Incatenti al proprio passato: una ricetta tedesca per l’ingiustizia verso il popolo della Palestina | Hans von Sponeck e Richard Falk

Quest’articolo è scritto in collaborazione con il mio caro amico da lunga data Hans von Sponeck, per esperienza famigliare e disposizione morale acutamente conscio dei dilemmi della politica tedesca collegati al suo passato. Tali problematiche sono recentemente emerse nel contesto della soppressione dell’attivismo nonviolento pro-palestinese, trattata in modo che riteniamo tendenti a riprodurre anziché trascendere i mali dell’era nazista, prendendo misure protettive della criminalità israeliana rispetto alle pressioni esercitate dal movimento di solidarietà globale alla causa palestinese. Abbiamo tentato di pubblicare dapprima questo articolo d’opinione in una serie di quotidiani tedeschi di primo piano, ricevendone dinieghi. A quanto pare, i guardiani mediatici dell’opinione pubblica tedesca considerano preferibile il silenzio alla trattazione e al dibattito su  questo tema cruciale.

Come nota biografica, Hans è ex-Assistente Segretario Generale dell’ONU a capo del Programma Petrolio contro Alimenti in Iraq nel proprio ruolo di Coordinatore Umanitario per l’Iraq nel periodo successivo alla Prima Guerra del Golfo (1993) finché si dimise per principio a causa del mantenimento di sanzioni punitive responsabili di moltissime vittime civili in Iraq.


La deliberazione del Bundestag del 15 maggio u.s., che condannava la Campagna BDS Campaign in quanto contribuirebbe a una maggiore minaccia di antisemitismo in Europa, è una grave causa di preoccupazione. Bolla il BDS, iniziativa nonviolenta palestinese, come antisemitico e sollecita il governo tedesco a rifiutare sostegno non solo al BDS ma a qualunque organizzazione che vi collabori. Assume questa posizione mettendo in risalto la responsabilità speciale della Germania verso gli ebrei, senza alcun riferimento di sorta al protratto abuso di Israele del diritto umano più fondamentale, quello dell’auto-determinazione, del popolo palestinese. La mozione tedesca trascura anche di riferirsi al ruolo importante che ebbe una precedente Campagna BDS – contro il Sud Africa – nel realizzare una fine nonviolenta al regime di apartheid, tale per cui neppure gli oppositori a quel BDS per motivi strategici o pragmatici furono mai tentati dal demonizzarne i promotori.

Quel che disturba particolarmente è l’approccio punitive al BDS intrapreso dal potere legislativo tedesco. Si dovrebbe ricordare che, nonostante parecchia opposizione alla campagna sudafricana, non si tacciarono mai i suoi attivisti di un’attività legalmente e moralmente inaccettabile; le obiezioni si basavano su criteri di fattibilità e sugli [eventuali] effetti, oltre che sulla pretesa che ai sudafricani neri andasse meglio che ai loro pari nel resto del continente.

In essenza, crediamo che questa mozione sia il modo sbagliato d’imparare dal passato tedesco. Invece di optare per la giustizia, il diritto [internazionale] e i diritti umani, il Bundestag non menziona mai neppure il popolo palestinese e i tormenti che sta vivendo, che appunto il BDS sta sfidando. Dare luce verde alle politiche israeliane oppressive ed espansioniste è avallare implicitamente politiche di castigo collettivo e abuso dei deboli, che rievochiamo come le caratteristiche più odiose dell’era nazista.

Noi autori scriviamo con passati molto differenti, ma condividendo un impegno per una forte ONU e per il dovere dei paesi membri, grandi e piccolo, di rispettare il diritto internazionale e promuovere la giustizia globale.  Condividiamo inoltre una perdurante consapevolezza dell’Olocausto come terribile tragedia del popolo ebraico e di altri, nonché di crimine orrendo della Germania e di altri paesi nel passato; e condividiamo pertanto un impegno indefettibile per un ordine globale in cui tali tragedie e criminalità non avvengano più a danno né del popolo ebraico né di tutti gli altri ovunque.  Siamo pure ben memori che tali tragedie e crimini sono stati perpetrati anche dopo il 1945 contro varie etnie e popoli bersagliati, fra i quali in Cambogia, Rwanda, Serbia e, più di recente, i Rohingya in Myanmar.

