Dall’India solidarietà al Movimento NOTAV

Daniela Bezzi

Dal fitto delle foreste del Jharkhand (india tribale) il messaggio di solidarietà di Jacinta Kerketta, giornalista/poeta, attivista ambientale e amica della Val di Susa

Era l’11 maggio di quest’anno (la stessa sera era infatti prevista la serata all’Emporio Pandan di cui conservo la locandina) quando proposi a Jacinta Kerketta di andare in visita alla Val di Susa, destinazione Bussoleno, appuntamento con alcuni vecchi amici e tra l’altro proprio nei giorni in cui la cittadina si preparava ad accogliere un certo festival di cose buone prodotte nella valle, gran daffare di banchetti in fase di montaggio, vignaioli e piadine resistenti in quantità.

Due parole su Jacinta e circa il motivo per cui si trovava a Torino in quei giorni: proveniente da umilissime origini nella comunità dei tribali Oraon in Jharkhand, può considerarsi un vero e proprio caso ‘letterario’ per il fatto di essersi affermata innanzitutto come giornalista, per poi scoprire che le stesse ‘storie’ potevano essere raccontate ancora meglio con la poesia. E ’storie’ di quotidiani abusi, furti di terra, brutali repressioni, sullo sfondo di un’India che ha urgenza di mettere le mani su quel bendiddio di materiali ferrosi che è la vera ricchezza delle foreste millenaria in Jharkhand, dove Jacinta è nata. (intervista su Il Manifesto)

E per l’appunto la sua prima raccolta di poesie ‘Angor’, è stata presentata allo scorso Salone del Libro con il titolo ‘Brace’ nella bella traduzione italiana curata da Alessandro Consolaro per la casa editrice Miraggi – e con l’occasione ecco anche la visita lampo in Val di Susa, insieme all’attivista – editore tedesco Johannes Laping.

E qualche settimana dopo, ecco un suo post su Facebook, che segnala il reportage dalla Val di Susa sul quotidiano in lingua bengalese Prabhat Khabar – come dire La Stampa moltiplicato per 10 diverse edizioni in più stati europei, circolazione di ca 800.000 copie, per non dire on line!

In questi giorni in cui di nuovo la Val di Susa si trova sotto l’assedio di chi vorrebbe sbloccare le ruspe e rilanciare il progetto TAV, non ho potuto fare a meno di scrivere a Jacinta, la quale di nuovo ha postato sulla sua pagina FB quello stesso pezzo – con (di nuovo) una marea di like.

Le ho chiesto se potevo farne una traduzione in Italiano – risposte: ‘Of course!’. Ed eccola qui, per capire che l’ansietà che in questi giorni ammorba di nuovo la Val di Susa, è la stessa delle foreste e degli abusi di cui parla Jacinta, in Jharkhand.


Il sentimento indigeno di una certa valle italiana… Dopo una visita in Val di Susa in Italia
di Jacinta Kerketta

Dicono che ogni volta che c’è una situazione di protesta, la soluzione non è mai univoca, neppure per la gente coinvolta nella protesta. Perché la protesta diventa quasi sempre un modo di propagare un nuovo modo di vivere. E c’è la consapevolezza degli  antenati, e di quanto avevano lottato per difendere la loro valle contro le avversità o intrusioni. Ed ecco che anche gli abitanti di oggi rivivono i sentimenti dei loro antenati, sanno di percorrere un sentiero antico, ma chiaramente tracciato sotto i loro piedi. Anche loro ora fanno parte di quella storia. E del resto, come non opporsi a questo progetto di Alta velocità, se anche il governo francese ha messo in dubbio la validità del progetto, ritenendolo non redditizio…

Non sono solo gli Adivasi dell’India ad opporsi a nuovi e insensati progetti di sviluppo, la stessa storia si verifica in molte altre parti del mondo, ovunque le persone prendono coscienza delle logiche che fanno dipendere le loro vite dalla finanza e dai mercati. Da circa trent’anni le popolazioni dei villaggi di questa bella Valle alpina che collega l’Italia con la Francia, si oppongono a questo progetto assurdo che nel nome dell’alta velocità e dello sviluppo vorrebbe sfigurare il loro magnifico paesaggio, con tutto ciò che esso contiene: natura, foreste, tradizioni.

In questo posto le persone sono orgogliose dei loro dialetti e della loro cultura. Questa loro lotta è molto simile alla lotta degli Adivasi (le popolazioni indigene) dell’India.

