India: vite perdute, vite a rischio

Elena Camino

Combattere il virus – lottare contro la fame: come bilanciare i diritti?

Malati / disoccupati

Il sito del Centro per la Scienza e l’Ingegneria dei Sistemi della Johns Hopkins University (Center for Systems Science and Engineering (CSSE), fornisce ogni giorno i dati aggiornati sulla pandemia: al 5 maggio 2020 segnala che il totale dei contagi è di 3.585.357 casi, il totale di decessi è di 251.595.  Tra i Paesi più colpiti gli Stati Uniti, la Spagna, la Francia, l’Italia … L’india invece, nonostante sia – con la Cina – il Paese più popolato al mondo, registra oggi 46.476  casi, e 1.571 morti. Qui dunque la situazione è molto meno grave di quanto si temeva…

Fin dalle prime settimane di lockdown, da alcuni autori sono stati espressi pareri critici rispetto alla decisione del governo indiano di bloccare completamente il paese. Oltre al parere (già riportato sul sito del CSSR[1]) del Dott. Devadasan, altri hanno commentato con perplessità la situazione, come il giornalista  C. P. Geevan il 24 aprile su Outlook India[2] : “Se si prendono per buoni i dati ufficiali, la pandemia sembra una tempesta in un bicchier d’acqua,  e gli grandi costi sociali ed economici sembrano enormemente sproporzionati rispetto al problema che si intende affrontare”…

Altri numeri, molto meno segnalati dai media, vengono forniti da un Report del 29 aprile 2020 [3]. pubblicato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (International Labour Organization – ILO): circa 1,6 miliardi di lavoratori dell’economia informale mondiale (quasi metà della forza lavoro globale) si trova nel pericolo immediato di vedere distrutte le proprie fonti di sussistenza, in seguito alla pandemia da COVID-19.

C’è un’evidente, enorme sproporzione tra il numero di persone colpite dal coronavirus e quelle che – per effetto del lockdown – si sono trovate da un giorno all’altro senza lavoro.

Rischio di carestia

In India il lockdown, iniziato il 24 marzo, doveva terminare il 14 aprile, ma è stato prolungato fino al 3 maggio. Decine di migliaia di persone che contavano di poter prendere treni e bus per tornare finalmente a casa sono rimaste di nuovo bloccate: nel caos e nel panico ci sono stati anche alcuni scontri con le forze dell’ordine.

Durante il mese di aprile il governo centrale ha iniziato a organizzare la distribuzione di cibo e a disporre luoghi di ricovero; ma il numero di migranti interni rimasti intrappolati – circa 470 milioni – ha reso impossibile provvedere a tutti.

Anche la situazione di chi è rimasto a casa è diventata drammatica: i contadini poveri nelle campagne, i pescatori, le comunità indigene, i senza casa, le persone sole e malate, si sono trovati anch’essi nell’impossibilità di tirare avanti.

 Kavil Agarwal, reporter di The Wire (un sito che dal 2015 ospita voci del giornalismo indipendente indiano), sostiene che – mentre il lockdown prosegue – cresce la fame, e sopravviene la paura della carestia.[4] In un articolo pubblicato il 19 aprile Agarwal cerca di valutare quante persone rischiano di essere escluse dai provvedimenti messi in campo dal governo per soddisfare le necessità  alimentari immediate emerse in questo periodo.  I migranti rimasti intrappolati lontano da casa non hanno con sé la tessera (ration card) per accedere al sistema di distribuzione pubblica (public distribution system: PDS), che vale solo nella propria residenza. Ne possono però usufruire i familiari nel loro villaggio. Per altri la situazione è ancora peggiore: la richiesta di tessera, fatta da un anno o più, non è ancora stata soddisfatta, a causa delle lentezze del sistema (National Food Security Act: NFSA). quindi né il migrante né la sua famiglia hanno diritto a ricevere sostegno alimentare. Secondo alcune stime, più di 100 milioni di persone si trovano in questa situazione di ‘invisibilità’.

