Geopolitica da “gangster” e i piani di annessione israeliani | Jan Oberg

Il piano israeliano per annettersi parti dei territori cisgiordani occupati mostra uno sconvolgente disprezzo per il diritto internazionale.

Questi tempi sono fra i più strani. Su questo quasi tutti concorderanno.

Sull’intero pianeta vengono fatte a brandelli vite o dalla pandemia Covid-19 o come risultato delle sue devastanti slogature sociali ed economiche. In un tale momento non sorprende che venga in mostra il meglio e il peggio dell’umanità. Eppure sembra peggio anche di questi presagi la persistenza di una geopolitica da/di gangster nelle sue varie manifestazioni.

Le sanzioni USA ancor più intense nel bel mezzo della crisi sanitaria a paesi già quanto mai afflitti come l’Iran e il Venezuela ne è un esempio lampante. Questa ostentazione del primato della geo-politica è enfatizzata dal rigetto di numerosi appelli umanitari d’alto profilo alla sospensione delle sanzioni, almeno per la durata della pandemia. Invece della sospensione e di empatia, troviamo una Washington senza orecchio musicale che spinge ancor più quasi con letizia la sua politica di  “massima pressione”, cogliendo perversamente l’opportunità d’intensificare il livello di sofferenza.  

Un altro racconto tetro è la danza macabra israeliana attorno all’illegalità devastante del giuramento d’annessione [di parti della Cisgiordania occupata], che Benjamin Netanyahu si ripromette già per luglio, avendo l’assenso del suo socio rivale di governo Benny Gantz.

Non è neppure controverso insistere che qualunque annessione di territorio palestinese occupato è una diretta violazione di norme fondamentali del diritto internazionale. Forse per questo, Israele è predisposto ad annettere senza neppure cercare di dare giustificazioni legali per superare la regola ampiamente avallata e rigidamente interpretata che non permette a uno stato sovrano di annettersi territorio straniero acquisito con la forza.   Inoltre questo caso di annessione integra un ripudio estremo del diritto umanitario internazionale come incorporato nella Quarta Convenzione di Ginevra Convention. È una mossa unilaterale d’Israele cambiare lo status della terra in Cisgiordania da quello di occupante>>occupato dal 1967 a quello della sua autorità territoriale sovrana; nonché di sprezzo per l’impegno legale di Oslo II (1995) di trasferire gradualmente la giurisdizione sull’Area C nella mappatura amministrativa post-Oslo della Cisgiordania. E per di più tale contemplate annessione sfida direttamente l’autorità dell’ONU, che considera con un sovrabbondante consenso costante delle Nazioni Unite la presenza d’Israele in Cisgiordania, Gerusalemme-est, e Gaza basata unicamente sulla forza e l’occupazione, rendendone qualunque modifica dipendente dalla previa espressione autorevole di consenso palestinese, difficile da immaginare in ogni circostanza.   Non solo l’annessione è illegale, ma ha anche il potenziale per essere regionalmente disgregante, di agitare i vicini, specialmente la Giordania, eventualmente l’Egitto, e di sfidare il persistente attaccamento europeo da zombie a una soluzione a due stati.

Quel che è passato generalmente inosservato nei vari commenti all’intento d’annessione è che non solo ignora l’auto-determinazione palestinese, ma si ‘scorda’ pure che l’ONU ha una promessa e una responsabilità inadempiute di trovare una giusta soluzione per la Palestina, ereditata dal Regno Unito che aveva amministrato il territorio fra le due guerre mondiali. Quel che perfino ai tempi della Lega [delle Nazioni] era un ‘sacro dovere fiduciario’, nell’era della geopolitica da gangster post-coloniale diventa ‘scostumato disprezzo’. 

Israele insiste che l’annessione riguarda la ‘sicurezza’

Per tutte tali ragioni non sorprende che anche i pesi massimi israeliani, fra cui gli ex-capi del Mossad e del Shin Bet, nonché di alti ufficiali in pensione stiano suonando l’allarme. Alcuni militanti sionisti sono contrari all’annessione a questo punto perché evidenzierà l’illusione che Israele sia una democrazia oltre che uno Stato del popolo Ebraico mentre montano le preoccupazioni che l’assorbimento dei palestinesi cisgiordani finisca col minacciare l’egemonia etnica ebraica. Ovviamente, nessun tale recondito dibattito israeliano/sionista obietta all’annessione in quanto viola il diritto internazionale, rigetta l’autorità ONU o dell’Unione Europea, e ignora gli inalienabili diritti palestinesi; bensì tutte le obiezioni israeliane/sioniste si basano sull’esclusivo riferimento a preoccupazioni per temuti impatti negativi sulla sicurezza d’Israele. In particolare, questi critici interni dell’impianto securitario nazionale d’Israele sono preoccupati di disturbare i vicini arabi e di alienarsi ancor più l’opinione pubblica internazionale, specialmente in Europa, e in certa misura d’indebolire la stessa solidarietà degli ebrei americani ed europei per Israele.

