“In memoriam” di Jörg Luther | Gustavo Zagrebelsky

Grande cordoglio ci ha riunito qui nel nome di Jörg, cordoglio e dolore che è prima di tutto di Antonella, Claudia e Sujan. Ma anche un’ondata d’affetto che non tutti avremmo immaginato, ora che dobbiamo dire: troppo tardi per dimostrarglielo pienamente. Noi non osiamo confondere il nostro do- lore con il loro, con il dolore di una famiglia specialissima per tanti aspetti, che ora ha perduto uno dei due pilastri maggiori, cara Antonella. Noi possiamo promettere d’essere loro molto vicini, forse più vicini di quanto non siamo stati, perdendo qualche occasione per farlo.

Il privilegio di poter, questo po- meriggio con voi, dire qualche parola di ricordi e di proponimenti deriva anche dall’essere, tra i presenti, forse uno di coloro che da più gran tempo, qui a Torino, ha conosciuto Jörg.

Comparve all’Istituto giuridico, in bermuda (scandalo!), col violoncello in spalla e con una lettera di presentazione del suo professore col quale aveva discusso in Germania la tesi di dottorato sulla giustizia costituzionale in Italia che preparava per la pubblicazione (che apparve in tedesco nel 1990 presso la prestigiosa casa editrice Nomos). Parlava già un buon italiano con qualche difficoltà che faceva sorridere; per esempio, non riusciva a dire qui perché gli veniva sempre qvi. Aveva in progetto un semestre accademico in Italia, quasi una prosecuzione della consuetudine molto tedesca che suo padre aveva coltivato con la sua famiglia, il “viaggio in Italia”. Il semestre che si trasformò in un radicamento, un radicamento che non comportò affatto uno sradicamento dal suo Paese, dalla sua cultura, dal genius loci della sua matrice. Così, abbiamo avuto con noi una giovane persona perfettamente bi-nazionale che a noi sembrava, a volte, un po’ troppo tedesco e – immagino – in Germania un po’ troppo italiano. È stato un efficiente ponte, come ebbe a dire il suo principale punto di riferimento in Germania, Peter Häberle. Fu felice quando venne accolto nell’Associazione italiana dei costituzionalisti, primo socio tedesco; altrettanto quando lo stesso avvenne nella parallela Associazione tedesca dei gius-pubblicisti, come primo socio italiano.

Raccogliendo le idee e i ricordi per questo addio, mi sono apparsi tanti aspetti della personalità di Jörg che non avevo mai considerato in uno sguardo d’insieme. Ora che li ho accostati gli uni agli altri, mi accorgo di avere come una tavolozza dai tanti colori, tra cui ciascuno di noi avrebbe potuto e potrebbe estrarre questo o quello, secondo le preferenze, o ma- gari tutti insieme. “Estrarre” perché non era certo il mettersi in mostra il costume di questo mio ragazzo gentile, dolce, sensibile al limite della fragilità, timido, nelle occasioni accademiche schivo e un poco impacciato quasi che avesse il più o meno consapevole timore di non essere pienamente accettato come uno di noi; mentre, anzi, sotto certi aspetti, era uno più di noi. Di fronte alle difficoltà di rapporti umano-accademici ch’egli ha incontrato come ciascuno di noi e, forse, più di noi, non riusciva ad aderire completamente al consiglio: lascia stare, non ci star male e segui la tua strada che è ricca di per sé e non preoccuparti d’altro, d’altri.

Credeva nella cultura ed era a sua volta molto colto, non solo nell’ambito del diritto. Era un umani- sta, cosa non frequente tra i giuristi. Dal padre aveva ereditato una predi- lezione per il pensiero filosofico- teologico-politico della Riforma, a cui ha dedicato alcuni studi. Tra gli scaffali della sua biblioteca ce n’è uno che raccoglie i volumi paterni, con una dominanza di testi kantiani, che mostrava ai visitatori con una evidente reverenza. La musica, fino all’ultimo coltivata amatorialmente ma profondamente, per lo più in formazioni con altri strumentisti, alla quale dava un’interpretazione sintetizzata in un motto ch’egli ripeteva, riferendolo (se non ricordo male) a Telemann: la musica è fatta di note che vengono e vanno come vogliono e non si sa mai dove.

Le “note” di cui Jörg disponeva erano in effetti moltissime e, quando prendeva la parola, in tante circostanze anche strettamente giuridiche, non si sapeva mai dove andassero a parare, con effetti sorprendenti e, a prima vista, stranianti o stravaganti: a prima vista…, ma poi, a pensarci bene, aprivano prospettive. Insomma, non era un ripetitore di associazioni di pensieri consuete, ma era un cercatore di mescolanze nuove che aprivano prospettive e stimolavano ad andare avanti in un mondo complesso, quasi tutto da costruire.

