La Guerra è un racket | Smedley Butler

I. La guerra è un racket

Il classico antibellico del generale di divisione S.D.Butler, il soldato più decorato d’America – 1935

Lo è sempre stata. È assolutamente il più antico, il più redditizio, di sicuro il più depravato. È l’unico di portata internazionale. È il solo i cui profitti si calcolano in dollari e le cui perdite in vite.

Un racket – un maledetto imbroglio – si descrive al meglio, credo, come qualcosa che non è quel che sembra alla maggioranza della gente. Solo un gruppetto di appartenenti interni sa di che si tratta. Lo si esplica a beneficio di pochissimi a spese di moltissimi. Dalla guerra pochi fanno enormi fortune.

Nella [1a] Guerra Mondiale una mera manciata ha ammassato i profitti del conflitto. Almeno 21.000 neo-milionari e – miliardari sono spuntati durante la Guerra negli Stati Uniti, ammettendo i propri enormi guadagni sanguinolenti nella dichiarazione dei redditi. Non si sa quanti altri ricconi di guerra abbiano falsificato la loro. Quanti di loro hanno imbracciato un fucile? Quanti hanno scavato una trincea? Quanti sapevano che cosa volesse dire patire la fame in una buca intestata dai ratti? Quanti hanno passato notti insonni per la paura, schivando granate, shrapnel e proiettili di mitraglia? Quanti hanno parato la baionettata di un nemico? Quanti di loro sono stati feriti o uccisi in battaglia?

Con la guerra le nazioni acquisiscono altro territorio, se vittoriose; non fanno che prenderselo. E quel territorio viene sfruttato dai pochi—proprio gli stessi che hanno strizzato dollari dal sangue in guerra. Il pubblico in generale se n’addossa il conto. E qual è il conto? Il conto raffigura un orribile rendiconto: tombe fresche; corpi straziati; menti in frantumi; cuori infranti e case in macerie; instabilità economica; depressione e tutte le miserie associate; fiscalità insostenibile per generazioni.

Smedley Darlington Butler

Da soldato, ho avuto per anni il sospetto che la guerra fosse un racket; ma non me resi del tutto conto finché non mi congedai tornando alla vita civile. Adesso che vedo addensarsi cupe nubi internazionali di Guerra come le odierne, devo ammetterlo e dirlo ai quattro venti. Ci si sta di nuovo schierando. La Francia e la Russia si sono trovate e hanno deciso di star dalla stessa parte. L’Italia e l’Austria si sono affrettate a concordare la stessa cosa. La Polonia e la Germania si sono lanciate sguardi miti, dimenticando per l’occasione la loro disputa sul Corridoio Polacco.

L’assassinio del re Alessandro di Jugoslavia ha complicate le cose. Jugoslavia e Ungheria, da tempo acri nemici, erano quasi alle mani; l’Italia era pronta a intervenire; ma la Francia aspettava; e così la Cecoslovacchia. Erano tutti protesi verso la guerra. Non la gente — non chi combatte e paga e muore — ma solo chi fomenta le guerre standosene al sicuro a casa ad approfittarne.

Ci sono 40 milioni di uomini in armi al mondo oggi, e i nostri statisti e diplomatici hanno la temerità di dire che non c’è una guerra in cottura. Maledizione! Questi 40 milioni di uomini stanno addestrandosi da ballerini? Di sicuro non in Italia: il primo ministro Mussolini sa bene per che cosa stanno addestrandosi; lui almeno è abbastanza franco da dirla tutta. Solo l’altro giorno, il Duce diceva in “International Conciliation,” la pubblicazione della Fondazione Carnegie per la Pace Internazionale: “E soprattutto il Fascismo, quanto più considera e osserva il futuro e lo sviluppo dell’umanità indipendentemente dalle considerazioni politiche del momento, non crede né alla possibilità né all’utilità della pace perpetua. . . . Solo la guerra intensifica l’energia umana fino alla massima tensione mettendo il sigillo della nobiltà su coloro che hanno il coraggio di farla”.

Senza dubbio Mussolini intende esattamente quel che dice. Il suo esercito ben addestrato, la sua grossa flotta aerea, e anche la sua marina sono pronti per la guerra — ne sono ansiosi, a quanto pare. La sua recente posizione a fianco dell’Ungheria nella disputa di questa con la Jugoslavia lo mostrava. E la frettolosa mobilitazione delle sue truppe al confine austriaco dopo l’assassinio di Dollfuss anch’essa lo mostrava.   Ci sono anche altri in Europa il cui affilare di sciabole fa presagire la guerra, prima o poi. Herr Hitler, con la sua Germania in riarmo e le sue costanti richieste di sempre nuove armi, è una pari, se non maggiore, minaccia alla pace. La Francia solo di recente ha aumentato la durata della ferma militare di leva da un anno a diciotto mesi. Sì, ovunque le nazioni