Anche il versante pro-annessione del dibattito politico israeliano menziona considerazioni di sicurezza, specialmente riguardo alla vallata del Giordano e alle colonie, ma molto meno. A differenza dei critici, i più ardenti proponenti dell’annessione sono pretendenti alla terra, che invocano un’investitura biblica ebraica alla Giudea e alla Samaria (note internazionalmente come Cisgiordania). Tale conferimento di diritto è rafforzato riferendosi a profonde tradizioni culturali ebraiche e a secoli di collegamenti storici fra una piccola presenza ebraica continuativa e questa terra trattata come una sacra tutela auto-creata.

Come per i critici israeliani all’annessione, così i sostenitori non sentono alcun bisogno di spiegare, o addirittura di notare, la noncuranza per le rimostranze e i diritti palestinesi. Gli annessionisti non osano esplicitare l’argomentazione che le pretese ebraiche meritino più riconoscimento che quelle nazionali concorrenti dei palestinesi, indubbiamente perché la loro causa è così debole in termini di incontestate idee giuridiche moderne nonché di etica dell’acquisizione giuridica territoriale.

Come lungo tutta la narrazione sionista, le rimostranze e aspirazioni palestinesi, e la stessa esistenza di un popolo palestinese non fa parte dell’immaginario sionista se non in quanto ostacoli politici e impedimenti demografici. Al tempo stesso, per tutto il tempo il sionismo è stato tatticamente opportunista sul disvelamento del proprio intero progetto, agendo pubblicamente invece come se quanto poteva guadagnare in una data serie di circostanze fosse tutto ciò che voleva e si aspettasse di acquisire in futuro.

Quando si consideri l’evoluzione della principale deriva sionista dal suo inizio, l’aspirazione a più lungo termine di marginalizzazione dei palestinesi in un solo stato a dominanza ebraica che comprendesse tutta quanta la “terra promessa” d’Israele non è mai stata abbandonata. In tal senso il piano di partizione ONU – benché accettato come soluzione a suo tempo – è piuttosto concepito come semplice passo verso il recupero di quanto più possibile della terra promessa. Nel corso degli ultimi 100 anni, da una prospettiva sionista, l’utopia è diventata realtà, mentre per i palestinesi la realtà è diventata distopia.

La danza macabra

Come venga trattato il preludio all’annessione da Israele e dagli USA sgomenta quanto la soggiacente cancellazione dei palestinesi, salvo eventualmente come popolazione restia, da tenersi il più frammentata e disunita possibile in modo che la loro resistenza e le loro obiezioni possano essere efficientemente silenziate.

Israele ha già privilegiato il tema dell’annessione nel governo unitario Gantz/Netanyahu con una proposta da sottoporre alla Knesset in qualunque momento dopo il 1° luglio, la cui sola pre-condizione era che confermasse i contorni dell’annessione secondo le allocazioni territoriali comprese nella famigerata proposta unilaterale “Pace verso la Prosperità” Kushner/Trump, che sembra ragionevole trattare da equivalente di un chiaro e tondo timbro d’approvazione del governo USA.  Pur senza lo svelamento del piano di pace Trump, l’approvazione USA all’annessione non è mai stata davvero in dubbio; conseguente anche all’avallo di Trump dell’annessione israeliana del territorio siriano occupato delle Alture del Golan nel marzo 2019.   Come ci si poteva aspettare, l’America di Donald Trump non crea alcun attrito, neppure sussurrando a Netanyahu di offrire almeno giustificazioni ‘legali’ o spiegare sminuendo gli effetti negativi dell’annessione sulle prospettive di pace palestinesi. Anzi, il segretario di stato Mike Pompeo ha dato il via libera all’annessione della Cisgiordania perfino prima che Israele formalizzasse la sua pretesa, dichiarando provocatoriamente che l’annessione è faccenda che spetta decidere in proprio agli israeliani (come se non contassero affatto né i palestinesi né il diritto internazionale). Ha aggiunto che gli USA avrebbero fatto pervenire privatamente la propria opinione al governo d’Israele.