Era per carattere aperto al dialogo e disposto al compromesso delle idee, ma non dei principi. Era la giustizia la sua bussola e non una giustizia vuota di contenuto, ma la giustizia dei più deboli che si oppone alle prepotenze e, in definitiva, con- duce alla pace nella giustizia. Avrebbe certamente condiviso il motto vetero-testamentario: su tre cose si regge il mondo, la verità, la giustizia e la pace, dove la giustizia occupa il posto centrale. Se talora, anzi spesso assumeva posizioni che potevano sembrare legaliste, formali, era perché vi trovava la corrispondenza con qualcosa di più profondo che stava nel diritto costituzionale come “diritto culturale” che non è affatto un diritto irenico, come talora s’è detto, ma è ciò che consegue a una lotta per la giustizia di lunga data, rispetto al cui esito Jörg ha detto d’essere “moderatamente ottimista”. In questa lotta, l’ideale e il reale si incontrano e spesso si scontrano in una prospettiva concreta che è, per l’appunto, la cultura com’egli l’ha intesa. Per quanto fosse timido nelle occasioni accademiche formali, anzi forse per questa sua tendenza a mettersi in secondo piano e per la spinta a reagire, difficilmente ricorderemmo un convegno, una tavola rotonda, una conferenza in cui Jörg non si alzasse a chiedere la parola e, anche quando non aveva la possibilità di farlo, ab- biamo presente il suo borbottio ch’era un commento tenace, un confronto, un misurarsi con quel che si veniva dicendo. E, anche, con ciò che si ve- niva facendo nelle tante occasioni della vita amministrativa dell’Università.

Aveva della vita accademica una visione molto tedesca come unione di “colleganze”, una visione che purtroppo l’arrivismo, l’individualismo e il dissolvimento delle comunità dello spirito e delle esperienze – caratteristiche dell’Università italiana in questo tempo – non aiutavano certo a realizzare.

Per lui il diritto costituzionale deve avere una vocazione internazionale, anzi globale o cosmopolita, così come globali devono essere la pace e i diritti. La sua attenzione all’Europa, da cui il volume Europa constituenda è il titolo d’una sua raccolta di scritti del 2007 su un tema che considerava cruciale, forse rammentando quanto male ha prodotto in Europa e nel mondo lo storico conflitto franco- tedesco.

Infine, la sua passione per l’insegnamento. Quanti corsi ha tenuto, quante ore vi ha dedicato, quali esperimenti didattici ha tentato? Io non saprei farne un rendiconto. I più giovani dovevano diventare i continuatori. Durante le settimane della sua malattia Jörg ha dedicato le sue forze declinanti a una meditazione che è un bilancio e un lascito, intitolandolo Il corso della vita mia (noto la posposizione dell’aggettivo. Non sarebbe la stessa cosa se avesse scritto della mia vita: una sottigliezza che mostra quanto avesse proceduto nella conoscenza della lingua d’adozione). Questa meditazione a tutto campo, nel raccoglimento d’una malattia che non lascia scampo di cui egli era consapevole, è una commovente apertura alla continuità della vita dell’impegno che ha consegnato come lascito ai suoi allievi, innanzitutto, e poi alla comunità scientifica di cui ha fatto parte. Nel congedarsi, scrive:

Questo corso giunge alla sua fine. Vorrei innanzitutto ringraziare tutti coloro che mi hanno concesso il loro amore e la loro amicizia, includendo tutti coloro – e temo che tra parenti, colleghi ed amici del tempo libero siano tanti – che non sono stati nominati. A questo si devono aggiungere degli auguri di felicità e serenità per il futuro di ognuno personalmente e di tutti. Non è facile pensare e gestire questo futuro in un contesto di crisi molteplici, politiche, economiche e culturali, che rendono i nostri piccoli mondi più insicuri. Il corso della vita mia mi ha insegnato a restare moderatamente ottimista.

Nell’ambito politico, il cuore di tutti batte a sinistra, anche se poi sentimenti e ragioni portano a dividersi su posizioni molto diverse. Nel corso della vita mia ho avuto più posizioni spesso critiche di quelle maggioritarie e vicine a partiti come la socialdemocrazia, i verdi, i radicali e democratici, anche se non ho mai preso tessere e da costituzionalista ho sempre cercato il dialogo anche con altre posizioni. Queste forme di pluralismo possono regredire di fronte al populismo, ma fino a quando abbiamo un minimo di speranza e volontà di una politica migliore e pacifica resteranno difese indispensabili per una democrazia anche europea e cosmopolita.