Aprire i granai

Tre studiosi di fama internazionale, Meghana Mungikar, Jean Drèze e Reetika Khera[5], che per molti anni hanno dedicato le loro ricerche a studiare le condizioni di insicurezza alimentare e di povertà, confermano il dato di Agarwal, e stimano che 108,4 milioni di indiani siano esclusi dal sistema di distribuzione pubblica di cibo: sono circa l’8% della popolazione indiana. Secondo questi Autori uno dei motivi di questa situazione è il mancato aggiornamento – da parte degli uffici amministrativi – dell’incremento della popolazione dal 2011 ad oggi. Gli Autori inoltre osservato che «l’inaspettata perdita di salari e di risparmi può avere gravi conseguenze, anche se si riuscisse in questo periodo ad assicurare cibo a sufficienza: i contadini hanno bisogno di denaro per acquistare semi e fertilizzanti per la prossima stagione, e i negozianti che hanno piccole botteghe devono decidere adesso con che cosa riempire di nuovo gli scaffali».

Secondo Amartya Sen[6] e i suoi collaboratori, è ormai chiaro che il lockdown si protrarrà a lungo, sia pure in forma meno drastica. La maggior preoccupazione è quindi che un grandissimo numero di persone finisca nella povertà più nera, o addirittura sia ridotta alla fame. Questa situazione, oltre ad essere una tragedia in sé, rischia di scatenare forme di protesta e di disobbedienza su larga scala: bisogna quindi assicurare alla gente che lo stato si prende cura di chi è in difficoltà.  Le risorse ci sono, grazie alle riserve di cibo della Food Corporation of India, quest’anno particolarmente abbondanti (77 milioni di tonnellate di granaglie) , addirittura tre volte superiori alla quantità minima che occorre  tenere di riserva: è sensato – in un  momento di emergenza nazionale come questo – attingere a questa riserva.

La risposta corretta dello Stato, secondo questi studiosi, è di distribuire carte annonarie che durino almeno sei mesi a chiunque ne manifesti la necessità.  Il costo da pagare se non si arriverà al maggior numero possibile di coloro che sono nel disperato bisogno supera di gran lunga il costo di mettere a disposizione questa opportunità a qualcuno che potrebbe forse farne a meno.

Da invisibili a visibili

Sunita Narain, Direttrice di un importante centro di ricerca e di educazione, il Centre for Science and Environment di Delhi, CSE[7], in un editoriale del 1° maggio osserva che il COVID-19 ha fatto uscire allo scoperto milioni di ‘invisibili’: in India l’ultimo censimento sui migranti risale al 2011, e non dà conto dell’enorme quantità di insediamenti ‘illegali’ – affollati, senza servizi, malsani – che sono cresciuti negli ultimi anni intorno alle grandi città. Qui sopravvivono i lavoratori che fanno andare avanti le attività delle fabbriche e delle industrie, che a loro volta inquinano e avvelenano le aree urbane.  

Oggi queste persone sono diventate visibili: a migliaia sono stipate in circa 40.000 ricoveri temporanei, dove il governo le tiene chiuse per paura che – tornando ai loro slum o ai villaggi – diffondano l’epidemia.

All’inizio di maggio Il Ministero degli Interni in India ha comunicato che il blocco proseguirà ancora per due settimane[8], fino al 18 maggio, in misura diversa a seconda delle attività e delle zone, individuate come rosse, arancioni e verdi in base all’entità del contagio. Come in Italia e in altri paesi europei, vengono gradualmente consentite le attività produttive nel settore edilizio e nel comparto industriale, compresa la filiera alimentare.

Restano vietati, come da noi, i viaggi interstatali, tutte le attività educative (scuole, università, centri di formazione) e le attività ricreative. È inoltre confermato il coprifuoco dalle 19 alle 7.

Al di là dei diversi ordini di grandezza del numero di persone coinvolte, la situazione in India è simile a quella che si sta verificando in molti paesi europei, in USA, in Australia. A lavorare nei campi, a raccogliere frutta e verdura, a fare il lavoro pesante negli allevamenti animali, ad assicurare la distribuzione dei prodotti, ecc. dappertutto c’erano lavoratori senza diritti, senza tutele, senza alloggi decenti, senza permessi di soggiorno…’illegali’, insomma. Eppure dal loro lavoro dipende la base dell’economia, in primo luogo la produzione alimentare.

