Distanza sociale poca, distanza dal sociale molta. Il maggio dei senzatetto a Torino

Gigi Eusebi

Il 4 maggio scorso a Torino, in piazza d’Armi, in concomitanza con l’inizio della Fase Due in tutta Italia, il sito umanitario per l’emergenza freddo gestito dalla Croce Rossa è stato smantellato senza  preavviso. Circa cento homeless si sono trovati senza alcun riparo, in pieno lockdown da coronavirus. Nelle settimane seguenti hanno continuato a stazionare nella zona, nonostante molti abbiano perso tutti i loro precari averi dopo il passaggio dell’AMIAT, che cinicamente ha distrutto e smaltito tende, zaini, oggetti personali, talvolta documenti. Tra gli sfollati alcune persone disabili, o ammalate, dipendenti da alcool e droghe, un paio di settantenni, che hanno continuato a dormire senza protezioni nei dintorni del campo, sull’erba bagnata dalle forti piogge di quel periodo

Occupaziò, occupaziò!

Il giorno seguente 50 persone si sono accampate nell’aulica piazza davanti al Municipio. Volontari, centri sociali e varie associazioni solidali hanno cercato di gestire il problema, portando tende, coperte, indumenti, scarpe, cibo, prodotti per l’igiene personale. Per 9 giorni, nonostante ripetute richieste, non è stato possibile usufruire di un bagno pubblico, in quel periodo bar e ristoranti erano  chiusi. Molti degli accampati soffrivano (soffrono) di disturbi psichici e/o fisici, alcuni provenivano da percorsi difficili, borderline si direbbe, e a parte una veloce passata di alcuni assistenti sociali che si sono fatti carico di una coppia con figlia disabile, nessun operatore sociale o sanitario è stato messo a disposizione dalle istituzioni durante l’intero presidio. Volontariamente, infermieri, educatori, psicoterapeuti, l’avvocato del Legal Team Gianluca Vitale hanno convissuto con la piazza, sostenendo in tutti i modi le persone, facendo pressioni continue sugli enti pubblici, monitorando la situazione. La maggior parte dei commercianti della zona di piazza Palazzo di Città si è dimostrata tollerante e solidale. Avendo condiviso con i senzatetto molte ore in quei giorni, spesso di notte, è stato toccante testimoniare scene come quella del tabaccaio che “usciva” una ciabatta elettrica dal negozio per permettere di ricaricare i cellulari, o del marocchino panettiere che forniva gratuitamente pane e caricabatterie a chi ne avesse bisogno, o del supermercato vicino, che prima della chiusura donava cibi invenduti alla piazza.

Dopo alcuni giorni, grazie al pressing mediatico, si sono occupati dell’emergenza i media locali e nazionali, forzando il Comune, che fino a quel momento aveva ignorato il problema, così come polizia e vigili, ad intervenire. Il 12 maggio, con un blitz all’alba, dopo otto giorni di protesta pacifica a tratti estenuante, le 50 persone sono state trasferite presso il Padiglione V di Torino Esposizioni, con la promessa di offrire a tutti un luogo accogliente, pulito, sicuro, dotato di servizi igienici. Un hangar sotterraneo abbandonato da oltre un anno, tre bagni fatiscenti, di cui uno allagato, senza docce, polvere e sporcizia ovunque, nessuna sanificazione.

In compenso, la presenza intimidatoria di centinaia di poliziotti, che hanno chiuso l’area prossima del parco Valentino in stile Genova G8 2001 o cantieri TAV in Val di Susa. Si trattava di un hub temporaneo, hanno dichiarato a posteriori le istituzioni con un certo imbarazzo, per poter effettuare  i tamponi, i controlli documentali, procedere con l’inserimento dei senzatetto in dormitori, nei progetti di accoglienza per migranti SIPROIMI (Sistema di Protezione per Titolari di Protezione Internazionale e per Minori Stranieri Non Accompagnati) o CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) e, nel caso di un nigeriano, in un CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio, l’anticamera detentiva dell’espulsione dal paese). Nessuno è risultato positivo al tampone Covid-19 e al nono giorno è avvenuto il trasferimento in strutture più idonee all’accoglienza: le donne, i cittadini italiani e dopo l’identificazione in questura anche i migranti regolari. Il gruppo è stato smembrato, tende e coperte, spesso in ottime condizioni e donate da volontari, nuovamente rimosse e buttate, per non creare rischi di altri accampamenti in città.