Anche i nostri background sono alquanto diversi. L’uno è tedesco e cristiano (von Sponeck), l’altro (Falk) è [nord]americano ed ebreo. Von Sponeck è figlio di un generale ucciso dai nazisti a 2^ guerra mondiale inoltrata, ed era andato in Israele nel 1957 a lavorare in un moshav e vari kibbutzim. Ha lavorato come funzionario internazionale ONU per 32 anni, assurgendo al rango di Assistente Segretario Generale. La sua carriera ONU terminò quando si dimise da Coordinatore ONU del Programma Petrolio contro Alimenti (1998-2000) per protesta alla politica di sanzioni all’Iraq del Consiglio di Sicurezza ONU che procurò la morte di innumerevoli innocenti civili irakeni. Dalle sue dimissioni, von Sponeck insegna e tiene conferenze in varie sedi e ha pubblicato saggi su argomenti ONU, fra cui The Politics of Sanctions on Iraq and the UN Humanitarian Exception [La politica delle sanzioni all’Iraq e l’eccezione umanitaria ONU] (2017).

Falk è statunitense, ex-membro del senato accademico dell’Università di Princeton per 40 anni, come professore di diritto internazionale alla cattedra Albert G. Milbank. La sua genealogia comprende nonni paterni tedeschi, nati in Baviera non lontano da Monaco ed emigrati in USA a metà dell’800. Fra il 2008 e il 2014, Falk è stato Special Rapporteur per la Palestina Occupata per conto del Consiglio dei Diritti Umani ONU. Ha pubblicato ampiamete su argomenti internazionali, fra cui recentemente Power Shift: On the New Global Order [Cambio di potere: sul nuovo ordine globale](2016) e Palestine: The Legitimacy of Hope [Palestina: la legittimità della speranza] (2017).

Abbiamo analizzato il fallimento della diplomazia internazionale nel trovare una soluzione al conflitto fra Israele e Palestina. Crediamo che Israele abbia la maggior responsabilità per tale fallimento, che è risultato in decenni di acuta sofferenza per il popolo palestinese. Crediamo che la radice di tale fallimento sia il progetto sionista d’imporre uno stato ebraico a una società essenzialmente non-ebraica. Ciò ha inevitabilmente provocato una resistenza palestinese, e un insieme di strutture a base sempre più razzista, disegnate per mantenere il popolo palestinese come insieme soggiogato entro il proprio paese. Crediamo inoltre che possa venire pace per entrambi i popoli solo quando tali strutture di apartheid siano smantellate, come lo furono in SudAfrica oltre 25 anni fa.

In contrasto con questo sfondo troviamo la riluttanza del governo tedesco e del popolo tedesco a reagire a questa circostanza d’ingiustizia inaccettabile e alla sua tacita acquiescenza in Germania, particolarmente preoccupante ed estremamente deprecabile. Sia noi due sia le nostre famiglie siamo in vari sensi vittime del nazismo; il che, tuttavia, non c’impedisce d’insistere che l’esitazione tedesca alla critica dell’etnocentrismo israeliano evidenzia un pericoloso malinteso della rilevanza del passato nazista. L’Olocausto dovrebbe soprattutto servire ad ammonire il mondo contro l’ingiustizia, il crimine di stato, e la vittimizzazione di un popolo basata sulla sua identità razziale e religiosa. Non dovrebbe esentare Israele dalla responsabilità legale e morale giusto perché i suoi dirigenti sono ebrei e molti suoi cittadini ebrei sono apparentati a vittime dell’Olocausto.

Israele pretende un’identità mediante l’adozione del 2018 da parte del Knesset di una Legge Base come lo Stato-Nazione degli ebrei, come se ciò conferisse un mandato d’impunità. La lezione dell’Olocausto ha a che fare l’abuso, la criminalità e la vittimizzazione, e non dovrebbe essere pervertita da qualunque implicazione sovversiva che poiché gli ebrei sopportarono crimini orrendi in passato siano esenti da responsabilità allorché commettono crimini attuali. Ricordiamo la lettera di Albert Einstein a Chaim Weizmann nel 1929 in cui scrisse:

“Se non riusciamo a trovare la via di un’onesta cooperazione e di ragionevoli accordi con gli arabi, non avremo imparato nulla dal nostro tormento di duemila anni e meriteremo il destino che ci assedierà!”