si affidano alle armi. I cani rabbiosi d’Europa sono senza guinzaglio. In Oriente le manovre sono più accorte. Nel lontano 1904, quando combatterono Russia e Giappone, abbiamo dato un calcione ai nostri vecchi amici russi per sostenere il Giappone. Allora i nostri generosissimi banchieri internazionali stavano finanziando il Giappone. Adesso la tendenza è intossicarci contro i giapponesi. Che cosa vuol dire per noi la politica delle “porte aperte” verso la Cina? I nostri scambi commerciali con la Cinasono a circa 90 milioni di dollari annui. O le Filippine? Ci abbiamo speso circa 600 milioni in trentacinque anni e ci abbiamo (i nostri banchieri, industriali e speculatori) investimenti privati di meno di 200 milioni di dollari. Allora, per salvare il commercio con la Cina di circa 90 milioni o per proteggere quegli investimenti privati di neppure 200 milioni nelle Filippine, verremmo tutti eccitati ad odiare il Giappone ed entrarci in guerra — guerra che potrebbe costarci ben decine di miliardi di dollari, centinaia di migliaia di vite di americani, e molte altrecentinaia di migliaia di invalidi fisici e squilibrati mentali.   Naturalmente, per tale perdita ci sarebbe un profitto compensatorio — si accumulerebbero fortune: milioni e miliardi di dollari; per pochi – fabbricanti di munizioni; banchieri; cantieri navali; manifatture; fornitori di carni; speculatori. Che se la passerebbero bene.

Sì, stanno preparandosi per un’altra guerra. Perché non dovrebbero? Rende bei dividendi.

Ma che cosa rende a chi viene ucciso? Alle loro madri e sorelle, mogli e fidanzate? Ai loro figli?

Che cosa rende a chiunque che non siano i pochissimi per cui vale profitti enormi?

Sì, e che cosa rende alla nazione?

Prendiamo il nostro caso. Fino al 1898 non possedevamo un pizzico di territorio al di fuori del territorio continentale nordamericano. Al tempo il nostro debito nazionale era un po’ più di un miliardo di dollari. Poi ci siamo “internazionalizzati”, dimenticando o sbarazzandoci del consiglio del Padre fondatore del nostro paese, dell’ammonimento di George Washington riguardo alle “alleanze che impigliano.” Ed entrammo in guerra. Acquisendo territorio esterno. Alla fine della [1^] Guerra mondiale, come risultanza diretta dei nostri intrallazzi internazionali, il nostro debito nazionale era balzato a oltre 25 miliardi di dollari. La nostra bilancia commerciale complessiva a favore durante quei venticinque anni fu di circa 24 miliardi di dollari. Perciò, su base puramente contabile, indietreggiammo un po’ anno dopo anno. E quel commercio estero avrebbe potuto ben essere nostro anche senza le guerre; sarebbe stato di gran lunga più economico, per non dire anche più sicuro, per il cittadino medio che paga i conti, starsene al di fuori dei vari impigli esteri. Per pochissimi questo racket, come il contrabbando di alcoolici e altri malavitosi, rende profitti fantastici, ma il costo delle operazioni viene sempre trasferito alla gente— che non ne beneficia.

II. Chi ne trae i profitti?

La [1^] Guerra mondiale, anzi la nostra [USA] breve partecipazione, è costata agli Stati Uniti circa 52 miliardi di dollari, figuriamocelo: cioè $400 per ogni cittadino USA, uomo, donna, bambino. E non ci abbiamo ancora pagato il debito; il costo di quella guerra lo stiamo pagando, lo pagheranno i nostri figli e probabilmente anche i figli dei nostri figli.

I profitti normali di un’azienda negli Stati Uniti sono del 6, 8, 10 e talvolta 12%; ma i profitti di guerra sono ben altra cosa: 20, 60, 100, 300, e perfino 1800% — il cielo è il limite. Tutto questo po’ po’ di meccanismo reggerà: lo zio Sam i soldi ce li ha, approfittiamone. Naturalmente, in tempo di guerra la cosa non viene posta in termini così triviali, ma confezionata con richiami al patriottismo, all’amore per il paese, e “dobbiamo tutti spingere la ruota in difficoltà”, ma i profitti balzano e schizzano al cielo — e vengono intascati in tutta sicurezza. Facciamo giusto qualche esempio: i nostri amici du Pont [Dupont], quelli della polvere da sparo — uno di loro non ha dichiarato di recente alla commissione del Senato che la guerra l’ha vinta la loro polvere? O salvato il mondo per la democrazia? O qualcos’altro? Come si sono comportati in guerra? Sono stati una grossa azienda patriotica. Beh, i guadagni medi della Dupont nel periodo 1910-1914 sono stati di 6 milioni annui; non molto, ma sono riusciti a cavarsela con quel poco. Poi il loro profitto annuo medio durante gli anni di guerra, 1914-1918, sono stati – sorpresa – 58 milioni annui, quasi dieci volte tanto i tempi normali, peraltro discreti; un aumento di oltre 950%!  Oppure prendiamo una di quelle nostre piccole acciaierie che patriotticamente hanno tralasciato la fabbricazione di rotaie, travature e ponti per fabbricare materiali bellici. Bene, i loro guadagni annui 1910-1914 erano in media 6 milioni. Poi con la guerra, da leali cittadini Bethlehem Steel passò prontamente a fabbricare munizioni. E i loro profitti 1914-1918? Permettendo generosamente un affarone allo zio Sam, passarono in media a 49 milioni annui! O ancora, la United States Steel. Da 105 milioni annui nel quinquennio prebellico – già non male – passò per il periodo bellico 1914-1918 a 240 milioni annui.

