Ai confini dell’estrattivismo: il saccheggio del patrimonio spirituale

Elena Camino

Estrattivismo: una definizione ambigua

Secondo la versione inglese di Wikipedia (che qui traduco in italiano) “estrattivismo si riferisce al processo di rimozione di grandi quantità di materiali  grezzi  o naturali, soprattutto  per destinarli all’esportazione. La maggior parte delle risorse estratte viene esportata perché vi è una mancanza di domanda nei paesi di origine.”   

Estrattivismo come saccheggio e rapina

La definizione fornita da Wikipedia è ambigua, e la frase ‘una mancanza di domanda’ è davvero fuorviante.  Conviene cercare altre fonti per capire meglio di che cosa si tratta. 

In Italia il tema dell’estrattivismo  è stato presentato (tra gli altri) dal giornalista Raul Zibechi in un libro pubblicato nel 2016:  “La nuova corsa all’oro. Società estrattiviste e rapina[1]. Nel presentarlo il curatore Aldo Zanchetta descrive l’estrattivismo come quel «processo che coinvolge grandi interessi privati, nazionali ed esteri, lo Stato e la finanza nelle sue varie articolazioni per accaparrar[si] le risorse presenti sui territori contro gli interessi delle comunità locali e dell’ambiente da cui queste dipendono e trovano ancora in gran parte del pianeta il loro sostentamento e modalità di organizzazione della società». Questo libro costituisce il quinto quaderno di Abya Yala, il nome con il quale il popolo Kuna, allora insediato in una regione che oggi corrisponde al nord della Colombia, indicava l’intero continente, prima dell’arrivo degli europei.  In questo libro viene introdotto un concetto ampio di estrattivismo, proprio nella sua accezione originaria, che dall’America Latina si è allargata a tutto il sud globale

Estrazione di risorse e impatti devastanti sulle persone; grandi opere che lasciano cicatrici profonde sull’ambiente, violando spesso i diritti umani di intere comunità: sono questi i temi al centro di “Le nuove frontiere della società estrattivista“, un documento interattivo pubblicato nel 2017, composto da video, musiche e testi, realizzato da Elena Gerebizza e Luca Manes per Re:Common, un’associazione che si occupa di inchieste e campagne contro la corruzione e la distruzione dei territori in Italia e nel mondo.  Fino a un paio di anni fa la parola “estrattivismo” era poco diffusa,  e ancor oggi sui media ‘mainstream’ è poco usata, ma secondo Luca  Manes  “utilizzarla permette di collegare, con un lungo filo rosso, episodi palesi ed evidenti di estrazione di risorse (quindi le azioni dell’industria mineraria, o lo sfruttamento dei combustibili fossili) e tutti quei progetti che hanno un impatto disgregante sulle comunità, come le grandi opere.”

Combattere la corruzione nelle industrie estrattive

Un’iniziativa di Global Witness, un’Associazione internazionale da molti anni impegnata a combattere  fenomeni di corruzione e di rapina che caratterizzano  le strategie di molte grandi società multinazionali estrattive (gas, petrolio, minerali, sabbia, ecc.)  intende portare alla luce i ‘Milioni mancanti’, grazie alla pubblicazione di una Guida  (Finding The Missing Millions),  che aiuta cittadini e istituzioni a conoscere l’ammontare degli scambi economici tra i vari partner delle industrie estrattive. La mancanza di trasparenza nelle transazioni finanziarie gestite dalle grandi  industrie petrolifere e minerarie ha consentito finora a élite corrotte in tutto il mondo di intercettare centinaia di miliardi di dollari , mentre le popolazioni che abitano in quei Paesi ricchi  di risorse vivono in povertà.   La trasparenza finanziaria può aiutare a metter fine a questo scandalo, ma i benefici  reali si otterranno solo se  la gente utilizzerà in modo attivo quella ricchezza,  destinandola a scuole, ospedali, iniziative rivolte al benessere delle comunità locali.

