Metafore e confini

Elena Camino

Un caldo lunedì di gennaio

14 gennaio 2019. Uscendo di casa presto, alle 7, mi accorgo che l’aria è tiepida. 14 gradi sul suo terrazzino, mi conferma un amico allarmato.  Poco dopo il  messaggio di un’amica: ieri a Bra il calicanthus era fiorito…. E’ un arbusto che fiorisce in inverno, è vero,  ma a inizio gennaio non è un po’ precoce?

Già dalla notte soffia un forte  vento fino a 136 kmh questa mattina sulle montagne del Piemonte.  La raffica più forte finora è stata registrata nella stazione Arpa  sul Monte Fraiteve, sopra Sestriere.  Le montagne sono asciutte…

Qualcuno pensa con sollievo  che le polveri sottili saranno spazzate via ,  e si potrà di nuovo circolare con vari diesel…  Altri si sentono a disagio, con questo clima ‘strano’.

L’analisi dei dati ad oggi disponibili mostra che anche il 2018 appena terminato si colloca tra gli anni caldi della storia recente del nostro pianeta. Per l’Italia i dati dell’ISAC-CNR mostrano come il 2018 è stato l’anno più caldo degli ultimi 219 anni. (http://www.climalteranti.it/2019/01/08/2018-il-quarto-anno-piu-caldo-a-livello-globale-il-piu-caldo-di-sempre-in-italia/).

Metafore, metafore…

Oggi è lunedì: sono una lettrice del Manifesto, e al lunedì – giorno in cui non esce – acquisto La Stampa, per tenermi aggiornata sull’altra ‘narrativa’ del mondo.  E oggi  ho potuto apprezzare l’ampio spazio dedicato dal giornale al tema di attualità: TAV.  L’articolo di Andrea Rossi  “Il risveglio del Nord: la TAV non si tocca” occupa quasi tutta la pagina 6. Interessante l’inizio: “Il risveglio del Nord ha il volto di Monica Giuliano, il sindaco di Vado Ligure, dove tra qualche mese aprirà una piattaforma logistica da 800mila container. Con Genova e La Spezia formerà una catena logistica di impatto mondiale. <<Per questa ragione non possiamo rinunciare alla Tav: perderemmo la possibilità di diventare uno snodo centrale per il traffico delle merci>>.  Il giornalista cita anche le parole di Alberto Avetta, presidente dell’ANCI: <<Sindaci e cittadini scendono in piazza perché sentono messi in discussione i pilastri della crescita>>. Gli fa eco Claudio Cicero, assessore alle infrastrutture di Vicenza: <<Siamo già in ritardo di decenni sul sistema della mobilità veloce, non c’è tempo. Ce lo chiedono gli imprenditori e i cittadini: perdere questo treno significa essere fuori dall’Europa>>.

Il risveglio, i pilastri, la crescita… quante metafore!  Mi fanno venire in mente  un libro scritto nel  2013 da Luca Rastello e Andrea De Benedetti:  Binario morto. Una metafora anche questa… Nel sottotitolo (Lisbona-Kiev. Alla scoperta del Corridoio 5 e dell’alta velocità che non c’è) compare la parola ‘corridoio’, che adesso non si usa più tanto.

Confesso di essere un po’ confusa… traffico di merci o mobilità veloce? O entrambi? Dal Portogallo a Kiev (e ritorno, immagino) passando per le Alpi? A trasportare chi, che cosa? Persone? Merci? Forse eserciti???

Le metafore possono esprimersi anche con le vignette: ve ne propongo una, creata  nel 2007 da un amico  designer e artista, Massimo Battaglia:

Ancora metafore: spacchettare  e sganciare. Un problema di confini…

Sempre su La Stampa del 14 gennaio, a  pagina 7 c’è un trafiletto che merita la citazione di alcuni passi.  L’imprenditore Arturo Artom, intervistato da Paolo Baroni, avanza una <<proposta innovativa>>, per <<cercare di fare un passo avanti>>.  Secondo Artom << il tunnel di base è indispensabile per il traffico merci, per rivoluzionare gli scambi tra Italia e Francia. A carico dell’Italia ci sarebbe il 35% dei costi>>, quindi “appena” 3 miliardi, e così come progettato permetterebbe il trasporto ogni ora di 6 treni merci a 120 Km/h e di solo 1 treno passeggeri  a 220 Km/h.  Artom spiega al giornalista che si potrebbe spacchettare la TAV, separando la tratta Torino-Susa (<<che andrebbe rinviata quando l’intensità del traffico lo richiederà>>) dal tunnel di base, sganciare i due interventi e predisporre due distinte analisi costi-benefici>>.  Insomma, come recita il titolo dell’articolo, << si al tunnel di base il resto con calma>>.