Guardando ad altri settori merceologici [meno evidentemente coinvolti], magari al rame, che comunque va sempre bene in tempo di guerra: l’Anaconda, per esempio. Guadagno annuo medio 1910-1914, 10 milioni $; durante il periodo 1914-1918, 34 milioni $.  Oppure la Utah Copper: rispettivamente 5 e 21 milioni di dollari annui per i due periodi.  Raggruppando le cinque aziende citate, di cui tre minori, passiamo complessivamente da $137.480.000 prebellici annui a ben $408,3 milioni annui per il periodo bellico – un aumento del 200% circa.

Conviene, la guerra? A loro sì; e non sono i soli. Fra gli altri, prendiamo il settore del cuoio.

Per i tre anni immediatamente precedenti la Guerra il guadagno complessivo della Central Leather Co. è stato $3,5 milioni, ossia in media $1,167 mln annui. Balzati nel 1916 a $15milioni, ossia +1.100%. La General Chemical Co. è passata da poco più di $800mila annui medi per il triennio prebellico a $12milioni, un balzo del 1.400%.  L’International Nickel Company — il nickel è indispensabile in una guerra — ha registrato un aumento del profitto annuo medio da $4milioni a $73, oltre 17 volte tanto.  L’American Sugar Refining Company rispettivamente da $2milioni annui a $6 già nel 2016.

Il documento N° 259 del Senato rende conto dei guadagni delle società per azioni e degli introiti erariali durante la 65^ legislatura, considerando 122 confezionatori di carni in scatola, 153 cotonifici, 299 aziende d’abbigliamento, 49 acciaierie, e 340 produttori di carbone durante la guerra: profitti sotto il 25% furono eccezionali. Per esempio, i carbonieri durante la guerra hanno avuto una resa dal 100% al 7.856% sul proprio capitale. I produttori di scatolame di Chicago hanno raddoppiato e triplicato i propri guadagni.

E non dimentichiamo i banchieri che finanziarono la grande Guerra. Se qualcuno ne ottenne la crema dei profitti, quelli furono i banchieri; che, essendo consociazioni anziché aziende registrate, non sono tenuti a riferire agli azionisti; sicché i loro profitti restarono segreti quanto immensi. Come i banchieri abbiano fatto i loro miliardi non so, perché quei segretucci non diventano mai pubblici — neppure al cospetto di una commissione d’indagine senatoriale.

Ma ecco invece come alcuni altri patriotici industriali e speculatori si sono fatti strada verso i profitti di guerra.  Prendiamo i calzaturifici. A loro piace la guerra, col suo carico d’affari e profitti abnormi, specialmente con le esportazioni ai nostri alleati. Può darsi che, come i fabbricanti di munizioni e d’armi, riescano a vendere anche al nemico – i dollari sono dollari, che provengano dalla Francia o dalla Germania. Ma se la son cavata bene anche con lo zio Sam, vendendogli 35milioni di paia di scarponi chiodati militari – per 4milioni di soldati: più d’otto paia ciascuno. Il mio reggimento durante la guerra ne aveva solo un paio a testa. Qualcuna di queste scarpe probabilmente esiste ancora; erano buone scarpe. Ma quando la guerra fu finita lo zio Sam ne aveva ancora tipo 25 milioni; comprate – e pagate. Profitti registrati e intascati.  C’erano inoltre ancora grosse partite di cuoio; allora i fabbricanti vendettero sempre allo zio Sam centinaia di migliaia di selle McClellan per la cavalleria. Ma all’estero non c’era alcuna cavalleria americana! Comunque, qualcuno doveva sbarazzarsi di tutto quel cuoio; qualcuno doveva guadagnarci. E quindi ci trovammo con tutte quelle selle, che probabilmente abbiamo ancora.  Qualcun altro aveva un bel po’ di reticolare anti-zanzare. E vendette allo zio Sam 20milioni di zanzariere per il loro utilizzo militare oltremare. Suppongo che i ragazzi dovessero stendersele sopra cercando di dormire in trincee fangose — con una mano a grattarsi i pidocchi sulla schiena e l’altra a fare passaggi ai ratti che ci scorrazzano in mezzo. Comunque sia, non una di quelle zanzariere è mai arrivata in Francia! Però quei fabbricanti scrupolosi volevano assicurarsi che nessun soldato restasse senza la sua zanzariera, perciò vendettero altri 36 milioni di metri di reticolare anti-zanzare allo zio Sam. Allora ci si sono fatti dei bei soldini con le zanzariere, anche se in Francia non c’erano zanzare. Suppongo che se la guerra fosse durate appena un altro po’, quegli intraprendenti fabbricanti avrebbero venduto al solito zio Sam un paio di partite di zanzare da trasferire in Francia per alimentare le ordinazioni di reticolare.  Anche i fabbricanti di aeroplani e motori aerei avevano l’impressione di dover avere anch’essi la loro giusta porzione di profitti dalla guerra. Perché no? Tutti gli altri sì. Sicché lo zio Sam spese 1 miliardo di dollari — contateli se vi basta il tempo — per costruire motori aerei che non s’alzarono mai da terra! Né un motore, né tanto meno un aereo di quella commessa da un miliardo giunse mai in battaglia in Francia. Ma i fabbricanti si beccarono lo stesso il loro profitto del 30, 100, o magari 300%.

