Arte e cultura, percorsi alternativi di salvezza. Alle Vele | A. Po.

Napoli. Dai graffiti al Mammut

Sacmpia, murales all'interno delle Vele
 Scampia, murales all’interno delle Vele

A Scampia in principio era il Gridas – Gruppo di risveglio dal sonno fondato nel 1981 da Felice Pignataro, «il graffitista più prolifico del mondo» secondo il critico Ernst H. Gombrich. Quarant’anni di educazione alla politica e all’arte dal basso, in perenne lotta contro lo sfratto, la sede è in una palazzina Iacp degli anni Cinquanta, faceva parte del quartiere Ina Casa ed era destinata a centro sociale. «Il rione era nato bene – ricorda Mirella La Magna, vedova di Pignataro, cofondatrice dell’associazione – c’erano le pinetine, gli anfiteatri per gli spettacoli e le aree per i bambini. Con la costruzione del nuovo quartiere Ises a Secondigliano le cose sono cambiate: case non finite occupate dai baraccati, utilizzati come paravento per non finire i lavori. Lo Stato se ne è lavato le mani ed è cominciato il degrado». Dal Gridas sono nati il carnevale di quartiere (maschere, canti e tamburi in giro per i vialoni del rione) con le magnifiche locandine ad annunciarlo, il cineforum gratuito, i laboratori di creatività manuale base di partenza per gli oltre 250 murales realizzati in ogni parte d’Italia. La stazione Scampia della metro ospita parte del lavoro di Pignataro.

Tra gli anni Novanta e Duemila si afferma la cultura hip hop con le notti passate a fare rime, breakdance battle, edifici e stazioni come tele per i writer. Nel 1998 viene organizzata una jam, «XXL», proprio sotto il parcheggio della metro di Scampia. Negli anni 2000 è tempo di faida ed esplode la scena rap, una leva di musicisti racconta la vita di strada utilizzando il napulegno, il napoletano duro del vicolo. Da Scampia arriva Lucariello, da Piscinola i Fuossera, da Marianella Luché e Ntò che formano i Co Sang, autori nel 2006 dell’album Chi more pe’ mme. La serie Gomorra ha dato alle Vele un posto nell’immaginario mondiale, gli sceneggiatori hanno trovato un luogo che offriva già tutto: la cronaca, le immagini architettonicamente potenti, un linguaggio, un’attitudine al mestiere d’attore e la colonna sonora. Al mondo neomelodico di cantanti come Alessio con brani come Ancora noi fa da contraltare la sigla di Ntò e Lucariello, Nuje vulimme ‘na speranza.

E poi c’è il teatro con il progetto «Arrevuoto», in collaborazione con lo stabile di Napoli: Maurizio Braucci e l’associazione «Chi rom e…chi no» portano avanti un progetto che coinvolge gli studenti di centro e periferia cancellando le barriere sociali, rimescolando linguaggi e metodi di apprendimento, facendo scoprire la comunità rom che a Scampia si è insediata negli anni Settanta. E infine è arrivato Chikù: spazio culturale e ristorante italo-romanì, a marzo ospiterà l’assemblea nazionale delle Sardine. E ancora il giardinaggio comunitario organizzato da Aldo Bifulco con il circo Le Gru di Legambiente, la palestra del maestro Gianni Maddaloni, la casa editrice Marotta&Cafiero che da Posillipo è rinata a Scampia.

E c’è il Mammut, il centro di ricerca di piazza Giovanni Paolo II, sotto il porticato che ricorda proprio un mammut. Hanno cominciato nel campo rom di via Zuccarini nel 1997 e da lì, basandosi su studiosi come Maria Montessori e Célestin Freinet, hanno elaborano percorsi di «ricerca azione» dentro e fuori le scuole coinvolgendo territorio, educatori, ragazzi e adulti uscendo dal dogma e dal principio di autorità. «Usiamo psicologia, antropologia, sociologia, urbanistica – spiega Giovanni Zoppoli – per non rimanere schiacciati dalle dinamiche della piazza, trasformandola in grimaldello per cambiare le cose».


il manifesto, EDIZIONE DEL 18.02.2020

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