La pace mancata. La Conferenza di Parigi e le sue conseguenze

Massimiliano Fortuna

Franco Cardini, Sergio Valzania, La pace mancata. La Conferenza di Parigi e le sue conseguenze, Mondadori, Milano 2018, pp. 240, € 22,00

La pace mancataNaturalmente bisogna resistere alla tentazione di studiare la storia come una sequenza di date e di fatti epocali che punteggiano il passato e fanno da spartiacque tra un periodo e l’altro. Credo però non si pecchi di eccessiva enfasi, se si si ritiene la Conferenza di Pace di Parigi del 1919 un momento chiave come pochi altri per la storia del Novecento, mondiale non europea soltanto. L’obiettivo degli incontri diplomatici che si tennero nella capitale francese era quello di disegnare, dopo gli anni terribili della prima guerra mondiale, un nuovo equilibrio internazionale capace di porre le fondamenta di una lunga stagione di pace.

Però il trattato che fece seguito ai lavori – ma sarebbe più corretto dire «trattati», che vennero stipulati con le singole potenze sconfitte: Germania, impero austro-ungarico e sultanato ottomano – e le vicende storiche successive stanno lì a testimoniare l’evidente fallimento dei propositi iniziali. Il libro di Franco Cardini e Sergio Valzania cerca di enucleare le ragioni, o perlomeno alcune ragioni, di questo insuccesso, senza la pretesa di una ricostruzione esaustiva: «il continente nel quale ci siamo inoltrati, la Conferenza di Pace di Parigi, il suo esito e le sue conseguenze, è sterminato. […] Quello che proponiamo è il nostro percorso, quasi un diario di viaggio in un territorio del quale in molti hanno raccontato, ma che conserva ugualmente misteri e aree incognite».

Per fare questo gli autori spaziano dunque in un intreccio di fatti e personaggi di vaste proporzioni (a questo proposito, forse per facilitare la lettura sarebbe stato opportuno un indice dei nomi conclusivo) ma che focalizza innanzitutto l’attenzione sul presidente statunitense Woodrow Wilson, disegnato come il responsabile principale della fragilità di questi accordi diplomatici. Dopo i lunghi anni di distruzione in Europa gli Stati Uniti uscirono dalla grande guerra come la potenza mondiale non solo economicamente più florida – tutte le nazioni vincitrici erano in debito con loro –, ma anche dotata del maggior credito per un ruolo di arbitro internazionale. Wilson non seppe invece dare concretezza ai suoi propositi ideali di edificazione di un assetto mondiale equilibrato e, nella misura in cui è possibile adoperare questo aggettivo in ambito politico, giusto.

Il principio di autodeterminazione dei popoli, che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere la pietra angolare di questo nuovo edificio, a seconda dei casi e delle convenienze venne accantonato (ad esempio l’Italia riuscì ad annettersi il Sud Tirolo di lingua tedesca e il Giappone lo Shandong a maggioranza cinese); alla Germania, trattata più come una nazione criminale che come un paese sconfitto, furono imposte condizioni di pace durissime e umilianti che generarono nel paese un senso di rivalsa soffiando sul quale la propaganda hitleriana avrebbe poi acceso il fuoco che sappiamo – a questo proposito non si può fare a meno di suggerire la lettura di quel libro a dir poco lungimirante che è Le conseguenze economiche della pace di John Maynard Keynes, che già in quello stesso 1919 avvertì dei pericoli che sarebbero potuti scaturire da questa pace cartaginese imposta ai tedeschi.

Inoltre la Società delle Nazioni, organismo garante del futuro ordine internazionale, nacque fortemente indebolita dal fatto che proprio gli Stati Uniti non vi entrarono, nonostante il loro presidente ne fosse stato il più convinto promotore, perché il Senato a maggioranza repubblicana non ratificò l’accordo di Wilson, che non si dimostrò sufficientemente accorto da trovare preventivamente un’intesa con i suoi avversari politici interni.

Numerose altre, naturalmente, furono le questioni in gioco nella Conferenza di Parigi, non c’è modo di richiamarle tutte, ma forse un accenno merita ancora il fatto che, dopo la dissoluzione dell’impero ottomano, la mentalità coloniale con la quale si pretese di gestire le terre del Medio Oriente va purtroppo considerata una delle cause che si trovano all’origine di non poche delle dinamiche conflittuali presenti oggi in quella parte di mondo. A distanza di un secolo si può dire che le conseguenze fallimentari di quegli accordi di pace ancora non abbiamo finito di scontarle.


 

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