Le Politiche Sociali per gli “invisibili”

La Vicesindaca Sonia Schellino, verso la quale nei giorni più tesi sono state presentate  mozioni di sfiducia con richiesta di ritiro della delega alle Politiche Sociali, ha partecipato in quella settimana a due sedute consiliari pubbliche online: nella prima si è disconnessa dopo qualche minuto, nella seconda non ha fornito risposte. Nessuna informazione relativa ai tamponi, nessuna soluzione proposta per coloro che eventualmente fossero risultati positivi, nessun programma di azione condiviso con le associazioni di volontariato e, rispetto alle proposte presentate da alcune Circoscrizioni che offrivano ospitalità ai senzatetto, nessuna è stata accettata, con la giustificazione di dover garantire il distanziamento sociale (o dal sociale…?). Il centro per l’emergenza freddo durante l’inverno era formato da unità container prefabbricate di 2x3m dove pernottavano quattro persone. Il termometro per misurare la febbre si è rotto quasi subito, le prime mascherine sono arrivate a fine marzo, nessuno degli ospiti è stato sottoposto al tampone.
Dimostrando… padronanza della materia la Vicesindaca ha affermato in varie interviste di non sapere che a Torino ci fossero così tante persone senzatetto e che ciò era dovuto al fatto che con l’esplosione dell’emergenza molti erano rimasti senza lavoro e/o casa e avevano finito per “precipitare” in strada. Quasi nessuno del gruppo di Piazza d’Armi corrisponde a questo profilo, che riguarda invece centinaia di persone sparse in città, così come va considerato chi è restio a tornare in dormitori dove ha già subito furti o violenze. Altra dichiarazione – smentita da volontari che agivano quotidianamente sul posto (a volte pernottandovi) e che avevano già listato i dati anagrafici di ciascuno – è stata che molti tra coloro che occupavano la piazza provenissero da altre regioni.

La Schellino, sostenuta dalla Sindaca Chiara Appendino, ha inoltre definito la protesta “pretestuosa”, per la presenza di infiltrati provenienti da settori dell’antagonismo locale e nazionale e che sarebbe stato più facile risolvere la situazione se non fosse stato montato quel circo, cioè un sit-in sotto il Comune. Se il “circo” non ci fosse stato nessuno avrebbe preso in considerazione la gravità ed urgenza di quella emergenza al quadrato (emergenza nell’emergenza), le istituzioni avrebbero ignorato il problema come avviene quasi sempre. Non a caso i senza fissa dimora sono definiti “gli invisibili”.

 L’approccio degli Assessorati competenti è stato contraddistinto da esternazioni di … estrema professionalità, giunte oltretutto dopo quasi una settimana dall’insorgere del problema: “Potete andare a mangiare alle mense pubbliche”, “Abbiamo censito una dozzina di persone in regola, per loro troveremo soluzioni, e in tutto ci sono meno di venti casi” e via sentenziando. Sarebbe bastato fare una passeggiata serale per le vie di centro e periferia per verificare che il numero di senzatetto negli ultimi mesi (con diversi stranieri comunitari, qualcuno extra UE ma moltissimi italiani nuovi poveri, del prima, durante, post emergenza Covid19), era aumentato al punto da non avere più nemmeno accesso ai cestini da asporto delle mense caritatevoli di area cattolica: Sermig, Gruppo Abele, circuito delle associazioni/coop/centri sociali. Inoltre, chi è domiciliato a Torino ma sprovvisto di residenza non ha diritto agli aiuti alimentari gestiti dal Comune. Per farsi un’idea di come funzioni basta recarsi all’anagrafe a chiedere quale sia la normativa per i senza fissa dimora. Le risposte rivelano come la gestione dei servizi sia, per usare un francesismo, “dans la merde”…

Piazza d’Armi… in armi

In Piazza d’Armi, dopo la rimozione del centro umanitario, per settimane sono rimaste decine di persone accampate nei dintorni: italiani, anziani, invalidi, migranti regolari e irregolari. Tende, coperte, cibo, sono stati portati – come al presidio in piazza Palazzo di Città – da cittadini solidali, spesso incazzati. Alle persone anziane o disabili è stata fornita una tenda più confortevole.

Le forze dell’ordine? Poche idee, ben confuse: i Carabinieri ogni giorno dicevano ai senzatetto che avrebbero potuto rimanere ma spostando la tenda più in là, in quanto troppo vistosa; la Polizia Municipale il 12 maggio ha intimato a tutti di trasferirsi entro il pomeriggio al Padiglione V di Torino Esposizioni, per pernottare ed effettuare il tampone. Una volta raggiunto l’hangar la Polizia di Stato non li ha fatti entrare, visto che a quel punto sarebbe stato inutile il test con esito negativo fatto nella stessa mattinata a tutte le altre persone trasferite lì da piazza Palazzo di Città. Nella stessa giornata erano state abbattute nove baracche del campo rom di via Germagnano, ritenendo che i pochissimi presenti, principalmente rumeni, sarebbero stati sottoposti al tampone, ma nessuno è poi transitato per Torino Esposizioni. Alcune famiglie di volontari hanno ospitato a casa loro per qualche giorno le persone più vulnerabili. Il 15 maggio è stata proposta agli italiani rimasti in piazza d’Armi, nessuno dei quali sottoposto al tampone, l’accoglienza presso il dormitorio Carrera, sanificato dopo un contagio di massa che aveva coinvolto tutti i 40 senza fissa dimora che lì avevano pernottato nei giorni precedenti. Di fronte a proposte di quelle (Padrino docet) “che non si possono rifiutare…” diversi senzatetto sono ritornati in strada, in una città tra le più colpite in Italia nel periodo di picco dei contagi e che si stima conteggi circa 60 mila case vuote, oltre a strutture utilizzabili come hotel della cintura, edifici e caserme inattive. Alla spicciolata, nei giorni seguenti, sono iniziati gli inserimenti di alcuni senzatetto in strutture di accoglienza convenzionate.

