Carola Rackete & Claire Wordley: Ora la Biodiversità!

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  • Un International Green New Deal dovrebbe proteggere la natura, aiutare a evitare il peggioramento della crisi climatica, sottolineare l’urgenza di una crisi sottovalutata, quella della biodiversità, e estendere le politiche di tutela oltre i confini europei.
  • Dobbiamo preservare i sistemi naturali formulando accordi commerciali che “in alcun modo permettano tragedie ambientali e violazioni dei diritti dei lavoratori”, e utilizzando fonti di energia a basso impatto ambientale.
  • L’attuazione delle cosiddette nature-based solutions (come prestare supporto e assistenza ai produttori agricoli nel processo di transizione verso modelli a basso apporto di pesticidi) deve essere accompagnata da cambiamenti culturali, come una riduzione generale dei consumi.
  • Alla base di tutto questo deve esserci uno quadro politico finalizzato a migliorare il benessere di tutti e a rimodellare il nostro sistema, così che l’incessabile e smisurata crescita economica non sia la priorità.

Gli ecosistemi sono in crisi. La nostra sopravvivenza è a rischio.

Carola Rackete e la dott.ssa Claire Wordley esplorano le dimensioni della crisi europea della biodiversità e in che modo il Green New Deal può affrontarle.


Nel nostro immaginario il mondo è “pieno di vita”

Un mondo dove la lince si nasconde tra i fitti alberi della foresta e i bambini inseguono il ronzio delle cavallette nei prati, dove il bisonte muggisce e scava nella neve, e i ciclisti si riposano per guardare gli uccellini librarsi nel cielo azzurro. Un mondo in cui le persone capiscono quanto fondamentali siano tutti gli esseri viventi per un ecosistema florido e rigoglioso, dal lupo all’avvoltoio. Un mondo autoalimentato dal sole e dal vento, in cui gli agricoltori sono pagati per l’importante ruolo che ricoprono, quello di saggi custodi della terra, e in cui le comunità hanno tutto il supporto di cui necessitano per poter conservare l’equilibrio di foreste e paludi. Un mondo in cui la bellezza dei paesi ricchi non è costruita sulla devastazione di quelli poveri. Vogliamo un Green New Deal internazionale, che migliori il benessere di tanti, impedendo una crisi climatica e ambientale.

 La crisi della biodiversità – il declino del numero di specie animali e vegetali, e i danni ai sistemi naturali in generale – è reale e pericoloso, ma riceve circa un ottavo dell’attenzione mediatica dedicata alla crisi relativa al cambiamento climatico. Non è qualcosa di insignificante, anzi. La distruzione dei sistemi naturali rischia di compromettere anche le società umane. Quando gli ecosistemi sono indeboliti, assistiamo a un drammatico aumento delle catastrofi naturali, come alluvioni, carestie, frane e incendi. Non è possibile vivere su un pianeta che non è più in grado di far circolare naturalmente l’acqua, produrre  ossigeno e assorbire anidride carbonica, impollinare le piante e fornire i nutrienti essenziali per un raccolto ricco e florido.

Oltre agli effetti derivanti da un cambiamento climatico iper-veloce, la natura viene ogni giorno devastata dalle deforestazioni, l’inquinamento, lo sfruttamento eccessivo delle sue risorse e dalla diffusione di specie “invasive”.  Se abbiamo veramente intenzione di “fermare l’emorragia” della natura, dobbiamo collaborare per affrontare e risolvere queste emergenze. Un International Green New Deal deve assicurare che le misure favorevoli al clima non abbiano un impatto negativo sulla natura e che, al contrario, siano volte a proteggere e preservare gli ecosistemi in Europa e nel mondo.

Nel report sulla biodiversità dello scorso anno, le Nazioni Unite hanno esposto l’urgenza di  un “cambiamento trasformativo”  per salvaguardare i sistemi naturali dai quali tutte le società umane dipendono. Un International Green New Deal deve tener conto di quanto indicato nel report e riflettere l’ampia varietà di cambiamenti essenziali, come ridurre i consumi,  prestare attenzione alle conseguenze del commercio internazionale e modificare i nostri sistemi economici, cosicché la logica della “crescita infinita” non sia in alcun modo la loro priorità.

