Nonviolenza o Nonesistenza

Robert C. Koehler

“Gli uomini da anni parlano di guerra e pace. Ora non possono più solo parlarne. Non è più una scelta fra violenza e nonviolenza a questo mondo, è nonviolenza o nonesistenza. Ecco dove siamo oggi”.

Il giorno prima di morire, Martin Luther King disse queste parole a una Chiesa gremita di Memphis.

Ecco dove siamo oggi… mezzo secolo dopo!

Qui negli USA abbiamo un bilancio militare che macina un trilione di dollari all’anno, che è un investimento infernale nella nonesistenza. Ma abbiamo anche una crescente consapevolezza di pace che non può e non deve fermarsi prima di aver cambiato il mondo.

Uno di quelli che operano senza sosta perché ciò accada è Mel Duncan, co-fondatore di Nonviolent Peaceforce. Appena più di un mese fa, ha fatto del suo meglio per recare qualche consapevolezza a un sottocomitato della Casa dei Rappresentanti – il House Appropriations, nel tentativo di ottenere finanziamenti per un programma salvagente globale presente in alcune delle regioni più devastate da conflitti al mondo. Si chiama, piuttosto semplicemente, Unarmed Civilian Protection (Protezione Disarmata Civili), ma non c’è nulla di semplice in che cos’è e come opera.

Per esempio, nel SudSudan, secondo quanto dichiarato da Duncan al sottocomitato, “Nonviolent Peaceforce ha una squadra arrivata a ben 200 protettori da quando fummo invitati nel 2010. Dal riaccendersi della guerra nel dicembre 2013, migliaia di persone sono state uccise e milioni sfollati. Decine di migliaia sono fuggiti in complessi ONU dove sono stati istituiti campi improvvisati, noti come aree di Protezione Civili. Le donne che ci vivono devono andare nella boscaglia a raccogliere legna da ardere, talvolta per oltre 30 kilometri. Soldati di ambo i fronti sovente le stuprano, come arma di guerra”.

Per alcuni sopportare un tale inferno fa parte della vita. Duncan aggiunge però: “Istruttivo è che per un periodo di due anni di accompagnamento da parte di protettori civili di NP queste donne non siano mai state attaccate”.

Tale protezione, spiega, non funziona solo da guardia del corpo, emanando abbastanza minaccia di forza da intimidire i cattivi e imporre “pace” dall’esterno. Nonviolent Peaceforce “va in avanscoperta, facendo capire ai combattenti che di lì a poco passerà un gruppo di donne accompagnate da NP. Parte della nostra capacità di proteggere dipende dalla nostra capacità di comunicare con i combattenti. Se ne sorprendiamo qualcuno in campo, non abbiamo fatto il nostro lavoro”.

Duncan aggiunge che Unarmed Civilian Protection “è strutturata sui tre pilastri della non-violenza, non-partigianeria e del primato degli attori locali. Operando in modo nonviolento, i protettori civili non aggiungono altre armi ad ambienti già saturi di violenza. Mediante vari interventi nonviolenti interrompono dei cicli di rappresaglia. Modellare comportamenti non-violenti stimola un comportamento nonviolento in altri. E praticare una nonviolenza attiva rafforza la sostenibilità delle operazioni di pace e costruisce le fondamenta di una pace durevole”.

Nonviolenza o Nonesistenza

Ecco cosa ne dice Annie Hewitt a Truthout: “Un peacekeeping nonviolento permette di vedere ben manifesta l’umanità; i peacekeeper disarmati devono essere decenti e garbati, ascoltare attivamente e far sentire tutti i contendenti come se importassero. Così facendo, l’umanità si rivela non essere proprietà di un lato o di un altro, né qualcosa da importare da fuori”.

Questa è la sorta di consapevolezza che manca di trazione politica — di certo negli Stati Uniti — nonostante due realtà sorprendenti: funziona ed è relativamente poco dispendiosa in confronto all’emorragia di denaro della guerra e dei suoi preparativi. A Nonviolent Peaceforce è costato circa $50.000 all’anno tenere un peacekeeper in un dato paese, in confronto a ben un milione di dollari annui per ogni soldato appostato in una delle nostre zone di guerra.

E queste guerre non finiranno da sole — certamente non le guerre sviluppatesi nel 21° secolo. Sicché: “Ogni due secondi una persona è costretta a fuggire da casa. Ormai ci sono 68.5 milioni di persone sfollate forzatamente” ha detto Duncan ai subcommissari parlamentari citando l’Alta Commissione ONU per i Profughi. Questo è il numero più alto che mai, peggiore che nella 2^ guerra mondiale. E con il cambiamento climatico che crea caos ambientale, il crollo delle infrastrutture sociali a livello planetario s’intensificherà.

“La disgregazione climatica sta colpendo prevalentemente i più poveri al mondo — quelli che consumano il minimo” ha detto Duncan. “È piuttosto probabile che ci sarà sempre più conflittualità. Dobbiamo cercare modalità di gestione costruttiva e nonviolenta dei conflitti. Dobbiamo sostenere quegli approcci che siano efficacy e accessibili”.

Nonviolenza o nonesistenza.

Siamo a un punto nel grande esperimento umano in cui dobbiamo superare, con tutta la nostra scienza e tecnologia, il semplicistico pensare alla guerra.

Il  finanziamento parlamentare per un programma come Unarmed Civilian Protection — sul quale si prenderà una decisione probabilmente entro un mese — è un passo cruciale.


TMS PEACE JOURNALISM, 6 May 2019 | Robert C. Koehler | Common Wonders – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


 

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