Un cinema libero fra politica e nostalgia | Matteo Boscarol

Giappone. Addio al regista pacifista Nobuhiko Obayashi, autore di «House» e della trilogia di Onomichi

Quando il Far East di Udine gli consegnò il Gelso d’Oro alla carriera nel 2016, Nobuhiko Obayashi era già diventato un nome abbastanza conosciuto e riscoperto fra gli amanti del cinema asiatico di tutto il globo. Fin da quando cioè il suo debutto nel cinema commerciale, il super camp, horror e kitsch House (1977), era stato distribuito nei mercati home video americani. Questa dovuta e giusta riscoperta aveva focalizzato l’interesse di molti appassionati e studiosi sul lavoro del regista giapponese che, nell’ultima parte della sua carriera, era diventato un grido pacifista contro la guerra, qualsiasi tipo di guerra, ed un canto alla potere del cinema di cambiare il mondo.

OBAYASHI se n’è andato lo scorso 10 aprile all’età di 82 anni, dopo che, più di tre anni fa, gli era stato diagnosticato un tumore con un’aspettativa di vita di soli tre mesi. Il cinema e l’amore verso la settima arte gli avevano prolungato quindi la vita e la carriera, un periodo in cui aveva realizzato prima Hanagatami e poi quello che sarebbe diventato il suo ultimo lavoro, Labyrinth of Cinema, che doveva uscire proprio il giorno della sua scomparsa, uscita posticipata a causa della pandemia di Covid 19. Una vita legata e dettata dal cinema quindi, ed una filmografia tanto varia quanto ancora inesplorata. Obayashi infatti fin da giovanissimo, quando andava al cinema assieme a Kaneto Shindo, si era interessato alla settima arte con esperimenti dapprima amatoriali e poi sempre più indirizzati, negli anni sessanta, verso il cinema d’avanguardia.

Ma l’autore giapponese è stato anche un apprezzatissimo regista di pubblicità televisive e di video musicali: una delle sue peculiarità e qualità più apprezzate e che, secondo chi scrive, renderanno la sua opera duratura è proprio la capacità di far convivere nello stesso lavoro – talvolta con successo, talvolta no – cinema amatoriale, sperimentazione, gusto per l’artificio, stile pop ed un forte impegno civile, misto ad un malinconico senso del tempo e del ricordo nostalgico. Dopo House, Obayashi è stato uno dei registi giapponesi che più ha lavorato nel genere dei film adolescenziali, quelli ambientati nelle scuole e con protagoniste giovani ragazzine.

Il picco di questa produzione è senz’altro negli anni ottanta, spesso considerati, a torto, il decennio perduto per il cinema giapponese, e troppo facilmente etichettati come un periodo di riflusso dopo la stagione dell’impegno politico e civile. Obayashi è stato uno dei registi che più hanno caratterizzato il decennio, specialmente con la cosiddetta trilogia di Onomichi, cittadina portuale nella prefettura di Hiroshima affacciata sul Mare Interno di Seto, dove il regista era nato e che tanto ispirò la sua produzione visiva.

SI TRATTA di tre dei suoi lavori più riusciti e più conosciuti in patria: Tenkosei (I Are You, You Am Me) classica storia di scambio d’identità fra due ragazzi della scuola media, impreziosita dallo stile quasi postmoderno di Obayashi, Toki wo kakeru shojo (La ragazza che saltava nel tempo), dal romanzo di Tsutsui Yasutaka e forse il suo film con maggiore successo di pubblico, e Sabishinbo (Lonely Heart). Quest’ultimo, uno dei lavori preferiti di Akira Kurosawa che spesso ne incitava la visione durante le sue interviste, è un film che racconta, senza cadere in eccessive sdolcinatezze, il periodo adolescenziale e i suoi attimi sognanti e quasi magici.

Obayashi è stato un autore prolifico che non aveva certo paura di sporcarsi le mani ed è stato per questo spesso anche regista di lavori fortemente inclassificabili e non perfettamente riusciti come il lungometraggio animato Kenya Boy del 1984, la farsa poliziesca Kindaiichi Kosuke no boken (The Adventures of Kosuke Kindaichi) nel 1979, o il surreale pasticcio in SF Hyoryu kyoshitsu (The Drifting Classroom) del 1987.

MA È STATO anche autore di lungometraggi realizzati sotto l’etichetta ATG (Art Theatre Guild), nell’ultima fase della gloriosa casa di produzione e di distribuzione lanciata nel 1961, per cui girò Haishi (The Deserted City) nel 1984 e soprattutto, due anni dopo, il bel No yuki yama yuki umibe yuki (Bound for the Fields, the Mountains, and the Seacoast), che racconta le avventure di un ragazzino nel Giappone prebellico. Periodo che Obayashi avrebbe toccato nuovamente e con forza, come abbiamo visto, nell’ultimo decennio della sua carriera.

Fonte; il manifesto, EDIZIONE DEL 14.04.2020

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