Le magliette dei soldati costavano 14¢ [centesimi] l’una e lo zio Sam le pagava da 30¢ a 40¢ — un profitto non male per il fabbricante. E i fabbricanti di calze, di divise, di berretti, di elmi, ebbero tutti la loro parte.  Quando la guerra fu finita, i magazzini da questa parte dell’oceano erano zeppi di 4 milioni di corredi — gli zainetti e i capi che li riempiono. Che adesso stanno finendo negli scarti perché il contenuto è cambiato per regolamento. Il che non ha influito sul profitto dei fabbricanti, pronti a rifarlo la prossima volta.

Durante la guerra c’erano caterve di idee brillanti per far profitti.

Un patriota molto versatile vendetta allo zio Sam dodici dozzine di chiavi fisse da 48 pollici [122 cm], gran belle chiavi davvero. L’unico guaio era che esisteva un solo dado di quelle dimensioni mai fabbricato, quello che fissa le turbine delle cascate del Niagara. Beh, dopo che il governo le aveva comprate e il fabbricante ne aveva intascato il prezzo, le chiavi furono messe su carri merci inviati ai quattro angoli del paese per trovarne un utilizzo. La firma dell’armistizio fu un duro colpo per il fabbricante: stava per fare qualche dado che s’adattasse alle chiavi, intendendo vendere pure quelli allo zio Sam.  Un altro ebbe la brillante idea che ai colonnelli non si confacesse andare in automobile, né a cavallo. Forse qualcuno ha visto un quadro di Andy Jackson a bordo di un carro buckboard [calesse a 4 ruote con piano di carico / antenato di pickup, ndt]. Manco a dirlo, 6.000 tali buckboard furono venduti allo zio Sam per l’uso dei colonnelli! Non uno fu mai usato. Ma il fabbricante ebbe il suo profitto di guerra.

I costruttori di navi pensavano anch’essi di procurarsi qualcosa del bottino. E costruirono un mucchio di navi ottenendone un mucchio di profitti da più di $3 miliardi in commesse. Di cui $635 milioni per natanti in legno che non stavano neppure a galla — le commessure si aprivano e affondavano. Ma le pagammo ugualmente; e qualcuno ne intascò i profitti.

Statistici, economisti e ricercatori hanno stimato il costo di quella guerra per il governo USA a $52 miliardi. Dei quali, $39 miliardi spesi per la guerra stessa, con una resa di $16 miliardi in profitti, davvero non da sputarci su. E così sono spuntati quei 21.000 miliardari e milionari; pochini peraltro per ben 16 miliardi!

La verifica della commissione del Senato al settore munizioni e ai suoi profitti in tempo di guerra, nonostante le sue sensazionali rivelazioni, ha a mala pena intaccato la superficie. Pur così, ha avuto qualche effetto. Il dipartimento di Stato ha studiato “per qualche tempo” metodi per tenersi alla larga dalla guerra. Il dipartimento della Guerra improvvisamente decide di avere un piano meraviglioso da presentare. L’Amministrazione nomina un comitato — con i dipartimenti della Guerra e della Marina degnamente rappresentati sotto la presidenza di uno speculatore di Wall Street — per limitare i profitti in tempo di guerra. Fino a che punto, non viene indicato. Hmmm. Forse i profitti del 300, 600, 1.600% di chi ha mutate il sangue in oro nella 1^ Guerra mondiale verrebbero un tantino limitati. Tuttavia il piano non evidenzia la richiesta di limitare le perdite

— di quelli, cioè, che combattono la guerra. Per quanto sono stato in grado di accertare, non c’è nulla nel progetto per limitare a un soldato la perdita di un solo occhio, di un braccio, o le sue ferite a una/due/tre; o limitare la perdita della vita. Non c’è nulla che dica che le perdite siano limitate al 12% di feriti in battaglia per un reggimento o al 7% degli uccisi per una divisione. Peraltro il comitato non può ovviamente badare anche a simili quisquiglie.