Questo articolo è stato scritto nel pieno di un’emergenza sanitaria scatenata da un virus che, con molta probabilità, è stato trasmesso all’uomo da un animale selvatico. Deforestazione, commercio illegale di animali esotici, uso intensivo di prodotti chimici nell’agricoltura industriale, hanno tragicamente contribuito a rendere questa pandemia quasi inevitabile. Dobbiamo utilizzare questo momento al meglio e riflettere su come affrontare  la crisi multidimensionale e interconnessa che tutto il pianeta sta vivendo.

Produzione di energia

Per realizzare un progressivo e reale allontanamento dai combustibili fossili, è essenziale conoscere le forme di energia che siano veramente sostenibili. In ogni caso, la produzione energetica, anche se a bassa intensità di carbonio, ha delle conseguenze più o meno gravi sui sistemi naturali. Un International Green New Deal deve fare in modo che siano utilizzate le fonti con il minor impatto ambientale, situate là dove non siano pericolose per nessuna comunità, umana e non, e che vengano prese appropriate misure di attenuazione per evitare che i progetti di presunta energia green diventino un cimitero per gli ecosistemi.

Se collocati correttamente, pannelli solari e pale eoliche sono le migliori fonti di energia . La buona notizia è che in Europa potremmo utilizzare entrambi i generatori.  Tuttavia, almeno due terzi dell’energia “rinnovabile” europea è prodotto a partire dalla biomassa, spesso estratta dalle foreste ancestrali, patrimoni della biodiversità in Europa e in tutto il mondo. Bruciare la legna non è esattamente il miglio modo di trarre energia a zero emissioni. Anzi, non fa altro che accumulare un “debito di carbonio” che non possiamo concederci, dato che le foreste impiegano molto tempo per ricrescere. In più, la bioenergia richiede lo sfruttamento intensivo di territori molto estesi, che potrebbero invece essere utilizzati per coltivare e preservare gli ecosistemi.

La maggior parte del biodiesel acquistato dagli automobilisti europei arriva direttamente dalle piantagioni di olio di palma, mentre intere foreste torbiere, habitat naturale di orangotanghi e rinoceronti, vengono abbattute e drenate per  ricavare potenti combustibili. Questo significa che il biodiesel può essere fino a tre volte più dannoso del diesel normale. E anche i biocombustibili da alghe non sono la soluzione ottimale: necessitano di un apporto energetico notevole e spesso inquinano torrenti e fiumi nelle vicinanze.

Un International Green New Deal dovrebbe distinguere con attenzione i biocombustibili realmente green – come quelli che riciclano gli scarti industriali – da quelli che invece non lo sono affatto.  Invece di cercare modi “green” per mettere in moto macchine private, dobbiamo investire sui mezzi pubblici di trasporto  e sulle biciclette, tradizionali o elettriche. Concentrare le nostre speranze su fonti energetiche “bio” significa lasciarci accecare dal suo fumo green, mentre migliaia di foreste continuano a essere distrutte ogni giorno.

Agricoltura

Ridurre l’impatto ambientale dell’agricoltura, assicurando un approvvigionamento alimentare stabile e adeguato, è una delle maggiori sfide del Green New Deal, soprattutto in Europa. Oltre al costante ampliamento dei campi e delle strutture agricole, l’invasiva meccanizzazione e lo spopolamento delle zone rurali, l’attuale sistema della Politica Agricola Comune dell’Unione Europea ha anche incoraggiato l’ingiustificabile distruzione di habitat naturali e l’utilizzo di pesticidi.

Numerosi studi e ricerche hanno dimostrato che la popolazione e la diversità degli insetti – vitale per preservare ecosistemi sani – sono in declino proprio a causa dei pesticidi. Di conseguenza, pagare gli agricoltori in base all’estensione di “terreno coltivabile” – i.e. reso di proposito inadatto a diventare un habitat naturale – è drammatico per gli ecosistemi e imprigiona l’umanità in una immobile diseguaglianza, in cui gli imprenditori agricoli ricchi lo saranno sempre di più.

I 60 miliardi di euro che l’Europa spende ogni anno in sussidi agricoli potrebbero essere investiti per la formazione dei produttori, così da incentivare la transizione verso metodi a basso apporto di pesticidi, come la gestione integrata delle specie nocive, e per rinforzare tutte le misure volte a ridurre l’utilizzo di prodotti chimici. Allo stesso modo, programmi agroambientali adeguatamente finanziati dovrebbero assicurare che gli agricoltori introducano  innovazioni efficaci  e con base scientifica. Inoltre, è necessario iniziare a pensare all’agricoltura come qualcosa che vada al di là dell’idea tradizionale; i cittadini dovrebbero poter  coltivare il proprio cibo. Non sarebbe bellissimo avere in città parchi, giardini e cortili pieni di deliziosi frutti?

