Londra, oltre 6mila persone bloccano i ponti

redazione

Migliaia di manifestanti sabato hanno occupato i ponti sul Tamigi per esprimere la loro preoccupazione sul cambiamento climatico. Una delle più importanti azioni pacifiche di disobbedienza civile in Gran Bretagna negli ultimi decenni, lo ha definito il Guardian. Ottantacinque persone sono state arrestate.

“Il cambiamento climatico è una minaccia per l’umanità e il governo deve agire”

Dalle 10 di ieri mattina i manifestanti, fra cui molte famiglie e pensionati, si sono diretti in massa verso 5 dei principali ponti di Londra. Un’ora dopo i varchi erano tutti occupati. Alcuni manifestanti si sono incatenati tra loro e hanno iniziato a cantare.

La protesta fa parte di una campagna di disobbedienza civile di massa organizzata dal movimento di protesta Extinction Rebellion, che fa pressione sui governi affinché trattino la questione del cambiamento climatico per quello che è: una minaccia per l’umanità.

«Il ‘contratto sociale’ è stato infranto… e quindi non è solo un nostro diritto, ma un nostro dovere morale, eludere l’inazione del governo e ribellarci per difendere la vita stessa», ha detto al Guardian Gail Bradbrook, uno degli organizzatori.

Nelle ultime due settimane più di 60 persone sono state arrestate per aver preso parte ad atti di disobbedienza civile organizzati da Extinction Rebellion, dall’incollare se stessi agli edifici governativi a bloccare le strade principali della capitale.

Ieri, secondo gli organizzatori, hanno preso parte alle proteste circa 6.000 persone. E a partire dalla prossima settimana sono previste nuove iniziative: piccole squadre di attivisti si sparpaglieranno nel centro di Londra bloccando strade e ponti.

«Data la portata della crisi ecologica che stiamo affrontando, questa è la risposta adeguata», ha affermato Bradbrook. «Occupare le strade per apportare cambiamenti come i nostri predecessori hanno fatto prima di noi. Solo questo tipo di sconvolgimento economico su larga scala può, in tempi brevi, portare il governo a un tavolo per discutere le nostre richieste. Siamo pronti a rischiare tutto per il nostro futuro».

Il movimento – si legge sempre sul Guardian – chiede al governo di ridurre le emissioni di anidride carbonica a zero entro il 2025 e di istituire una “assemblea dei cittadini” per elaborare un piano d’azione di emergenza simile a quello visto durante la seconda guerra mondiale.

Extinction Rebellion, che è stato fondato solo un paio di mesi fa, ha raccolto, nelle scorse settimane, 50mila sterline grazie a piccole donazioni.

Attualmente il movimento ha uffici nel centro di Londra e negli ultimi mesi ha tenuto riunioni in tutto il paese, informando sulla portata della crisi climatica e invitando le persone a partecipare ad azioni dirette durante questo fine settimana.

«Abbiamo il dovere di agire» – dicono – «E siamo pronti anche ad andare in carcere per questa lotta contro la crisi climatica».

Intanto, tanti piccoli gruppi locali stanno nascendo e si stanno organizzando in tutto il paese. Un paio di settimane fa la campagna ha attirato l’attenzione dei media quando è emerso che fra i 100 accademici, che hanno deciso di affiancarsi al movimento, c’è anche l’ex arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams.

I 100 accademici, in una lettera pubblicata sul Guardian, hanno scritto: «Nonostante abbiamo visioni e competenze accademiche diverse, siamo uniti su questo stesso punto: non possiamo tollerare il fallimento di questo o di qualsiasi altro governo a intraprendere azioni incisive ed urgenti nei confronti del peggioramento della crisi ecologica.

La scienza è chiara, i fatti sono incontrovertibili, ed è inconcepibile per noi che i nostri figli e nipoti debbano sopportare il peso terrificante di un disastro senza precedenti a causa delle nostre stesse azioni».

È del mese scorso il rapporto “Global Warming of 1,5°C” dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) che avverte: carestie, siccità, scioglimento dei ghiacciai, distruzione delle barriere coralline, depauperamento delle specie vegetali e animali, migrazioni forzate a causa di inondazioni e catastrofi naturali saranno gli effetti più drammatici del riscaldamento globale nel caso in cui non riusciremo a limitare l’aumento delle temperature a 1,5 gradi entro il 2050.

Intanto il movimento di protesta ha avviato anche contatti internazionali, organizzando, ad oggi, 11 eventi in sette paesi, tra cui Stati Uniti, Canada, Germania, Australia e Francia. «Per mettere in discussione il sistema che ci sta uccidendo, dobbiamo essere coraggiosi e ambiziosi», ha affermato Rupert Read, docente di filosofia presso la University of East Anglia. «Dobbiamo creare una rete in tutto il mondo, unire le forze e imparare gli uni dagli altri».


Fonte: http://www.valigiablu.it/londra-cambiamento-climatico-protesta/
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