III. Chi paga il conto?

Chi fornisce i profitti — quelle modeste percentuali dal 20 al 1800%? Noi tutti, fiscalmente. Abbiamo pagato noi i profitti ai banchieri quando comprammo obbligazioni Liberty $100.- e rivendute loro a $84/86. Si è trattato di una semplice manipolazione. Son oi banchieri che controllano i mercati dei titoli; gli è stato facile deprimere il prezzo di quelle obbligazioni. Allora noi tutti – la gente – ci siamo spaventati e le abbiamo vendute a $84 o 86 ai banchieri che poi ne hanno stimolato un boom, così i buoni del tesoro sono risaliti al prezzo nominale e oltre. E i banchieri hanno intascato la differenza.  Ma sono i soldati a pagare la maggior parte del conto. Se non ci credete, visitate i cimiteri di americani sui campi di battaglia esteri. O qualsiasi ospedale per reduci negli Stati Uniti; in un giro per il paese, come sto facendo io al momento di questo scritto. Ne ho visitati diciotto, pubblici, per un totale di circa 50.000 uomini distrutti — che diciotto anni fa erano il fior fiore della nazione. L’abilissimo chirurgo capo all’ospedale governativo di Milwaukee, che ospita 3.800 dei morti viventi, mi ha detto che la mortalità fra i veterani è il triplo di quella di chi è rimasto a casa.

Ragazzi con normali prospettive furono tirati via dai campi, dagli uffici, dalle fabbriche e dalle aule, e ficcati nei ranghi; dove sono stati rimodellati, rifatti, per un vero “voltafaccia”; per considerare l’assassinio come l’ordine del giorno. Sono stati messi spalla a spalla e cambiati del tutto, mediante la psicologia di massa. Li abbiamo usati per un paio d’anni e addestrati a non pensare per nulla all’uccidere o all’essere uccisi.  Poi, improvvisamente, li abbiamo dimessi costringendoli a un altro “dietro-front”! Stavolta dovettero badare loro stessi a riaggiustarsi, senza psicologia di massa, senza assistenza di ufficiali e senza propaganda a livello nazionale. Non ci servivano più. Allora li abbiamo sparpagliati in giro senza più discorsi “di tre minuti” o sul “Prestito Liberty” o parate. Molti, troppi, di questi bei giovani sono finiti distrutti, mentalmente, perché non hanno saputo farcela da soli con quell’ultimo “voltafaccia”.

Nell’ospedale pubblico di Marion, Indiana, sono rinchiusi 1.800 di questi ragazzi! Cinquecento di loro in una caserma con sbarre e fil di ferro tutt’attorno all’esterno dei fabbricati e sulle verande. Questi sono già stati mentalmente distrutti. Non assomigliano neppure a esseri umani. Oh, che aspetto i loro visi! Fisicamente sono in forma, mentalmente sono finiti.

Ci sono svariate migliaia di casi del genere, e molti altri si presentano continuamente. La tremenda eccitazione della guerra, l’improvvisa cessazione di quell’eccitazione: i giovani non han saputo reggerla.

Ecco una parte del conto. Tanto basta per i morti, che hanno pagato la loro parte dei profitti di guerra. Tanto basta per i mentalmente e fisicamente lesi, che stanno pagandola. Ma anche gli altri hanno pagato — con il cuore infranto quando si sono strappati dai propri focolari e dalle proprie famiglie per indossare l’uniforme dello zio Sam, su cui s’erano fatti profitti; nei campi d’addestramento dove sono stati irreggimentati  e messi alla prova mentre altri prendevano il loro lavoro e il loro posto nella vita delle loro comunità; nelle trincee dove sparavano e gli sparavano, dove avevano fame per giorni di fila, dove dormivano nel fango e al freddo e alla pioggia, con i gemiti e le grida stridule dei morenti come orribile ninnananna.  Ma, non si dimentichi: i soldati hanno pagato anche parte del conto in denaro.

Fino alla guerra ispano-americana inclusa, avevamo un sistema a premi, e soldati e marinai combattevano per denaro; durante la guerra Civile gli si pagavano buoni prima che entrassero in servizio; il governo federale o dei singoli stati pagava fino a $1.200 per un arruolamento; alla guerra ispano-americana c’erano premi per la cattura di navi – o per lo meno ce n’era la legittima aspettativa. Poi si scoprì che si potevano ridurre i costi delle guerre trattenendo tutto il denaro dei premi, pur arruolando comunque i soldati, che non potevano, a differenza di tutti gli altri [lavoratori dipendenti], mercanteggiare il compenso per la propria fatica. Napoleone una volta disse: “Tutti gli uomini sono appassionati di decorazioni… ci sbavano davvero appresso”. E così, sviluppando il sistema napoleonico – le medaglie – il governò si rese conto di poter procurarsi soldati con meno denaro, dato che ai ragazzi piaceva essere decorati. Fino alla guerra Civile non ci fu nulla del genere; poi si cominciò a elargire la Medaglia d’onore del Parlamento, che rese più facili gli arruolamenti, benché non si siano istituite nuove medaglie fino alla guerra ispano-americana.