Questioni più problematiche riguardano che cosa viene coltivato e chi riesce ad attirare l’attenzione dei policymakers. Gli allevamenti hanno un enorme impatto ambientale in termini di emissioni di gas a effetto serra, consumo d’acqua, inquinamento, devastazione dei sistemi naturali (gli allevamenti richiedono porzioni di terreno maggiori rispetto alle coltivazioni di proteine vegetali, causando l’annientamento degli habitat), e salute umana (oltre ai problemi di salute relativi al consumo eccessivo di carne, allevamenti intensivi possono portare malattie trasmettibile dall’animale all’uomo, come l’influenza suina,  e alla resistenza agli antibiotici).

È necessario realizzare un cambiamento radicale nell’ambito degli allevamenti intensivi europei per garantire che questi rispettino i limiti, a livello di sfruttamento delle terre, perdita della biodiversità e molto altro ancora. La dura verità è che qualunque siano le misure adottate, la dimensione degli allevamenti industriali deve ridursi notevolmente.
Con un Green New Deal, gli allevatori che vorranno intraprendere un percorso di transizione verso la produzione di proteine vegetali, così come tutti coloro che vogliono ridurre il consumo di prodotti di origine animale, dovranno essere supportati adeguatamente. Si tratta di un’enorme sfida culturale che deve essere accuratamente esplorata.

Un Green New Deal, inoltre, deve stabilire chi siede al tavolo delle politiche agricole. È risaputo che, in Europa, le lobby più potenti hanno una notevole influenza sulle decisioni importanti; la lobby dei pesticidi ha fatto in modo che pericolosi prodotti chimici non fossero banditi, e che sovvenzioni agricole andassero a favore dei  membri della commissione europea per l’agricoltura. Tutto ciò non solo incoraggia il deterioramento degli ecosistemi, ma anche la disuguaglianza: l’80% dei sussidi è indirizzata al 20% degli imprenditori agricoli più ricchi. Limitare le attività lobbistiche degli big spender e riservare al tavolo delle politiche agricole più sedie per piccoli produttori, scienziati ambientali, organizzazioni non governative e comunità locali, sono senz’altro un buon modo per dare inizio al cambiamento.

Nature-based solutions (NBS)

Proteggere gli ecosistemi e gli ambienti naturali con un Green New Deal può essere efficace anche per affrontare le problematiche relative al clima. Le NBS – sfruttando la capacità dei sistemi naturali di assorbire anidride carbonica – potrebbero contribuire alla mitigazione del cambiamento climatico per oltre un terzo a livello globale, entro il 2030. Ovviamente, queste “soluzioni naturali” non costituiscono un’alternativa alla necessità di rinunciare ai combustibili fossili.

I castori sono indispensabili per ridurre le inondazioni improvvise e proteggere il novellame. I lupi impedisco ai cervi di mangiare intere piantagioni. Le balene forniscono un contributo essenziale al processo di assorbimento del carbonio. Gli avvoltoi si nutrono di animali morti, riducendo la diffusione delle malattie. I pipistrelli proteggono i raccolti, e gli orsi spargono semi, ripuliscono le carcasse e mantengono sotto controllo il numero di caprioli e topolini. Piante e animali sono fortemente interconnessi e tutelare la loro sopravvivenza è certamente una sfida, ma le ricompense sono incommensurabili.

Un International Green New Deal dovrebbe adoperare definizioni scientifiche di cosa può essere considerato realmente nature-based. La foresta, stando alla definizione fornita dalle Nazioni Unite, è un’area estesa per più di mezzo ettaro, con alberi alti almeno cinque metri e una copertura della volta maggiore del 10%.  In questo modo, vengono incluse anche le tree farm (n.d.r. aree della foresta in cui vengono piantati alberi a scopi commerciali), terribile minaccia per la tutela degli ecosistemi. Un Green New Deal deve guardare oltre queste misure semplicistiche, come “il numero di alberi piantati”, e riconoscere che è proprio la complessità della natura a donarle valore e resilienza.

