Biennale democrazia. Le condizioni del visibile

Daniela Bezzi

Vedere. Non vedere. Come vedere, in un mondo ad altissima visibilità “nel quale informazioni, immagini e dati in continua elaborazione sono diventati il tessuto stesso delle nostre esistenze”. Su questi temi si inaugura mercoledì 27 marzo a Torino, la sesta edizione della manifestazione Biennale Democrazia, tutta giocata quest’anno sull’intrigante dicotomia Visibile / Invisibile. Una riflessione quindi sulle condizioni del visibile, che per l’appunto sarebbe già tutto lì, in generosa offerta, orgia di ipervisibilità, presunzione del dèjà vu. Ma che cosa riesca a rendere significativo il reale, è (come ben sappiamo) la messa a fuoco, il punto di vista. Sapere dove mettere la camera. Sapere quindi dove mettersi, che cosa indirizzerà il nostro sguardo. Da che parte stare.

Quanto mai significativa dunque la proposta che gli organizzatori di Biennale Democrazia hanno previsto per il momento inaugurale di questa ricca kermesse (qualche accenno al  programma nell’ultimo paragrafo). E cioè l’incontro, il 27 mattina all’Aula Magna del Campus Luigi Einaudi, con due avventurosi intellettuali, l’antropologa Alpa Shah e il social geographer Jens Lerche, decisamente molto impegnati su queste traiettorie di riflessione. Li abbiamo già incontrati su queste colonne come registi-protagonisti, insieme a molti altri, della mostra Behind the Indian Boom (Brunei Gallery di Londra, recensione su Manifesto/Alias 11.11.2017) che rappresentava il clou e al tempo stesso la vetrina di un lungo e collettivo progetto di ricerca, in focus sul dietro le quinte della strombazzata crescita economica indiana. L’Altra faccia del miracolo per l’appunto – che i due studiosi sono venuti ad inaugurare, nella cornice di Biennale Democrazia, anche a Torino.

Antropologa sociale lei, Direttrice alla London School of Economics di Londra del Programma di Ricerca su Diseguaglianza e Povertà in India. Professore di Development Studies alla SOAS di Londra lui, formatosi nel solco di quell’antropologia socialmente impegnata tracciato dall’olandese Jan Breman. E insomma entrambi studiosi, ricercatori e insegnanti engaged nella comprensione di quell’infinita e quanto mai pregnante complessità, che è la società Indiana: quella delle aree forestali e minerarie, da sempre teatro del più massiccio estrattivismo, land grabbing e ormai guerra aperta, nel caso della Shah; e quella delle campagne nel caso di Lerche, campagne-sacche del peggior sfruttamento e atrocità per coloro che le lavorano, per lo più dalit (quelli che un tempo si chiamavano a ancora vengono considerati intoccabili).

Ed ecco dunque che la felice scelta di inaugurare proprio con loro questa prossima edizione di Biennale Democrazia declinata sui temi di Visibile/invisibile, permette di definire fin da subito il challenge: come guardare a ciò che si nasconde dietro l’evidenza, o che ai più sfugge, Seeing the Hidden, questo il titolo del Seminario che si replicherà anche il giorno dopo per gli studenti del Campus Luigi Einaudi di Torino.

Non è solo un’ardua vocazione, né la paziente attesa del ‘decisive moment’ alla Cartier Bresson. E’ proprio un lavoro, una ricerca, progetto. E’ necessaria una buona dose di volontà per capire come funzionano veramente le cose, nei tasselli di quel mutevole mosaico che è il tempo presente – nel costante clash di epoche diverse rese ancor più contemporanee (e reciprocamente guardabili, sebbene così spesso incomprensibili) dai vari communication devices. Jens Lerche che da anni trascorre mesi in stretta prossimità con i dalit, uomini e soprattutto donne, addette al taglio della canna da zucchero nei campi dell’Uttar Pradesh; o nelle fabbrichette di mattoni che rappresentano il singolo principale comparto di lavoro informale in India, oltre 20 milioni di non aventi-diritto; e poi resta in costante relazione con sindacalisti, attivisti, quotidianamente impegnati nei vari ammutinamenti dell’India, all’interno di relazioni ‘industriali’ o più spesso ‘schiavili’ dove lo scioperare è un ancora un rischio, un atto di coraggio.