Nella 1^ Guerra, usammo la propaganda per far accettare la coscrizione ai ragazzi; altrimenti li si faceva vergognare. Quella propaganda era così nefanda che perfino Dio vi fu coinvolto: con poche eccezione il nostro clero si unì al clamore per uccidere, uccidere, uccidere; uccidere i tedeschi – Dio sta dalla nostra parte… è Sua volontà che siano uccisi i tedeschi. E in Germania i bravi pastori si appellavano ai tedeschi affinché uccidessero gli alleati …per compiacere lo stesso Dio. Ciò faceva parte della propaganda generale, disegnata per rendere la gente conscia della [necessità della] guerra e dell’assassinio. Così si dipinsero splendidi ideali per i nostri ragazzi inviati a morire: si trattava della “guerra per por fine a tutte le guerre”, “per mettere il mondo al sicuro per la democrazia”. Nessuno fece cenno, mentre se ne marciavano via, agli enormi profitti bellici collegati alla loro missione e al loro morirne. Nessuno disse a questi soldati americani che avrebbero potuto venire abbattuti da proiettili fatti dai loro fratelli qui, né che le navi sulle quali avrebbero attraversato l’Atlantico potessero essere silurate da sottomarini costruiti anche con brevetti degli Stati Uniti. Gli si disse solo che sarebbe stata una “gloriosa avventura.”

Avendoli così ingozzati di patriottismo, si decise di fargli anche contribuire a pagare la guerra. Dandogli un soldo mensile di ben $30, per il quale dovevano solo lasciare i loro cari, il loro lavoro, starsene sdraiati in trincee fradicie, mangiare volentieri scatolame (quando potevano arrivarci), e uccidere, uccidere ancora e di nuovo … ed essere uccisi. Ma, un attimo! Per la precisione, metà di quella paga (appena più di quella giornaliera di un rivettatore di cantiere navale o di un manovale in una fabbrica di munizioni al sicuro in patria) gli veniva prontamente trattenuta per il sostegno delle persone a suo carico di modo che non diventassero un onere per la sua comunità; poi gli si faceva pagare un’assicurazione contro i sinistri per $6 al mese — cosa che in uno stato illuminista è il datore di lavoro a pagare. E così gli restavano a mala pena $9 al mese. Poi, al colmo dell’insolenza, lo si mazzolava pure virtualmente facendogli comprare dei Liberty Bonds coi quali si pagava pure indirettamente munizioni, vestiario e alimenti.  Quasi tutti i soldati non ricevevano alcun denaro nei giorni di paga. Gli abbiamo fatto comprare quelle obbligazioni a $100 e poi gliele abbiamo ricomprate — quando se ne tornavano a casa e non riuscivano a trovar lavoro — a $84/ 86. E i soldati ne avevano comprate per circa $2 miliardi!  Sì, è il soldato a pagare la parte maggiore del conto; e paga pure la sua famiglia, con la stessa angoscia e sofferenza sua. Di notte, mentre il soldato sdraiato in trincea teneva d’occhio gli shrapnel che gli scoppiavano attorno, i famigliari a casa si rivoltavano insonni a letto — suo padre, sua madre, sua moglie, le sue sorelle, i suoi fratelli, i suoi figli e le sue figlie. Che soffrivano anche quando lui tornava a casa, sovente senza un occhio, senza una gamba o con la mente disturbata, quanto lui o anche di più. E anch’essi contribuivano con propri dollari ai guadagni dei vari profittatori di Guerra; anch’essi avevano comprato Liberty Bonds a beneficio dei banchieri dopo l’Armistizio nel gioco truccato dei prezzi manipolati delle obbligazioni. Anche adesso [una ventina d’anni dopo] le famiglie dei feriti, dei mentecatti e dei disadattati stanno ancora soffrendo e pagando.

IV. Come annientare questo racket!

Beh, è un racket, d’accordo. Pochi se ne avvantaggiano e molti pagano. Ma c’è modo di interromperlo. Non ci si riesce con conferenze sul disarmo. Non lo si elimina con negoziati di pace a Ginevra. Associazioni ben-intenzionate ma carenti di senso pratico non lo cancelleranno con delle risoluzioni. Lo si può efficacemente annientare solo togliendo il profitto dalla guerra.

Il solo modo per farlo fuori è arruolare capitale e industria e manodopera prima – un mese prima – che gli uomini delle nazioni possano essere arruolati. Vengano arruolati i funzionari e i direttori e i manager plenipotenziari delle nostre fabbriche di armamenti e munizioni e dei nostri cantieri navali e dei nostri costruttori di aerei e i fabbricanti di tutto ciò che fornisce profitto in tempo di guerra nonché i banchieri e gli speculatori — a $30 al mese, come i ragazzi nelle trincee.