L’imprenditore Artom fissa la sua attenzione su uno spazio circoscritto del territorio, sul quale a suo parere sarebbe possibile effettuare una seria analisi costi – benefici. Diverso, e assai più complesso, potrebbe essere proporre tale analisi allargando i confini del sistema al Piemonte, al ‘Corridoio 5’, all’Europa… e che dire della scala dei tempi? E potrebbe cambiare l’analisi se si considera un periodo di 5 anni? Di 10 anni o più?  I confini spazio – temporali che si scelgono per analizzare un oggetto di studio sono importanti, e richiederebbero di essere esplicitati (come le variabili che si misurano, d’altronde). Guido Viale, nel suo recente articolo  (I vuoti di memoria della crescita economica: Il Manifesto 13.01.2019) chiama in causa il confine planetario (e i cambiamenti climatici ad esso associati) .

[ …] oggi che si sa quanto sia in forse, la sicurezza della salute del pianeta Terra: della casa comune in cui siamo e continueremo a restar confinati. Una sicurezza che esige di abbandonare alla svelta progetti inutili e insensati per adottare, qui e ora, migliaia di iniziative diffuse di conversione ecologica per garantire un futuro a noi e a chi verrà dopo di noi. E allora, che senso ha scavare – con tanto di analisi costi benefici tarata su prospettive di invarianza (business as usual) del contesto generale un buco di 57 chilometri nella montagna per spedire ad alta velocità merci che tra 20 anni rischiano di non esserci nemmeno più?

Confini chiusi, confini aperti…

‘L’età dei muri’. Così definisce la nostra epoca lo storico Carlo Greppi, autore di un libro appena pubblicato con questo titolo (Feltrinelli, 2019). Nella presentazione si legge: “Oggi decine di barriere dividono popoli e paesi. Sono state innalzate per ostacolare flussi migratori, per creare confini o per difenderli. In gran parte sono successive al 1989.[…]”.

La maggior parte dei confini – dalle membrane che delimitano le  cellule, alla pelle che racchiude la nostra identità fisica, ai limiti di un bosco, alle rive di un fiume, alle catene di montagne – sono anche luoghi privilegiati di scambio. Rendono possibile la vita e la biodiversità. Invece,  molti muri costruiti dall’uomo  hanno una funzione di barriera,  sono fatti per ostacolare. Oltre ai muri concreti, di pietra, cemento, filo spinato, acciaio  ci sono i muri metaforici delle ideologie, ancora più impenetrabili di quelli concreti.  Eppure tutti i muri sono in qualche misura superabili; non ci sono confini che non possano mai essere valicati, e anche le idee più radicate possono, nel tempo, aprirsi al dialogo …

Ma qual è il confine più grande? E’ il margine che separa il nostro pianeta dal vuoto stellare, e appare nitido  nella fotografia della ‘biglia blu’, spedita dagli astronauti nel 1972 ai ‘cittadini della Terra’. In realtà è uno strato di gas, spesso più di 100 Km, che sfuma gradualmente  verso  lo spazio vuoto. E’ questo ‘muro’ che regola gli scambi  di materia e di energia tra il pianeta e l’esterno: scambi  che risultano funzionali   a mantenere la vita sulla Terra.

Alcune  attività umane negli ultimi due secoli (riconducibili prevalentemente a un uso crescente di combustibili fossili)  hanno iniziato a modificare la composizione di questo confine, quindi a cambiarne le caratteristiche e qualità.  I cambiamenti climatici che si stanno manifestando da alcuni decenni – l’aumento della temperatura media dell’atmosfera e l’aumento delle ‘turbolenze’  (cicloni, inondazioni…) – sono il risultato di questa alterazione.

Nel conflitto – ormai più che trentennale – tra NOTAV e SITAV potrebbe essere utile, per i lettori e le lettrici che volessero capirne di più, fare attenzione alle metafore e ai confini.

 

 

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