Come evolverà la situazione? Mentre una ristretta fascia della popolazione indiana tornerà alle attività di prima (il lavoro sicuro e protetto, i viaggi, gli svaghi), il futuro di centinaia di milioni di persone dipenderà dalle scelte politiche che il paese farà… ma sono passati ormai quasi due mesi, e non si intravede un programma a lungo termine che tenga conto delle necessità e delle urgenze di tutti i cittadini…

La terza onda d’urto di Covid-19: la crisi alimentare globale

Il giornalista Michel Klare sotto-titola così un articolo pubblicato il 1° Maggio sul giornale The Nation[9]: «Molte persone stanno già soffrendo la fame negli Stati Uniti; molte di più patiranno la fame e di inedia in altre parti del mondo».

I più grandi disastri mondiali producono a cascata effetti secondari.  Come un potente tsunami, innescano un’onda d’urto dopo l’altra, producendo ferite e disordine. Nel caso del COVID-19 la prima ondata è stata la crisi sanitaria globale, che ancor oggi dilaga nel mondo. La seconda è stata l’imposizione del lockdown, con il conseguente blocco dell’economia mondiale e la perdita ovunque di un grandissimo numero di posti di lavoro. Questa ha provocato una terza ondata, con esiti probabilmente ancora più catastrofici: il collasso delle filiere alimentari globali, e il dilagare della fame.

L’assalto del COVID-19 ai processi alimentari si è manifestato su due fronti: sul lato dell’offerta, agricoltori e distributori stanno riducendo la produzione: i principali consumatori (ristoranti, hotel, scuole…) non possono approvvigionarsi; inoltre gli operatori dell’industria del cibo si stanno ammalando. Sul lato della domanda, poveri e disoccupati sono rimasti senza soldi, e non possono comprare cibo anche là dove è ancora, o di nuovo disponibile nei mercati locali. 

Mentre lo Stato fa fatica a raggiungere tutti coloro che sono in situazioni disperate, sono moltissime le associazioni di volontariato che stanno affrontando l’emergenza alimentare, soprattutto nelle aree più decentrate ed emarginate del paese. Ma non potranno continuare a lungo a supplire ai doveri delle istituzioni pubbliche.

Dalla solidarietà alla giustizia

In un recente articolo[10] Vandana Shiva si riferisce proprio alle ‘tre pandemie’ sopra accennate. La prima è la pandemia del coronavirus. La seconda è quella della fame. La terza è la pandemia della perdita dei mezzi di sostentamento. V. Shiva osserva che tutte e tre le pandemie affondano le loro radici in un modello economico basato sul profitto, sull’avidità e sull’estrattivismo, che ha accelerato la distruzione ecologica, aggravato la perdita dei mezzi di sussistenza, aumentato le disuguaglianze economiche e polarizzato e diviso la società.

Gli esiti delle decisioni politiche che in tutto il mondo hanno portato i governi a bloccare le attività produttive e a limitare importanti diritti dei cittadini hanno prodotto conseguenze che si sono rivelate molto diverse per situazioni geografiche, fasce di popolazione, conseguenze ambientali. 

Alessandra Algostino [11], analizzando gli aspetti giuridici della situazione globale oggi, richiama l’attenzione sulla necessità che – insieme alla preservazione del diritto alla salute – tutti i diritti siano garantiti nel massimo grado possibile.  Non solo: occorre bilanciare l’impatto diseguale che lo stato di emergenza produce.

In ogni caso, affinché le restrizioni adottate si mantengano entro la cornice della Costituzione e di una forma di Stato democratica […] occorre che siano rispettati alcuni requisiti. Fra questi, oltre la temporaneità e l’equilibrio fra i poteri […] c’è l’esigenza che il bilanciamento fra i diritti rispetti i canoni della proporzionalità e della ragionevolezza

La pressione che ovunque nel mondo viene esercitata dai poteri forti sui governi affinché si riprendano le attività produttive, in realtà fa molto spesso riferimento al lavoro inteso non come strumento di dignità ed emancipazione della persona e della società, ma come mezzo grazie al quale estrarre profitto, utilizzando i lavoratori come merce.  

