Il cielo sopra Berlino | Domenico Gallo

Domani, il 9 novembre, matura una ricorrenza della storia che oggi ci appare sbiadita, ricoperta dalla polvere del tempo. Fu una notte di festa straordinaria, quando i vopos si ritrassero e una folla sterminata si precipitò a scavalcare quel muro che per 28 anni aveva diviso in due il cielo dei berlinesi; diviso le famiglie; separato i destini di chi si trovava al di là o al di qua del muro. Una barriera luttuosa non solo in senso metaforico, se si considera che furono uccise dalla polizia di frontiera della DDR almeno 133 persone mentre cercavano di superare il muro verso Berlino Ovest; una ferita sanguinosa inferta nel corpo vivo del popolo tedesco che, improvvisamente, spariva nel corso di una sola notte.

Il crollo del muro di Berlino fu vissuto in tutto il mondo come l’epifenomeno che annunciava la fine di un’era, quella della guerra fredda, e la caduta di quella impenetrabile barriera politica e militare, la cortina di ferro, che aveva diviso l’Europa lungo le linee armistiziali della seconda guerra mondiale. In effetti quell’evento simbolico poneva fine definitivamente alla seconda guerra mondiale che a Berlino non si era ancora conclusa. Chi arrivava a Berlino, prima di quel fatidico 9 novembre, aveva l’impressione di essere ritornato indietro nel tempo. Innanzitutto vi si poteva arrivare soltanto con i voli della compagnie nazionali delle quattro Potenze vincitrici della guerra: British Airways, Airfrance, TWA, Aerflot. Berlino era ancora divisa in quattro settori controllati e amministrati da Unione Sovietica, Stati Uniti d’America, Regno Unito e Francia. Attraversando la città, si trovavano gli avvisi scritti nelle quattro lingue: state lasciando il settore d’occupazione britannico, francese, americano e, quando si arrivava al settore di occupazione sovietico, non ci si poteva sbagliare, il muro e i check point parlavano chiaro.

Fu una festa a Berlino, ma in tutto il mondo si tirò un sospiro di sollievo; l’epoca dei muri, del confronto brutale fondato sulla forza, della corsa agli armamenti, dell’equilibrio del terrore franava sotto i nostri occhi sotto l’effetto del terremoto della storia. Al suo posto nasceva la speranza di una nuova epoca in cui si potesse avverare la profezia della Carta della Nazioni Unite, di un’umanità liberata per sempre dal flagello della guerra, dove le relazioni internazionali e interne agli Stati fossero regolate dal diritto e dalla giustizia.

Questa speranza è stata smantellata rapidamente dagli architetti dell’ordine mondiale.

Dopo il primo decennio, l’artefice della caduta del muro di Berlino Michail Gorbaciov tracciò un primo sconfortante bilancio in un articolo pubblicato sul La Stampa del 3 novembre 2011. Osservava Gorbaciov che con la perestroika era stato avviato uno straordinario processo di rinnovamento delle relazioni internazionali, che aveva conseguito già risultati importanti con le conferenze di Vienna, di Parigi, con i progetti dell’eliminazione delle armi nucleari, chimiche, batteriologiche, ma «dopo la fine dell’URSS questi processi positivi furono interrotti». In ogni caso, continuava Gorbaciov, «subentrò in molti circoli occidentali l’euforia della vittoria, tanto più gradita quanto meno prevista. Si perdette tempo prezioso nelle infinite celebrazioni del trionfo sul comunismo. E si perdette di vista la complessità del mondo, i suoi problemi, le sue gravissime contraddizioni. Si dimenticò la povertà e l’arretratezza, ci si preoccupò di ricavare il massimo vantaggio dagli squilibri esistenti invece che cercare di ridurli, di controllarli, Ci si dimenticò della necessità di costruire un nuovo ordine mondiale, più giusto di quello che ci si era lasciato alle spalle. Così, nel decennio che è appena finito, si è accesa una miccia, che l’11 settembre 2001 ha portato il fuoco all’esplosivo. Quel giorno è stato anche, in un certo senso, il prezzo terribile di un decennio perduto».

Adesso, dopo molti anni, possiamo dire che stiamo pagando il prezzo terribile di un trentennio perduto. Il muro di Berlino appena abbattuto è stato sostituito da muri molto più impenetrabili ed estesi, anche in senso fisico: il muro di Trump, esteso sui 3.140 km di confine fra Stati Uniti e Messico; il muro di Orban, il muro delle acque costruito nel Mediterraneo nel quale sono periti oltre 30.000 migranti nel corso di 15 anni.

Quell’avvenire che ci aveva promesso la caduta del muro di Berlino è ormai tramontato. Come recita la dolente canzone di Luigi Tenco: i sogni sono solo sogni e l’avvenire è ormai quasi passato.


Fonte: Volere la luna, 08/11/2019 – di Domenico Gallo

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