Il governo israeliano deve rendersi conto che molto dell’aumento minaccioso di sentimenti anti-ebraici e anti-israeliani in Europa e altrove ha la sua origine proprio nelle politiche che persegue.

Ci aspettiamo che la nostra implorazione venga attaccata in modo veemente come anti-sionista ea addirittura antisemita. Parte della funzione di tali attacchi è congelare le reazioni tedesche con memento dell’Olocausto e la falsa suggestione che criticare Israele e il sionismo sia un rinnovo dell’aggressione agli ebrei e all’ebraismo. Insistiamo che tale non è assolutamente il caso, anzi proprio il contrario: afferma che i valori di fondo della religione ebraica e i valori umanistici in generale sono collegati alla giustizia, e che questo uso di calunnie antisemite è una tattica del tutto inaccettabile per schermare Israele da critiche giustificabili. Tale genere d’intimidazione dovrebbe essere contrastato e superato.

Da questa prospettiva è nostra convinzione e speranza che la Germania e il popolo Tedesco abbiano la forza di liberarsi dall’inebetimento morale indotto dai cattivi ricordi del passato, e possano unirsi alla lotta contro l’ingiustizia. Una tale dinamica d’invigorimento morale sarebbe chiara se la Germania dovesse mostrare empatia per la tragedia palestinese, e prestasse il proprio sostegno a iniziative nonviolente progettate per esprimere solidarietà e incoraggiamento per il movimento nazionale palestinese nel far valere i diritti basilari, compreso soprattutto il diritto inalienabile all’autodeterminazione.

Siamo incoraggiati più che altro dal non esplicarsi le nostre azioni in un vuoto qui in Germania. Prendiamo nota degli sforzi dedicati degli Humboldt Three in protesta contro l’apartheid israeliano, e del sostegno diffuso ricevuto dall’azione di questi giovani, due israeliani e un palestinese, il cui messaggio denso d’ispirazione è simile al nostro. E’ ora che il governo tedesco e i suoi cittadini rompano il silenzio, riconoscano che il passato nazista viene superato al meglio dall’attiva opposizione all’ingiusta oppressione del popolo palestinese. Proviamo pure consonanza con la Lettera Aperta ampiamente avallata da intellettuali di tutto il mondo, molti dei quali in Israele, che s’appella alle ‘singole persone e istituzioni in Germania’ per por fine a tutti i tentativi di commistione della critica ad Israele con l’antisemitismo.

Crediamo che la pace fra ebrei e arabi in Palestina dipenda dall’intraprendere passi per ristabilire uguaglianza di rapporti fra questi due popoli troppo a lungo inimicati. Questo può avvenire solo se le attuali strutture di apartheid vengono smantellate quale preludio alla pace. Il precedente sud-africano mostra che ciò può avvenire, ma solo quando le pressioni internazionali si combinano con la resistenza nazionale. Sembrava impossibile in SudAfrica fino al momento stesso in cui avvenne. Sembra impossibile in questo momento riguardo a Israele, ma l’impossibile avviene quando è allineato con le esigenze di giustizia, e mobilita il sostegno di gente di buona volontà di tutto il mondo. Il flusso della storia ha favorito il versante militarmente più debole nei grandi movimenti anti-coloniali della seconda metà del 20° secolo, e noi quindi non dovremmo perdere la speranza in un esito giusto per israeliani e palestinesi benché l’attuale equilibrio di forze favorisca adesso la dominanza israeliana.

È anche importante tenere a mente che non ci può essere pace fintanto che al popolo palestinese vengono negati i diritti basilari. Qualunque accordo raggiunto mentre permane l’apartheid non sarebbe altro che una tregua. Una pace sostenibile dipende dal riconoscimento e dall’attuazione dell’uguaglianza dei due popoli sulla base della reciproca auto-determinazione. La Germania e i tedeschi hanno una grande opportunità di promuovere una tale visione, e così facendo di liberare il paese dal suo passato. In un senso profondo, che siamo tedeschi, americani o altri, ciascuno di noi deve nulla di meno ai popoli ebreo e palestinese.


PALESTINE – ISRAEL, 23 Sep 2019 | Hans von Sponeck and Richard Falk | Global Justice in the 21st Century – TRANSCEND Media Service

Titolo originale: Chained to Its Past: A German Recipe for Injustice toward the People of Palestine

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

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