Una lettera al Primo Ministro indiano

Il 5 maggio è stata pubblicata sui giornali indiani una lettera, firmata da singole personalità e da rappresentanti di numerose e importanti associazioni indiane, che contiene una richiesta al Primo Ministro[12]. Dopo aver ricordato i ripetuti appelli ai cittadini da parte del governo, affinché rispettassero il lockdown e accettassero con coraggio i sacrifici che ne derivavano, osservano che le iniziative finora prese per portare soccorso ai milioni di persone rimaste senza lavoro, senza denaro e senza cibo sono del tutto inadeguate.  E suggeriscono che, per ottemperare all’Articolo 21 della Costituzione (assicurare a tutti una vita dignitosa), si possono facilmente raccogliere i fondi necessari riscuotendo una ‘Emergency Coronatax’ : un prelievo fiscale del 2% alla fascia più ricca della popolazione, quell’1%  che, secondo il report di Oxfam[13], detiene più di quattro volte la ricchezza dei 953 milioni di persone che costituiscono il 70% della popolazione indiana.  Questo introito – se ben amministrato – permetterebbe di rispettare anche l’Articolo 38 (2) – minimizzare le disuguaglianze di reddito – e l’Articolo 39 c – assicurarsi che il sistema economico non porti a una concentrazione di ricchezza.

In India, in Italia, ovunque…

Quando esperti, tecnici e imprenditori[14] criticano i ‘sostegni a pioggia’ erogati dai governi per sostenere le fasce deboli della società durante l’emergenza, e affermano con forza la necessità di finanziare le ‘imprese’, un esercizio molto utile sarebbe quello di fare tre liste di priorità negli investimenti, impegnando il governo a farle rispettare:

a) regolarizzare tutti coloro che finora sono stati costretti a lavorare in nero, dando paghe dignitose, continuità e sicurezza, e offrire loro lavori dignitosi e soddisfacenti;

b) dare priorità alle attività produttive utili a soddisfare i bisogni primari della società, eliminando i sussidi pubblici alle imprese che producono per soddisfare gli egoismi di pochi (i beni di lusso, i viaggi di piacere, i cibi esotici…) e chiudendo definitivamente le fabbriche di morte, dalla produzione di armi alla costruzione di navi e aerei da guerra, al vergognoso inferno degli allevamenti intensivi;

c) imporre stringenti vincoli di protezione ambientale e di rispetto per la vita.


Note

[1] https://serenoregis.org/?s=camino+india

[2] http://www.outlookindia.com/website/story/opinion-covid-19-pandemic-in-india-to-measure-or-mis-measure/351410

[3] http://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/—dgreports/—dcomm/documents/briefingnote/wcms_743146.pdf

[4] http://janataweekly.org/coronavirus-lockdown-as-hunger-grows-the-fear-of-starvation-is-real/

[5] http://www.indiaspend.com/more-than-100mn-excluded-from-pds-as-govt-uses-outdated-census-2011-data/

[6] Sen, premio Nobel in Economia, è docente di economia e filosofia alla Harvard University; Rajan è professore di economia finanziaria all’Univeristà di Chicago; Banerjee, anch’egli premio Nobel in Economics, insegna al MIT (Massachusetts Institute of Technology).

[7] (http://www.downtoearth.org.in/blog/governance/covid-19-has-made-the-invisible-visible-70837?utm_source=Mailer&utm_medium=Email&utm_campaign=Down%20To%20Earth-1460581  

[8] http://www.livemint.com/news/india/covid-19-lockdown-extended-by-two-weeks-with-effect-from-4-may-says-mha-11588337761963.html

[9] http://www.thenation.com/article/society/coronavirus-global-food-crisis/

[10] http://comune-info.net/le-tre-pandemie/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=Il+giorno+dopo

[11] http://volerelaluna.it/politica/2020/04/28/il-covid-19-i-diritti-e-le-liberta/

[12] http://countercurrents.org/2020/05/2-emergency-coronatax-on-the-wealth-of-the-richest-1

[13] http://economictimes.indiatimes.com/news/economy/indicators/wealth-of-indias-richest-1-more-than-4-times-of-total-for-70-poorest-oxfam/articleshow/73416122.cms?from=mdr

[14] http://www.corriere.it/economia/aziende/20_maggio_04/fase-2-bonomi-soldi-pioggia-finiscono-presto-imprese-servono-investimenti-0a2e4684-8d79-11ea-876b-8ec8c59e51b8.shtml?refresh_ce-cp

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