per intero le vicende dell’obiezione di coscienza al servizio militare nell’Italia repubblicana era stato quello di Sergio Albesano (Storia dell’obiezione di coscienza in Italia, Santi Quaranta, 1993), studio che su questo tema ha avuto il grande merito di essere pionieristico ma, a distanza di quasi trent’anni dal suo apparire, andava integrato e ampliato con nuove ricerche.

Obiettivo che mi pare Marco Labbate abbia felicemente conseguito, guidandoci, con l’ausilio di un gran numero di fonti (cartacee ma non solo), a ripercorrere il dedalo di fili storici che si dipanano dal racconto dell’obiezione e aiutandoci a rintracciare i nessi che legano queste vicende alla complessiva storia italiana della seconda metà del Novecento. Incombere della minaccia atomica, fermenti di rinnovamento della Chiesa cattolica, protesta giovanile, questi e altri temi si agitano infatti sullo sfondo delle lotte messe in atto dagli obiettori di coscienza, è difficile provare a raccontare queste ultime senza situarle entro il contesto politico sociale nel quale sono sorte e del quale furono parte viva.

L’arco temporale del libro copre un venticinquennio, dalla seconda metà degli anni Quaranta al 1972 (anno in cui vede la luce una legge che per la prima volta concede agli obiettori la possibilità di un servizio civile alternativo a quello militare), durante il quale la traiettoria dell’obiezione è letta come momento di un più ampio processo di lotte per i diritti civili, che contribuì a conferire maggior sostanza democratica alla repubblica sorta dalle ceneri della dittatura fascista.

All’interno di questo processo, quella dell’obiezione sembra caratterizzarsi come una vicenda segnata da una polarità: da un lato, per lungo tempo, una storia di pochi, situata ai margini del dibattito politico dell’Italia di quegli anni, dall’altro un’idea che ha saputo disseminare tracce di sé un po’ ovunque, capaci di emergere all’improvviso, come un fiume carsico, magari anche dove meno ce lo aspetteremmo, ad esempio in un vecchio film del grande Totò.


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