I lavoratori in questi impianti percepiscano lo stesso salario — tutti i lavoratori, tutti i presidenti, tutti i dirigenti, tutti i direttori, tutti i manager, tutti i banchieri — proprio così, e anche tutti i generali e tutti gli ammiragli e tutti i detentori di uffici governativi, chiunque nella nazione abbia un reddito mensile che non ecceda quello pagato ai soldati in trincea! Tutti questi re e magnati e maestri d’affari e tutti i lavoratori dell’industria e tutti i nostri senatori e governatori e maggiori paghino metà del loro soldo mensile di $30 alle proprie famiglie e l’assicurazione per i rischi di guerra e comprino i Liberty Bonds. Perché non dovrebbero? Non corrono alcun rischio di essere uccisi o menomati o

rintronati. Non dormono in trincee fangose. Non sono affamati. Lo sono i soldati! Si diano al capitale e all’industria e alle maestranze trenta giorni per pensarci su, e si scoprirà entro quel termine che la guerra non ci sarà. Questo sbriciolerà il racket della guerra — questo e nient’altro. Può darsi che io sia un po’ troppo ottimista. Il capitale ha pur sempre voce in capitolo, e quindi non permetterà il prelievo del profitto bellico fintanto che la gente — quelli che hanno la sofferenza e pagano ugualmente il prezzo — si chiarisca che chi essa elegge alle varie funzioni deve badare ai suoi bisogni e non a quelli dei profittatori.

Un’altra misura da prendere in questa lotta per annientare il racket bellico è la limitazione del plebiscito di approvazione di una guerra a chi effettivamente la combatterà e ci morirà, non a tutti gli elettori. Non ci sarebbe gran senso in un presidente 76enne di fabbrica di munizioni o in un capo di banca internazionale o in un gestore strabico di sartoria per divise — tutti quanti con allettanti prospettive di lauti profitti in caso di guerra — che votino se la nazione debba o no entrare in guerra, loro che non sarebbero mai chiamati a imbracciare un fucile, e neppure a dormire in trincea o a farsi sparare. Solo chi rischierebbe la vita dovrebbe avere il privilegio di decidere.

Ci sono ampi precedenti in proposito; molti nostri stati hanno restrizioni alla facoltà di voto. Perlopiù è necessario saper leggere e scrivere, e talora avere una proprietà immobiliare per poter votare. Sarebbe una faccenda semplice ogni anno per chi diventi d’età atta al servizio militare registrarsi nella propria comunità come al tempo della 1^ Guerra mondiale ed essere esaminato fisicamente. Gli idonei verrebbero chiamati alle armi e avrebbero diritto di voto nel plebiscito ristretto e la potestà di decidere — non un Congress pochi dei cui membri sono entro il limite d’età e meno ancora in condizioni fisiche tali da imbracciare le armi. Solo chi dovrà soffrire avrebbe diritto di voto.

Un terzo passo nell’impresa di demolizione del racket di guerra è assicurarsi che le nostre forze militari siano davvero forze di sola difesa.  Ad ogni sessione parlamentare emerge la questione di ulteriori stanziamenti per la marina. Gli ammiragli su sedia girevole di Washington (ce ne sono sempre caterve) sono lobbisti molto sagaci e intelligenti: non gridano mai che “ci servono molte navi da guerra per combattere questa o quella nazione”; oh no, anzitutto fanno sapere che l’America è minacciata da una grande potenza navale. Quasi qualunque giorno, questi ammiragli vi diranno, la grande flotta di quel presunto nemico colpirà d’improvviso annientando 125 milioni di persone, proprio così. Poi cominciano a frignare per una marina più possente. Per? A puro scopo di difesa. Poi, incidentalmente annunciano manovre nel Pacifico – per difesa, ah ah! Il Pacifico è un oceano immenso, e noi abbiamo una lunghissima costa sul Pacifico. Le manovre saranno a poche centinaia di miglia al largo? Oh, no, fra duemila e tremilacinquecento miglia dalla costa! Ne saranno lieti i giapponesi, gente fiera, di avere la flotta USA così vicino alle proprie coste; più o meno quanto lo sarebbero i californiani scorgendo fra le brume mattutine la flotta giapponese giocare alla guerra davanti a Los Angeles.  Se ne deduce che le navi della nostra marina dovrebbero essere tenute per legge entro 200 miglia dalle nostre coste. Se fosse stata quella la legge nel 1898, la Maine non sarebbe mai andata al porto della Havana, non sarebbe stata fatta saltare, non ci sarebbe stata la guerra con la con tanto di vite perse. Duecento miglia sono un ampio spazio per scopi di difesa, secondo gli esperti; la nostra nazione non può scatenare un’offensiva con le proprie navi costrette entro tale distanza. Agli aerei si potrebbe permettere di arrivare a 500 miglia dalla costa a scopo di ricognizione. E l’esercito non dovrebbe mai varcare i limiti territoriali della nazione.

Ricapitolando: tre passi da intraprendere per cancellare il racket della guerra.

  1. Dobbiamo togliere il profitto dalla guerra.
  2. Dobbiamo permettere ai nostri giovani che imbraccerebbero le armi di decidere se o no entrare in guerra.
  3. Dobbiamo limitare le nostre forze militari a soli scopi di difesa.