Alpa Shah che dopo i diversi periodi trascorsi tra gli Adivasi del Jharkhand (sempre più stretti nell’assedio delle miniere, per l’intensificarsi dello scontro tra naxaliti e truppe governative) decide a un certo punto che deve capire – che cosa tiene in vita da decenni in India il sogno in assoluto più longevo di rivoluzione, nel segno di un maoismo intriso di sacrificio e martirio, ma non immune da affarismo … E per farlo, eccola intruppata in un’avventurosa Marcia notturna di giorni (e notti) a piedi, per oltre 250 km tra i due stati, Bihar e Jharkhand, che contano il maggior numero di roccaforti nel cosiddetto Corridoio Rosso (la traduzione italiana del thrilling uscirà a breve con Meltemi).

Entrambi testimoni di un modo di essere dell’antropologia che non è solo metodo e rigore di ricerca, ma che diventa testimonianza ben oltre la participant observation di Malinowski: non solo documentazione in solitaria di mondi in via d’estinzione, ma valorizzazione di un lavoro anche di rete, nel travaso delle ricerche, nell’intreccio dei percorsi, nella messa in mostra (appunto) di foto e conclusioni, come si potrà rivedere con la mostra Behind the Indian Boom, nella riedizione torinese.

Mostra che il neonato Istituto di Studi sull’Asia dell’Università di Torino, in significativa collaborazione con il Campus di formazione dell’ILO, hanno deciso di presentare in forma di Evento diffuso, nelle rispettive sedi di Lungo Dora Siena 100 e di Viale Maestri del Lavoro 10: una doppia inaugurazione è prevista infatti il 27 marzo alle 10.30 al CLE e poi alle 18.00 all’ILO, per dire che la ricerca/marcia continua e anzi si espande e condivide più che mai, nell’anno delle più cruciali elezioni per l’India. E sempre intorno alla Mostra, va senz’altro la pena di segnalare il ciclo di appuntamenti, film (e appunto) incontri che ben tre dipartimenti dell’Università di Torino, in collaborazione con il Centro Studi Sereno Regis e con l’Ass Onlus Jarom, stanno promuovendo con il titolo India Invisibile per dire di un’India di cui le cronache e i giornali in Italia non parlano proprio mai, e che per fortuna invece viene studiata con crescente serietà all’interno di alcune università Italiane – e sicuramente da quella di Torino, fra le più attente.

Biennale Democrazia

251 ospiti, 133 appuntamenti, 4 percorsi tematici, 90 classi coinvolte per un totale di 2300 studenti: questi i ‘numeri’ di una VI Edizione di Biennale Democrazia ormai consolidata nel cartellone culturale di Torino (la direzione è di Gustavo Zagrebelsky) e più che mai capillarmente diffusa sul territorio, con una particolare attenzione al quartiere Aurora (quartiere in via di gentrification, tuttora difficile), che quest’anno diventerà il secondo cuore pulsante della kermesse con il progetto speciale Welcome Aurora. Impossibile riassumere cotanta kermesse, che comprende oltre agli incontri anche spettacoli teatrali, mostre, film, un turbinio di appuntamenti. Tra gli ospiti internazionali: il sociologo ed economista tedesco Wolfgang Streeck, con una lectio sulla fine del capitalismo; il reporter turco-tedesco Debis Yucel, che per i reportage sulla rivolta di Gezi Park nel 2013 è stato in galera per un anno in Turchia; Branko Milanovic, economista specializzato in disuguaglianze globali; il filosofo francese Jacques Ramcière, sulle radici del crescente odio per la democrazia; Rupert Younger dell’Università di Oxford che ha scritto il Manifesto degli Attivisti rivisitando in chiave contemporanea il Manifesto di Marx e Engels… e così via, fino al 31 marzo.


Fonte: Alias, anno XLVI, n. 12, il manifesto, 23 marzo 2019


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