Un esempio che riguarda direttamente l’Italia è il caso “ENI – SHELL – Nigeria”:  è cronaca di questi giorni che i massimi dirigenti delle due imprese sono sotto processo a Milano per rispondere all’accusa di aver versato una  tangente da 1,3 miliardi di dollari a politici nigeriani per l’acquisto nel 2011 dei diritti di sfruttamento del giacimento petrolifero Opl 245 (il Fatto quotidiano, 24 luglio 2019). Se le accuse si dimostrassero fondate, l’ illecito compiuto con un contratto ingiusto sul piano fiscale avrebbe  causato un danno enorme alla Nigeria, e corrisponderebbe alla sottrazione di un biennio di spesa pubblica per istruzione e sanità. In attesa dell’esito, le recenti e luminose pubblicità dell’ENI (ENI + Silvia, ENI + Luca…), con le facce pulite di giovani che sostengono operazioni virtuose,  trasmettono un leggero senso di inquietudine… 

L’estrattivismo ‘spirituale’

Nell’aprile 2018 un turista canadese, un uomo bianco che attraversava in moto la foresta amazzonica, nella cittadina di Victoria Gracia uccise con un colpo di pistola una guaritrice indigena di 81 anni, la Maestra Olivia Arévalo Lomas , mentre cercava di estorcere la sua conoscenza sulle pratiche tradizionali di guarigione.  A sua volta fu linciato dalla gente del posto, della comunità Shishiba. Da quel giorno gli abitanti di quel luogo – un quartiere calmo e impoverito nei pressi della città di Pucallpa – traumatizzati dall’evento sono diventati sospettosi, e si sentono minacciati da chiunque vedano in giro.  Intorno a quel doppio omicidio sono fiorite storie e interpretazioni , pettegolezzi e speculazioni. E’ intervenuta la polizia, e il  caso ha assunto dimensioni  internazionali,  con implicazioni molto sgradevoli.  Un membro del Congresso canadese ha chiamato ‘selvaggi’ i membri della comunità, suscitando la reazione di alcune ONG che però non sapevano che iniziative prendere. .

E c’è stata un’ondata di simpatia da parte della crescente comunità internazionale di ayahuasca – con alcuni centri di guarigione che hanno anche emesso comunicati  rassicuranti per la loro clientela straniera,  incoraggiandola a continuare a recarsi in quel luogo perché non c’era alcun pericolo. Fuori dal Perù  molti che neppure conoscevano la Maestra Olivia cercarono di  organizzare un evento a suo nome…

Passati alcuni mesi, le ONG se ne sono andate, gli stranieri hanno dimenticato e il turismo dell’ayahuasca ha ricominciato a fare quello che fa  di solito: il  ‘turista dell’ayahuasca’  arriva, prende la medicina, si sente unificato con l’universo, se ne torna a casa.  Ma la comunità indigena è rimasta intrappolata, traumatizzata dagli eventi, dalle crescenti attività di controllo della polizia, impaurita dall’arrivo di qualsiasi straniero… Questo evento è stato descritto di recente (19 luglio 2019)  sulla rivista Ecologise (“Spiritual extractivism: Ayahuasca, colonialism, and the death of a healer”) come una nuova forma di ‘estrattivismo’: l’estrattivismo spirituale.

Aspetti spirituali e realtà politica

La gente viene in Amazzonia per curarsi di malattie tipiche delle società industrializzate, individualistiche: dipendenza  dalla droga, depressione, traumi da esperienze sessuali o militari, disordini alimentari… problemi che non sono stati risolti con la medicina occidentale. Le persone che vengono a cercare cure alternative, quando se ne vanno lasciano dietro di sé traccia dei loro malesseri: disuguaglianze, frustrazioni, violenza, talvolta casi legali. Ma la loro consapevolezza si è estesa!  Hanno trovato la via della luce! …

Il terribile fatto avvenuto nella cittadina di Victoria Gracia  ha indotto i curatori tradizionali dell’Amazzonia  peruviana a mettere in atto strategie di resistenza  contro la crescente minaccia dell’estrattivismo spirituale praticato dagli Occidentali.

