Don Puglisi. Il vangelo contro la mafia | Recensione di Giorgio Minneci

Mario Lancisi, Don Puglisi. Il vangelo contro la mafia, Edizioni Piemme, Milano 2013, pp. 322, € 17,50

Con un leggero senso di vergogna e rammarico, ammetto che di padre Pino Puglisi non avevo mai avuto modo di far conoscenza: un grande errore da me compiuto al quale sto già cercando rimedio. Eppure di 3P (così erano soliti chiamarlo i suoi amici per via delle lettere iniziali dei suoi nomi) non viene fatta menzione alcuna neanche in saggi di pedagogia di illustri studiosi italiani. Situazione strana per un uomo che ha fatto della sua vita una grande opera di riscatto umano, di quell’umanità ai margini, animalesca, priva di mezzi, sogni e futuro; un’opera che ha coinvolto paesi e quartieri malati della Sicilia della prima repubblica senza perdere la speranza e la fiducia nell’umano e nelle sue possibilità, perché Pino Puglisi era un prete «per l’uomo, per riscattare l’uomo dai propri errori» (p.49). Stranezza avvalorata dal fatto che Mario Lancisi, a cui si deve questo libro, è autore di saggi sulla figura di don Lorenzo Milani, personaggio non dissimile da quello del Puglisi, in particolar modo per la sua opera educativa, formativa e di riscatto dell’umanità e che trova posto invece in qualsiasi saggio di pedagogia novecentesca.

Sorvolando tuttavia sulla questione, mi preme dare una breve presentazione di questo prete tutto particolare. Nato a Brancaccio (Palermo) il 15 settembre del 1937 da un’umile famiglia siciliana, scopre giovane la sua vocazione religiosa ed entra in seminario all’età di sedici anni. Nominato sacerdote a ventitré, nei suoi trentatré anni di sacerdozio vissuti fra le esperienze di Godrano, Brancaccio e come insegnante nei licei, la sconfinata necessità di sapere non viene mai meno. I suoi interessi? Essi spaziano dalla lettura di Mounier e Maritain, di Pascal e Kierkeegard, passando per don Milani, Mazzolari e Rogers, poiché per lui la cultura «era strumento per annunciare meglio il vangelo, per entrare nei cuori delle persone» (p.53). La sua opera pastorale e di evangelizzazione, coincidente con il fine che 3P aveva dato alla sua vita, era il riscatto degli umili, la rinascita dei prepotenti, l’insegnamento al perdono, all’ammissione dei propri errori e debolezze, alla costruzione di speranze (commoventi gli episodi della donna che non sapeva perdonare e del bambino che non poteva chiedere scusa alle pagine 61-62). Un’opera che cercava sostegno nelle istituzioni sociali e, dove questo non c’era, si arrovellava, senza perdersi d’animo, per cercare una soluzione efficace e concreta (esempi in questo senso sono il divertente racconto della lotteria per costruire il centro Padre Nostro a pagina 143 e la collaborazione con il Comitato Intercondominiale di Brancaccio nelle ancora incredule, ma amorevoli parole del suo fondatore Pino Martinez alle pagine 156-169).

«Don Pino insegnava ad aspettare, a non avere fretta. Ogni persona ha i suoi tempi, il Signore sa aspettare, prima o poi arriverà anche il momento in cui aprirà la porta. Ai suoi giovani il sacerdote era solito raccomandare di stare attenti a tre pericoli in cui spesso ci si imbatte. Il primo è la sindrome del torcicollo, tipica di coloro che hanno la testa rivolta all’indietro. Preoccupati di guardare il passato. Quasi prigionieri di quello che è stato, senza avere lo slancio di proiettarsi nel futuro. Un secondo pericolo è l’immobilismo. Ci sono persone, diceva Don Puglisi, che non fanno altro che riflettere, pensare, meditare, fino a diventare prigionieri del loro troppo pensare. C’è un momento in cui occorre salpare, levare le tende, agire. Infine – terzo pericolo – il rischio opposto: l’ansia, la frenesia. Come quando uno cerca qualcosa con fretta e finisce per non trovarla. Invece occorrono calma e pazienza: prima o poi si trova il bandolo della matassa perduta», (p. 74).

