Non bestemmiare il tempo. L’ultimo insegnamento di don Milani | Recensione di Gianni Penazzi

Fabio Fabbiani, Non bestemmiare il tempo. L’ultimo insegnamento di don Milani, Dissensi, Viareggio 2017, pp. 162 € 12,00

L’ultimo insegnamento di don Milani

Proseguono gli incontri nelle scuole e nelle biblioteche  per la presentazione del recente libro sulla Scuola di Barbiana e il metodo don Milani. Dopo Pistoia, Casal di Principe (chi l’avrebbe mai pensato!), è stato il turno di Ravenna al Liceo Classico, di Lugo al Liceo Tecnico Sacro Cuore. Sono in corso di programmazione ulteriori incontri ancora a Ravenna presso la Fraternità San Damiano, a Lugo presso la Biblioteca Comunale[1].

Sandra Passerotti (Fiesole, FI) è la curatrice del libro: «Di ritorno dal Cammino di Santiago ho cominciato a scrivere la testimonianza di Fabio alla scuola di don Lorenzo Milani. Era quindicenne e bocciato alle statali per due volte, quando i suoi genitori decisero di portarlo da quel prete di cui avevano sentito dire che con il suo doposcuola i ragazzi poi superavano gli esami». Una pagina dopo l’altra il prezioso memoriale si avvicinava alla conclusione quando è sopraggiunta di colpo la prematura scomparsa del protagonista Fabio Fabbiani. L’autrice dopo un periodo di sconcerto e cedimento ha desiderato farlo rivivere sulle pagine scritte… Solo così oggi possiamo conoscere una testimonianza inedita, utile anche per avvicinarsi alla didattica di Barbiana, e che permette al lettore di entrare nei giorni di quella scuola, esserne partecipe e viverne la sua dimensione fortemente generativa, educativa, innovativa, formativa.

Il titolo dell’opera è Non bestemmiare il tempo. L’ultimo insegnamento di don Lorenzo Milani, 2017, Edizioni Dissensi). Il Priore diceva che «il tempo è un dono prezioso di Dio. Un dono che passa e non torna. Sciuparlo, equivale a una bestemmia».

È disarmante la premessa dell’editore che nelle prime pagine accenna all’incontro con la curatrice, alla dolcezza e alla sincerità che lo hanno commosso, definendola una donna senza ego, senza filtri e senza sovrastrutture, animata dal desiderio, che saliva dall’anima, di dare voce a chi non aveva più voce. Affermava Fabio Fabbiani:

            «[…] se dipendesse da don Milani stabilire l’undicesimo comandamento, sono sicuro che direbbe: non bestemmiare il tempo. Dal momento che ho varcato la porta della sua scuola di Barbiana ho rispettato quel comandamento. Non bestemmiare il tempo vuol dire non sciupare un bene prezioso che non ritorna, al momento della nascita inizia il conto alla rovescia, non lo sappiamo, ma il nostro tic-tac non smetterà fino alla fine del nostro tempo concesso. Barbiana. Un luogo isolato. Una scuola senza confini. Un’esperienza dirompente. Ci arrivavo avvilito dalle tante bocciature ne uscivo fortificato dagli insegnamenti di don Lorenzo Milani. Pronto ad affrontare la vita, a testa alta».

Anatomia di una classe

Incontro in alcune scuole con Sandra Passerotti

Mentre Sandra Passerotti (Fiesole-FI, scrittrice) raccontava la genesi e le pagine del suo libro su don Milani e la Scuola di Barbiana, davanti a lei si svolgeva una sinfonia di sguardi, posture di corpi, espressioni, voci, manifesti sulle pareti della classe, con parole chiave come accoglienza, rispetto reciproco, fiducia, ascolto, gentilezza… A finale di scenario solitamente sta la fila di sedie in fondo alla classe, loggione ideale per l’uditorio degli ospiti dall’esterno.

Le classi sono quelle dei giovani sedici-diciassettenni dei Licei di Ravenna e Lugo.

«Se ogni relazione umana nascesse dalla responsabilità dello sguardo altrui» avremmo realizzato un’autentica rivoluzione nonviolenta… E dagli sguardi, dai volti, dalle espressioni prende forma la presente estemporanea scheda anatomopatologica.  Contrariamente alla vulgata diffusa vi erano ragazzi in gamba, eccezionali… Tra loro c’era qualche riccio corrucciato e interrogativo… c’erano degli Oscar Wilde rapiti e sognanti… alcuni Lucio Anneo Seneca meditativi su ciò che accade volendo che accadesse… qualche Epicuro educato e attento ma che, quando costretto a stare in mezzo agli altri, si ritira in se stesso… un Arnold Schoenberg che coglie nella vocalità toscana un immaginario pentagramma che rende liberi… Tra le ragazze  qualche avatar scolpita e cromatica, intense complesse latine

capaci di «scendere» le tapparelle… Alcune in stile Hannah Arendt che umanizzano ciò che avviene nel mondo e in se stesse solo parlandone, facendo domande, perché così si impara a diventare umani…  Alcune Etty Hillesum stese tra sedia e banco che «quando mi ritroverò a terra distrutta e stordita, bisognerà che in qualche angolino di me stessa io sappia che mi rialzerò un’altra volta» … Talune come Agnes Heller sanno di stare ad ascoltare una persona buona fino a ieri invisibile e sconosciuta, perché le persone buone quasi sempre non fanno audience.

E quando la scrittrice accenna al concetto milaniano «l’obbedienza non è più una virtù» un insegnante ha proseguito raccontando del pilota di Hiroshima… Sul volto degli studenti si evidenziavano espressioni che rimandano a qualcosa di profondo che si muove negli animi.


[1] Di cui riportiamo una testimonianza (Anatomia di una classe).

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