È stata così confermata la tradizionale competitiva rivalità (al ribasso Ndr) tra Milano e Torino, in questo caso per la qualità ed efficacia della gestione dell’emergenza sanitaria e sociale da parte dell’ente pubblico…

Lotta alla povertà, non contro i poveri

Questa vicenda ha portato per la prima volta alla ribalta mediatica in modo eclatante i senza fissa dimora, aiutati da decine di persone e associazioni, non solo del cosiddetto terzo settore. Realtà su posizioni ideologiche non sempre simili, accomunate in questo caso da un obiettivo comune. A volte l’indignazione popolare e l’impegno civile possono essere trasversali a ideologie, politica, religione. La questione è arrivata in Parlamento, con un’interrogazione presentata da LeU. Gli appelli sottoscritti da decine di gruppi della società civile hanno spinto le istituzioni ad attivarsi, lentamente e in modo quasi forzato, più per far sparire un presidio che aveva sembianze da girone dantesco che per attenuare il problema. Secondo la Vicesindaca invece associazioni e gruppi solidali presenti in piazza hanno ostacolato l’intervento municipale …

I giornali, il Comune e il sito del Ministero dell’Interno hanno annunciato successivamente lo “scoop”: a Torino era stata “trovata accoglienza per le persone senza fissa dimora”. Per quanto riguarda il centinaio di Piazza d’Armi, sottraendo i 50 inizialmente confluiti davanti al Comune rimangono 50 persone (solo di quel gruppo), che solo a fine maggio hanno iniziato ad essere ricollocate. Più i “tradizionali” senzatetto distribuiti tra le vie del centro e i quartieri periferici, mappati negli ultimi mesi dal terzo settore, che ne avrebbe conteggiati 230. Se lo sanno associazioni e volontari dovrebbe saperlo anche il Comune. E quante sono le altre persone doppiamente invisibili “imboscate” nelle fabbriche o caserme abbandonate, nei parchi, nelle case occupate?

Le principali testate giornalistiche, dopo un iniziale sussulto di informazione non embedded, sono tornate all’ovile, in una partenza anticipata di campagne elettorali perenni, tipico (mal)costume italico. La storia la scrivono quasi sempre i vincitori, basta un parziale lieto fine per dispensare valori positivi anche a vicende vergognose, come in questo caso. Temi di tale complessità non si risolvono a colpi di bacchetta magica, oltre alla competenza, esperienza, disponibilità a collaborare con le realtà di base, ci vorrebbe qualcosa di simile alla “com-passione”, specie verso gli invisibili, in un paese che si considera civilizzato. Diffidare di chi parla con arroganza ma senza conoscenze (amministratori, consiglieri, parlamentari, salvo rari casi non sono venuti ad incontrare ed ascoltare le persone in piazza), di chi specula per interessi politici sui drammi sociali, di chi non ha dati reali, idee, o almeno disponibilità nel cooperare con il volontariato su programmi strutturali. La “strategia della tensione” (opsss, gestione…) delle istituzioni dell’emergenza è stata quella di non perderci la faccia, di rendere invisibile questa tragedia, arrivando al punto di provare a nasconderla … sotto terra (l’hangar di To Esposizioni). L’esito finale per la parte “regolare” dei senza fissa dimora è stato migliorativo, come auspicato da uno degli striscioni affissi davanti al Comune “salute, cibo, casa, lavoro, dignità per tutte/i”.

“Resist to exist”, come lo storico slogan della resistenza palestinese, che nello stesso giorno della parziale riduzione del problema per una parte degli ex-senzatetto di piazza d’Armi, ha commemorato i 72 anni dalla Nakba (la catastrofe, l’occupazione israeliana)


(Grazie a Stefano C. e Stefano S. per informazioni e immagini, a Stefano C, Daniele, Enrico, ai 60 volontari di “Gusto del Mondo” con cui abbiamo condiviso per mesi l’attività di filiera solidale, con donazioni di cibo e soldi da mercati ed associazioni, cucina comunitaria, distribuzione di 150 pasti serali ai senzatetto della città)


Immagini…


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