I capitoli sono 27 divisi in 5 parti: la prima (I primi passi) spazia dalla nascita di don Puglisi fino al termine della sua esperienza a Godrano (piccolo paese culla di guerre intestine fra famiglie locali, situato nelle Madonie e nel quale 3P starà per 8 anni); la seconda (L’educatore) racconta del ruolo educativo e formativo ricoperto da padre Puglisi sia come insegnante di religione presso il liceo Vittorio Emanuele II di Palermo, sia come responsabile del centro vocazioni della diocesi palermitana; la terza e più coinvolgente (Brancaccio) presenta al lettore l’esperienza nel quartiere invisibile che ha dato i natali a 3P e nel quale quest’ultimo passerà gli ultimi tre anni della sua vita come parroco della parrocchia di San Gaetano, lottando per l’«evangelizzazione […] e la promozione umana» (p. 130) degli ultimi, di coloro che, dimenticati dai detentori del potere, dai politici manipolatori e affabulatori, tentano di restare a galla in un mondo in cui si è immersi nei liquami sociali, culturali e personali senza che nessuno abbia loro insegnato a nuotare.

La struttura del libro è chiara e di facile fruizione per il lettore, conducendolo pagina per pagina a far conoscenza di chi fosse 3P, di cosa avesse fatto e di quale sia il ricordo che gli altri hanno di lui. Correzione: con Cosa Nostra che si propone come unica in grado di insegnare loro a farlo.

Padre Puglisi rifiuta quello che sembra il fine e la fine inequivocabile di giovani vite nate ai margini, proponendo Dio come cammino e maestro, in antitesi alla mafia e diventando «un vero segno per la comunità cristiana, nell’Isola e altrove, in quanto mostra la giusta via per contrastare il fenomeno mafioso: quella di una pastorale attenta ai deboli, ai bambini e ai giovani per non lasciarli inermi prede della proposta mafiosa; una pastorale coraggiosa e pacifica, aliena da formule politiche, ma diretta al cuore di quanti sono irretiti in disegni malvagi o potrebbero esserlo» (p. 299); la quarta (Il martirio) è un’interessante digressione storica sul rapporto fra Chiesa e mafia e sul contesto socio-culturale in cui le vicende legate all’omicidio di 3P affondano le proprie radici; la quinta e ultima parte (I processi) fornisce una presentazione attenta e comprensibile dei processi ai mandanti e agli assassini di 3P e del suo processo di beatificazione.

Una giusta menzione, inoltre, dev’essere fatta per ricordare che ben dieci capitoli su ventisette sono la trasposizione scritta di testimonianze orali di persone vicine a 3P. Ritengo che la raccolta di tali voci, oltre a quella dello scrittore che già è riuscito a coinvolgere il lettore nel condividere la lotta, i sogni e le emozioni di 3P, sia un ottimo risultato per mostrare quanto l’opera di questo piccolo uomo dalle mani sproporzionate quanto «due guantoni da baseball» (p. 171) viva nei ricordi delle persone. Un’opera che, tuttavia, dai ricordi è riuscita a trarre la propria linfa per rendersi concreta e ancora viva negli atti quotidiani, nei gesti di amore, di speranza e di volontà di giustizia e riscatto; gesti, questi, che vengono realizzati dalla morte di padre Puglisi ad oggi, per tramandare il suo messaggio, il suo coraggio e per non permettere che il fine della sua vita (3P era solito porre la domanda «Sì, ma verso dove?» per ribadire che ogni nostra azione, ogni nostro progetto debba concretizzarsi in vista di un fine preciso) non sfumi come accade a quelle immagini nella nostra mente rese impolverate dal tempo che scorre.

Padre Pino Puglisi viene ucciso il giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno con uno colpo di pistola alla nuca. A Brancaccio. Solo. La fine di un sogno di riscatto di un quartiere? La vittoria definitiva di Cosa Nostra? L’oblio del progetto di 3P? Lascio al lettore trovare la propria risposta facendosi coinvolgere nella lettura di questo libro umano, sincero, talvolta crudele ma fonte di speranza, e concludo così: «Succede che quando certi personaggi muoiono i luoghi della loro vita siano destinati a perdere importanza, mentre i valori che hanno ispirato il loro agire si diffonda nel mondo. L’eredità non sta nei luoghi e nelle cose, ma nei valori».

Credo che qualsiasi arma da fuoco sia inerme di fronte a tali valori.

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