Arrestate quei fuorilegge! | Floriana Lipparini

“Arrestate quei fuorilegge!”, tuonò Mangiafuoco. Ma la gentile fanciulla, esile rispetto all’imponente macigno, non si lasciò spaventare. Fuorilegge? Quale legge? Lei vedeva soltanto corpi stremati, corpi in pericolo, persone inermi e bisognose di soccorso. La legge universale che conosceva lei era quella che salva le vite.

Forse stiamo davvero attraversando un momento storico cruciale. Progredire verso più elevati livelli di democrazia sostanziale, capace di considerare tutti gli esseri viventi come persone dotate di uguali diritti, oppure regredire verso società ispirate alla repressione e al controllo occhiuto di uno stato chiuso e poliziesco?

Quei quarantadue corpi stremati, ammassati notte e giorno sul ponte della Sea-Watch, vittime  di una cinica prova di forza che mai si era vista in questo  Paese, sembrano lo specchio di un impazzimento generale, che non è però generato dal terribile caldo di cui soffriamo in questi giorni.

Anche se il clima in qualche modo in questa vicenda surreale ha il suo peso. Molti fra quei quarantadue potrebbero rientrare fra i cosiddetti migranti climatici, categoria non prevista da chi governa questo Paese. Eppure è noto che sempre più nel futuro saranno proprio i disastri climatici a produrre enormi spostamenti di masse ridotte alla fame.

Incapaci di vista sul domani, i nostri governanti vogliono imprigionare negli angusti schemi dello loro feroce realpolitik quello che mai si potrà imprigionare. L’istinto vitale, la spinta umana a muoversi quando la sopravvivenza è in pericolo, la fuga dalle violenze, il bisogno di libertà.

Forse non è proprio chiaro quel che sta accadendo qui e ora, quel che anno dopo anno in Italia è cambiato fino all’odierna deriva. Negli anni Novanta un semplice gruppo di donne, un’associazione senza fini di lucro, riuscì a far approvare in Regione Lombardia una legge per accogliere i disertori di guerra dall’ex Jugoslavia e a far finanziare un progetto di aiuto alle profughe bosniache. Lo so perché di quell’associazione ero responsabile.

Portammo anche a Ginevra un documento firmato da cinquanta associazioni di donne di tutta Europa per chiedere all’Onu di riconoscere gli stupri come crimini di guerra. E durante un viaggio di ritorno dalla Croazia, dove avevamo inaugurato un centro di aiuto per le donne, riuscimmo a nascondere un profugo bosniaco sul fondo del nostro autobus, superando il confine con un notevole batticuore.

Oggi tutto questo sarebbe impensabile, sembra fantascienza. Quale limite si sta dunque superando in questo Paese? Molti se ne stanno superando, se pensiamo ai diritti sociali perduti in ogni campo, ma in questo caso è in gioco qualcosa di primario: la tutela dei corpi e quindi il rispetto della vita. Una scelta consapevole raggiunta dopo millenni di storia e di guerre. Una scelta che fa la differenza fra l’umanità o la disumanità, fra la civiltà o la bestialità. Solo una lunga notte di inganni e barbarie può averlo fatto dimenticare persino a livello di opinione popolare.

Ecco perché le parole insultanti e irridenti di un uomo di potere, al sicuro in terraferma, contro la sofferenza di esseri umani disperati in balia delle onde, ci fanno inorridire. Sembra spalancarsi di nuovo quell’abisso che Hannah Arendt chiamò con inesorabile efficacia “la banalità del male”, sempre pronto a riaprirsi tra le masse di seguaci ciechi del capo, incapaci di vedere che prima o poi precipiteranno anche loro nelle fauci dei mostri generati dall’indifferenza verso le sciagure altrui.

Ma ecco che un gesto salvifico ci fa rinascere alla speranza e alla fiducia nell’altro mondo possibile. Il gesto di una donna, Carola Rackete, che molto semplicemente conosce la differenza fra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, fra la verità e la menzogna, e agisce di conseguenza, costi quel che costi.

Non è casuale che quel gesto venga compiuto da una giovane donna. Siamo ancora lontane dal cambiamento profondo della società nel suo intimo nucleo patriarcale, ma le lotte femministe hanno smosso le acque abbastanza a fondo per consentire a una donna di esprimere con forza la propria originale visione del mondo. Sempre più spesso donne divergenti dalle scelte di un potere regressivo e ottuso sono capaci di gesti potenti, gesti di libertà e di salvezza per sé e per il resto del mondo. Come il gesto di Carola.

Naturalmente questo non nasce dal nulla. Da decenni esistono gruppi di donne che dal nord al sud e dal sud al nord non hanno mai accettato le comode verità ufficiali, o le politiche dei signori della guerra, o lo sfruttamento brutale del sud del mondo. Parliamo della Palestina, di Iraq, della Bosnia, del Kosovo, delle dighe in India, dell’Amazzonia… Un lavoro che non si è mai interrotto, ma che è stato spesso ignorato.

Quel che oggi simbolicamnte possiamo leggere nella vicenda della Sea-Watch, ridotto all’essenza, è il conflitto ormai maturo tra una visione del mondo improntata al più stupido e feroce maschilismo, e una visione del mondo improntata al senso della vita e dell’umanità, impersonata da una donna.

Seminare porta frutti, anche se i tecnocrati delle multinazionali brevettano orrendi semi sterili che causano la morte di tante microimprese agricole spesso gestite da donne, come ci ha sempre detto Vandana Shiva. Un gesto come quello di Carola è invece un seme prezioso e fruttifero. Dimostra che si può fare, si può scegliere la nobile strada della disobbedienza civile quando le leggi sbagliano e i potenti minacciano. Antigone insegna.

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