Già nell’agosto 2018 nella città di Yarinacocha si è riunito per la prima volta un Consiglio (Consejo Shipibo-Konibo-Xetebo (Coshikox) di praticanti della medicina ancestrale in rappresentanza di  35.000 membri delle popolazioni  Shipibo-Konibo-Xetebo dell’Amazzonia Peruviana. In questa occasione è stato affermato con chiarezza che il lavoro di cura e la lotta per l’autodeterminazione non devono più essere  tenuti separati:  l’interesse internazionale per la medicina Shipibo, quella ayahuasca in particolare, invece di portare problemi – come è successo finora – deve diventare un’opportunità per far riconoscere i diritti delle comunità locali, valorizzare le loro conoscenze,  rispettare le loro decisioni nella gestione dei territori.

La Dichiarazione di Yarinacocha

Il  Consiglio dei praticanti di medicina ancestrale – al termine dei lavori dell’agosto 2018  – ha pubblicato una Dichiarazione che inizia con le seguenti parole:

Preoccupati dal rischio che le conoscenze di piante curative e le pratiche dei  Guaritori Ancestrali –  Onanyas – vengano perduti e non siano più trasmessi alle generazioni successive;

  • riconoscendo le ripercussioni del colonialismo  e di un sistema educativo imposto dallo stato e basato sui valori dell’Occidente, prendendo atto che l’invasione dell’industrializzazione costituisce una minaccia per le pratiche ancestrali e per la conoscenza delle Popolazioni Shipibo-Konibo-Xetebo ;
  • riconoscendo che la grande espansione del turismo spirituale nei territori dell’Amazzonia offre opportunità, ma nasconde anche pericoli per lo sviluppo della conoscenza ancestrale;
  • riconoscendo l’importanza del coordinamento e della stesura di accordi  tra gli Onanya, emersa come una necessità dopo l’assassinio della Maestra Olivia Arévalo Lomas;

DICHIARIAMO CHE:

  1. Alla luce della storia, della pratica e della metodologia che caratterizzano le cure e la conoscenza delle piante medicinali da parte delle popolazioni Shipibo-Konibo-Xetebo,  possiamo definirle come manifestazioni anti-colonialiste, in grado di resistere, trasformarsi e riconfigurarsi in modo autonomo di fronte a qualunque difficoltà. Perciò i curatori, i praticanti, gli insegnanti delle medicine ancestrali devono essere orgogliosi, e conservare la natura anti-colonialista delle loro pratiche. 
  2. Il lavoro di cura e di guarigione e la lotta per l’auto-determinazione non sono separabili. Devono procedere insieme in un cammino commune.

Numerose ricerche dimostrano che le terre indigene subiscono minori processi di deforestazione rispetto ai parchi naturali gestiti all’occidentale, e alle aree protette private.  Nonostante ciò, i popoli indigeni vengono sfruttati per le loro competenze, poi sono spesso lasciati soli, ad affrontare i guasti causati dall’estrattivismo spirituale, che si somma alle pratiche di spossessamento colonialista già in atto .  Ma, come ha affermato un attivista, Robert Guimaraes Vasquez, durante il Consiglio Yarinacocha,  “una comunità indigena che non ha più un guaritore è condannata a perdere anche il suo territorio”.  

Dal tragico evento del doppio assassinio avvenuto ormai un anno fa è nata una nuova consapevolezza: è importante salvaguardare e valorizzare la conoscenza tradizionale delle comunità dell’Amazzonia Peruviana, creando scuole rivolte ai giovani locali in cui vengano trasmessi i preziosi saperi tradizionali, offrendo loro alternative all’occidentalizzazione e all’esodo nelle grandi città.   Questo elemento si associa all’esigenza di lottare – tutti insieme – per proteggere i territori ancestrali  contro la penetrazione incontrollata di imprese, attività economiche, progetti turistici che arrivano dall’Occidente, per i quali non viene mai chiesto il consenso (e neppure il parere) delle comunità locali.  


[1] Il libro può essere acquistato ordinandolo via mail ad Aldo Zanchetta [email protected]. Il prezzo è di 7 euro, comprese le spese di spedizione.

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