Nell’ambito economico, il capitalismo non ha vinto nel 1989, perché il modello europeo dell’economia sociale di mercato resiste ai modelli statunitensi e cinesi. La diseguaglianza e la povertà non sono il destino. La responsabilità per la prevenzione delle emergenze ambientali del pianeta e la tutela dei beni comuni è già stata rivendicata dalla generazione prossima.

Nell’ambito culturale infine emergono tante nuove sfide, dalla tutela delle diversità culturali nello sviluppo sostenibile fino all’impatto delle nuove forme di intelligenza artificiale. Occorre mantenere l’autonomia delle culture dall’economia e dalla politica. Serve ottimismo nella capacità di innovazione delle culture.Quindi nessuno disperi ma tutti abbiano fiducia in sé stessi. La vita andrà avanti.

La vita andrà avanti, diranno non solo i moderati ottimisti come Jörg, ma anche i moderati pessimisti.

Andrà avanti senza di lui. Davvero? Nelle sue conversazioni spirituali delle ultime settimane e nel Corso sopra citato, ci sono considerazioni, potremmo dire, su ciò che resterà di noi. Non era religioso nel senso dell’appartenenza organica a una confessione, anche se il suo essere nato, l’aver vissuto e l’essere morto sono state profondamente luterane. Credeva in una realtà spirituale che ci sovrasta, rispetto alla quale ciascuno di noi è piccolo piccolo, ma che non ci schiaccia perché è formata dalle par- tecipazioni che apportiamo come contributi delle nostre vite. È una realtà, non semplicemente un ri- cordo. Non tutto è materia, corpo. Non è vero che i morti vivono solo nel ricordo dei viventi, come ombre, come souvenir destinati presto a dis- solversi. Lo spirito è una realtà che può separarsi dai corpi e sopravvivere loro per essere sempre di nuovo com- preso, afferrato e vivificato per vivificare noi stessi.

Proprio come nei rapporti con i fisicamente viventi, possiamo dialogare con coloro che vivono in quella superiore sfera che sopravvive ai corpi. Se ci rivolgiamo a loro, non è solo per portare fugaci offerte, ma anche per trarne duraturi doni. È questo il dio al quale possiamo credere? Alle parole dette in momenti in cui non si può mentire a se stessi, non possiamo non credere. E, allora, diciamo a nostra volta: addio professor Jörg Luther.


Fonte: Vol 42 No 1 (2020): DPCE Online 1-2020


Jörg Luther (Marburgo, 26 settembre 1959 – Torino, 3 marzo 2020) è stato un giurista tedesco.

Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l’Università del Piemonte Orientale, Luther si laurea in giurisprudenza nel 1983 dopo aver studiato all’Università di Gottinga. Nel 1989 diventa avvocato ed esercita la professione presso il Tribunale di Francoforte fino al 1996, iniziando a collaborare con il Servizio studi della Corte costituzionale italiana. Come allievo di Christoph Link e Peter Haeberle in Germania e di Gustavo Zagrebelsky in Italia inizia la carriera universitaria nel 1990, diventando ‘Doktor der Rechtswissenschaften’ presso la Facoltà di Giurisprudenza di Gottinga e, nel 1992, dottore di ricerca in diritto costituzionale presso l’Università Statale di Milano. Per cinque anni professore associato alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pisa, dal 2001 è professore prima straordinario, poi ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l’Università del Piemonte Orientale. Dal 2010 tiene anche corsi presso l’Università degli Studi di Torino e dal 2011, è prima coordinatore vicario del dottorato in “Autonomie locali, Servizi pubblici locali e Diritti di cittadinanza” (DRASD) fino al 2013, poi coordinatore del nuovo dottorato in Istituzioni pubbliche, sociali e culturali dell’Università del Piemonte Orientale. Luther è stato inoltre membro del Consiglio giudiziario Piemonte / Valle d’Aosta ed è stato membro eletto della Commissione di Garanzia della Regione Piemonte dal 2008 al 2014. 

Membro del Comitato scientifico della Fondazione Antonio Gramsci, dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti e della Vereinigung der Deutschen Staatsrechtslehrer nonché dell’Academic Network on European Social Charter, Luther è autore e curatore di numerose pubblicazioni scientifiche nel campo del diritto costituzionale e del diritto pubblico, tra le quali Il futuro della Costituzione con Gustavo Zagrebelsky e Pier Paolo Portinaro, Einaudi, 1996; Pratica dei diritti fondamentali, Giappichelli, 2000; Esperienze di giustizia costituzionale con R. Romboli e R. Tarchi, Giappichelli, 2000  I principi fondamentali della Costituzione ItalianaA world of Second Chambers, Giuffré 2006; Europa constituenda, Giappichelli 2007; Constitutional documents of Italy and Malta, De Gruyter, 2010.

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