V. All’inferno la guerra!

Non sono cosi ingenuo da credere che la guerra sia qualcosa del passato. So che la gente non vuole la guerra, ma non serve dire che non possiamo essere sospinti in un’altra guerra. Guardando al passato, Woodrow Wilson fu rieletto a presidente nel 1916 su una base programmatica e l’implicita promessa che ci avrebbe “tenuto fuori dalla guerra”. Eppure, cinque mesi dopo chiese al Congress di dichiarare guerra alla Germania. In quei cinque mesi non si è chiesto al popolo se avesse cambiato idea, né ai 4milioni di giovani che indossarono la divisa e marciarono o navigarono verso la loro destinazione se volessero proseguire e soffrire e morire. Allora che cosa causò così d’improvviso il cambiamento di parere del governo? Denaro. Come si può rammentare, una commissione alleata arrivò poco prima della dichiarazione di guerra e fece visita al presidente. Che adunò un gruppo di consiglieri e ascoltò quanto il loro capo aveva da dire, cioè, spogliato del linguaggio diplomatico: “Non è il più caso di illuderci. La causa degli alleati è perduta. Ora vi (ai banchieri/fabbricanti di munizioni/manifatturieri7speculatori/esportatori) dobbiamo cinque o sei miliardi di dollari. Se perdiamo (e sarà così senza l’aiuto degli Stati Uniti),noi – Inghilterra, Francia e Italia – non saremo in grado di ripagarvi … e la Germania non lo farà. Quindi …”   Se la segretezza fosse stata messa fuori legge per quanto riguardava i negoziati di Guerra, e se alla conferenza fosse stata presente la stampa o ci fosse stata disponibile la radio per trasmettere il procedimento, l’America non sarebbe mai entrata nella (1^) guerra mondiale. Ma invece la conferenza era blindata nel segreto; così, ai giovani soldati in partenza per l’Europa venne detto che si trattava di “una guerra per rendere il mondo al sicuro per la democrazia” e ”una guerra per por fine a tutte le 

guerre”. Beh, diciotto anni dopo il mondo ha meno democrazia di quanta ne avesse allora. Inoltre,

che ruolo dovremmo avere noi se la Russia o la Germania o l’Inghilterra o la Francia o l’Italia o l’Austria vivono in democrazie o monarchie? Se sono fascisti o comunisti? Il nostro problema è preservare la nostra democrazia. E si è raggiunto ben poco, se mai, per assicurarci che la Guerra mondiale fosse davvero la guerra che poneva fine a tutte le guerre. Sì, abbiamo avuto conferenze sul disarmo e sul contenimento delle armi. Che non vogliono dir nulla. Una è semplicemente fallita, i risultati di un’altra sono stati azzerati. A queste conferenze mandiamo i nostri soldati e marinai professionisti e i nostri politici e diplomatici. E che cosa ci succede? I soldati e mainai professionisti non vogliono disarmare. Nessun ammiraglio vuole essere senza una nave; nessun general vuole restare senza un comando. In ambo i casi si tratta di uomini senza un’occupazione. Non sono per il disarmo. Non possono essere per limitazioni di armi. E a tutte queste conferenze, quatte nello sfondo ma onnipotenti, sempre le stesse, sono i sinistri agenti di chi approfitta della guerra. Provvedono loro a che queste conferenze non disarmino o limitino seriamente gli armamenti.

La mira principale di qualunque potenza a tutte queste conferenze non è stata raggiungere il disarmo per prevenire la guerra ma piuttosto procurare più armamenti per sé stessi e meno per qualunque nemico potenziale.

C’è solo un modo per disarmare, con delle sembianze di praticabilità, cioè che tutte le nazioni si mettano assieme e rottamino ogni nave, ogni arma da fuoco, ogni carrarmato, ogni aereo da guerra. Perfino questo, quand’anche fosse possibile, non basterebbe. La prossima guerra, secondo gli esperti, non verrà combattuta con corazzate, artiglierie, fucili e mitragliatrici, bensì da sostanze chimiche e gas letali.  Segretamente ciascuna nazione sta studiando e perfezionando mezzi di annientamento all’ingrosso del nemico nuovi e più terrificanti. Si continueranno a costruire navi, perché i costruttori devono ottenere il loro profitto; e così cannoni e polvere da sparo, per la gioia dei fabbricanti di munizioni. E i soldati dovranno pur sempre indossare uniformi, così anche le aziende di confezione avranno i loro abituali profitti di guerra. Ma vittoria o sconfitta saranno determinate dall’abilità e dall’ingegno dei nostri scienziati.  Se li mettiamo al lavoro per fare gas velenosi e strumenti di distruzione meccanici ed esplosivi sempre più diabolici, non avranno tempo per il lavoro costruttivo di realizzare una maggior prosperità per tutti i popoli. Impiegandoli invece a tale utile lavoro possiamo fare più soldi con la pace che con la guerra — perfino i fabbricanti di munizioni.

Quindi…dico: ALL’INFERNO LA GUERRA!

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Il Generale di divisione Smedley Darlington Butler, soprannominato “Vecchio sguardo penetrante” (30.07. 1881 – 21.06.1940) era un alto ufficiale del Corpo dei Marine USA che combatté nella Rivoluzione Messicana e nella 1a Guerra Mondiale. Era, al tempo della sua morte, il marine più decorato della storia USA. Wikipedia

TMS PEACE JOURNALISM, 9 Mar 2020 | Major General Smedley Butler – TRANSCEND Media Service

Titolo originale: War Is a Racket

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

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