Forse, è una mossa scaltra di Washington in effetti, che lascia a Israele il trattare qualunque contraccolpo regionale o ONU risultante dall’attuazione di questa controversa annessione: se ci fosse una ripulsa di qualunque effetto, sarebbe il governo israeliano a dover assumersi la responsabilità di trattare lo scalpore. In tal senso, forse l’amministrazione Trump sta imparando la lezione, cercando stavolta di evitare o almeno deflettere le reazioni rabbiose volte agli USA all’ ONU e altrove all’annuncio, nel dicembre 2017, dell’intenzione di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme.

Geopolitica da “gangster”

Sullo sfondo nebuloso, l’indifferenza all’iniziativa d’annessione pare progettata per neutralizzare l’ONU e smorzare la critica internazionale d’Israele. Ci si aspetta che l’annessione sia salutata con forte retorica di denuncia da parecchi dirigenti europei ed eventualmente dal candidato presidenziale Democratico Biden, ma non accompagnata da alcuna seria spinta per una campagna internazionale per rovesciare quest’appropriazione di terra palestinese.

In base all’esperienza passata, sembra probabile che dopo pochi giorni di trattazione mediatica le preoccupazioni si acquieteranno e il mondo passerà oltre. Anche gli stessi palestinesi, scoraggiati da anni di sterile attesa, paiono sofferenti, almeno temporaneamente, d’una combinazione di affaticamento da resistenza e vane iniziative di solidarietà.

Tale valutazione si capisce al meglio come un segno in più che i rapporti israelo-USA sono gestiti in accordo con una “geopolitica da gangster”, e senza badare minimamente al diritto internazionale o all’autorità ONU. Una tale etichetta spregiativa è intesa condannare qualunque annessione come questa che spazza via legge e moralità sgombrando a forza uno spazio politico per il furto di territorio. Seppure la geopolitica da gangster può spegnere gli ultimi residui di speranze palestinesi in un compromesso politico e una diplomazia basata su un autentico impegno all’equità e all’uguaglianza, ci sono voci di resistenza in lotta per farsi sentire. Io sottolineo il mio dissenso all’annessione descrivendo tale reazione critica come ‘geopolitica gangsta’ in analogia al ‘gangsta rap’ della cultura pop che reagisce dalle strade del mondo per conto di chi soffre di tattiche poliziesche razziste. Ovviamente si tratta di una metafora, ma illumina un’incredibile modalità di comportamento ufficiale che è difficile credere sia riconosciuta nel discorso pubblico israeliano.  Per prima cosa, c’è la natura provocatoria della pretesa d’annessione israeliana. In secondo luogo, c’è la singola qualifica che Israele deve ottenere un timbro d’approvazione geo-politica dal governo USA prima di procedere all’annessione. Terzo, c’è la mossa del governo USA di rigettare la palla ad Israele dicendo che la decisione di annettere spetta ad Israele, cui peraltro verrà dato il beneficio della sua opinione privata in materia, presumibilmente sulla tattica temporale e di presentazione, senza alcuna considerazione delle questioni di principio.

C’è una melodia spettrale che accompagna questa danza macabra. Israele doma il proprio uni-lateralismo con un gesto di deferenza geopolitica, col che agisce come se l’approvazione USA importi più che un’ostentazione politica di sostegno. Gli USA non discutono la logica israeliana, ma tuttavia non vogliono accettare la responsabilità di una dimostrazione pubblica di approvazione, lasciando Israele libero di agire come desidera, pur trattenendo, almeno per ora, qualunque espressione pubblica di approvazione o meno riguardo all’annessione.

Ciò lascia trascurato lo scomodo iato fra l’accordo del governo israeliano con il suo requisito di ottenimento di approvazione USA e l’obiezione di Pompeo. Che ciò causi qualche problema coll’approssimarsi della data di luglio è inverosimile, specialmente in quanto Israele presenterà l’annessione come applicazione parziale delle proposte di Trump.

Sospetto che il messaggio privato USA sarà di discreta approvazione, che Netanyahu senza dubbio tratterà come adempimento dell’accordo con Gantz.

Quella che si staglia netta qui è l’arroganza della politica d’annessione. Non solo si gettano in disparte le regole e le procedure dell’ordine pubblico mondiale, ma si procede con il discorso interno sul trasferimento dei diritti come se la gente più colpita fosse irrilevante, una specie di “orientalismo interno”. Speriamo che noi che ricorriamo al gangsta rap per porre questi sviluppi nella prospettiva che meritano, sappiamo fare di più quando la mossa dell’annessione sia formalizzata che digrignare i denti per frustrazione osservando svolgersi questo deprecabile spettacolo.


Jan Oberg

Il prof. Jan Oberg, direttore TFF, è membro del TRANSCEND Network for Peace Development Environment


Fonte: transnational.live, 16.05.2020

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

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