L’impatto dell’Europa oltre i suoi confini

La Commissione europea ha lanciato l’idea di un Green Deal, nel quale il graduale abbandono del carburante fossile viene inserito nell’ambito di una più ampia strategia competitiva a livello globale, finalizzata a esportare le scorie industriali fuori dall’Europa. Ma un Green New Deal non si ferma ai confini europei; le normative relative alla tutela degli ecosistemi devono essere estese anche a tutti i prodotti che importiamo dall’estero.

Gli accordi commerciali  in alcun modo dovrebbero permettere tragedie ambientali e violazioni dei diritti dei lavoratori.  È sicuramente un’ardua sfida prevedere un approvvigionamento alimentare che sia realmente sostenibile, considerando che circa la metà delle deforestazioni tropicali sono causate dalla “dieta mediterranea”, a base di carne e prodotti confezionati contenenti olio di palma. Un altro problema significativo riguarda i metodi di estrazione dei metalli, come il cobalto, il nickel o il litio, utilizzati per ricaricare le batterie delle macchine elettriche. Lo sfruttamento minerario può causare gravi danni ambientali, ma la domanda di questi prodotti è destinata a salire; l’Europa dovrebbe richiedere, quindi, garanzie e misure di sicurezza migliori. Un Green New Deal  in alcun modo può basarsi sull’idea di “sbarazzarsi del fardello”,  pagando i paesi più poveri per trasferire sulle loro spalle il peso delle emissioni europee.

Un cambiamento trasformativo

Il report delle Nazioni Unite sulla biodiversità è stato chiaro sulla necessità di attuare nelle nostre società un cambiamento radicale, al fine di evitare un collasso ecologico (e salvarci la pelle). È fondamentale ridurre i consumi complessivi e, soprattutto, garantire una più equa distribuzione della ricchezza. Attualmente, il 10% più ricco della popolazione mondiale è responsabile del 50% di emissioni e del 40% di consumo energetico. Insomma, ridurre l’appetito dei più abbienti è la strategia ideale per poter produrre “uno spazio operativo sicuro” per tutta l’umanità.

Realizzare un Green New Deal che salvaguardi il clima, gli ecosistemi e i diritti umani non sarà un’impresa facile. È fondamentale gestire con cautela tutti i cambiamenti culturali previsti, come ridurre il consumo di carne, concepire le pale eoliche come parte “naturale” del paesaggio, e lasciare che le foreste siano l’habitat naturale per innumerevoli specie animali e vegetali. Tutto ciò ci offre l’opportunità di  condurre un’esistenza libera dall’incessante smania di consumare, riducendo pertanto gli sprechi. Non sarebbe bello trascorrere il weekend  a fare escursioni tra vibranti foreste e fiumi limpidi, invece che imbarcarci su voli economici per un breve viaggio e mangiare bistecche il sabato sera? Non sarebbe bello pedalare e  inebriarsi anche in città del profumo dei fiori, piuttosto che inalare lo smog delle auto ferme nel traffico? Non saremmo forse tutti più felici se il benessere fosse condiviso e diffuso?

È essenziale riconsiderare il nostro rapporto con la natura. Nel momento in cui capiremo quanto ciascuno di noi dipenda completamente dai sistemi naturali, allora una normativa contro “l’ecocidio” apparirà indispensabile. Circa vent’anni fa, le Nazioni Unite avevano valutato l’idea di implementare una legge del genere; un International Green New Deal potrebbe rilanciarla, nell’ambito di una più ampia garanzia dei diritti naturali, già regolamentati in alcuni stati.

Conclusioni

Le modalità con cui il Green New Deal può preservare la biodiversità sono tante, molte di più di quante sia stato possibile esplorare in questo articolo. È importante sottolineare che, qualunque strategia che si auto-dichiari green e finalizzata a volere creare un ambiente sicuro per gli uomini e per la natura, deve essere scrupolosamente indagata, così da valutarne tutte le conseguenze a livello ambientale e climatico. Non tutte le decisioni saranno semplici e a volte si dovrà procedere  per compromessi. Ma non possiamo continuare a ignorare i problemi e ad accumularli sulle spalle delle generazioni future. In Europa è arrivato il momento di implementare un New Deal che sia davvero equo, green e globale.


Un ringraziamento speciale a Dave Goulson e Laura Kehoe per i loro commenti e consigli.


Fonte: Progressive International, 14 maggio 2020
Traduzione italiana di Benedetta Pisani per il Centro Studi Sereno Regis


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