Ed ora voglio raccontarvi come è successo che io sia finita in Val di Susa. Siamo partiti la mattina dell’11 maggio 2018, dalla città italiana di Torino e, dopo circa un’ora di viaggio, abbiamo raggiunto questo luogo di tale bellezza naturale, che davvero chiunque avrebbe solo voglia di restarvi il più possibile, anche solo per sentirsi raccontare le storie più quotidiane e normali. Dinnanzi a noi ecco le cime innevate delle Alpi. Poco prima, da un lato, c’erano montagne rocciose e grigie, e dall’altra parte alcune alte montagne coperte di verde intenso.

In questa zona di montagna al confine tra Francia e Italia, ci sono molti piccoli villaggi. Economicamente, questi villaggi sono tutt’altro che arretrati, e anzi molto orgogliosi delle loro identità culturali. Lingua, cultura, esistenza e storia, tutto è profondamente radicato in questi villaggi. I treni ci sono e sono frequenti e si muovono alla giusta velocità attraverso i campi di questa valle di montagna che si estende oltre il confine con la Francia. Man mano che penetriamo nella valle, il clima si fa più fresco e il suono del torrente Dora si sente sempre più chiaramente. La val di Susa è proprio una valle meravigliosa.

Il nostro viaggio in treno ha come destinazione Bussoleno, uno dei villaggi della Val de Susa che è diventato il quartier generale del movimento. Veniamo accolti da alcuni amici di Daniela Bezzi che ha organizzato questa visita (Gabriella Geremia e suo marito – ndr). E subito comincia il loro racconto, su questa resistenza che da 30 anni vede coinvolte la popolazione di un’intera, tutti sono contrari a una concezione di sviluppo che è solo invasiva, senza alcun reale beneficio per la valle e per chi ci abita. Quando il governo si è fatto avanti con un progetto di ampliamento delle strade, la gente ha fatto notare che quelle esistenti erano più che sufficienti. Ma le strade sono state ampliate con la forza, e per un buon tratto il paesaggio è ora sfigurato da un’inutile superstrada. Ciò ha comportato ingenti perdite per le persone – perdita di campi, aie, aree forestali, filari di ciliegi e molto altro ancora. “Una notte, improvvisamente, l’esercito ci ha attaccato e ha aggredito selvaggiamente tutti quanti, comprese le donne, gli anziani, i bambini. Molti cani da guardia scapparono terrorizzati e non sono più tornati. Probabilmente sono stati soppressi a causa del loro disperato abbaiare. Molte persone sono morte di dolore, molte di più sono state costrette a vivere con il dolore dei ricordi, con il rimpianto di quello che avevano prima di essere sfrattati. I ricordi dell’infanzia tra i ciliegi. Molte storie e canzoni sono state scritte su tutte queste vicende e ricordi, che sono stati raffigurati anche nei dipinti, o in forma di messaggi incollati all’interno delle case, che conserviamo anche oggi.” Queste sono le parole che una signora ormai anziana ma ancora molto combattiva, Nicoletta Dosio, una donna ed ex insegnante che ha lottato nelle fila del movimento della Val Susa fin dall’inizio, ha condiviso con me.

E ancora: “Il popolo di questa valle di montagna non ha mai smesso di lottare, e il governo non ha mai smesso di imporre la sua idea di sviluppo. Ora, dopo così tanti anni, si parla nuovamente di costruire una ferrovia per i treni super veloci lungo i 50 km di questa valle. Il governo italiano e quello francese volevano investire nove miliardi di euro in questa cosa. Per ciò, hanno già scavato parecchio sotto la montagna. Le persone di questa valle hanno compreso il vero scopo di questo progetto di sviluppo. Si resero fin da dubito conto che quello che stava succedendo era la svendita della loro valle e delle loro belle montagne. La gente ancora una volta si unì e fu così che ebbe iniziò questo movimento veramente potente. Hanno anche scoperto che c’è minerale di uranio sotto queste montagne. Le conseguenze per l’intera valle sarebbe di grande sofferenza, sul piano ambientale e per la salute.”

Molti altri movimenti in varie parti d’Europa sostengono da tempo la lotta di questa valle. Hanno visitato questi luoghi, ci hanno vissuto dentro, alloggiati in tende e campi temporanei, e si sono fermati per capire meglio questa storia. Molti hanno lasciato la loro vite di città e sono venuti a stare permanentemente nella valle, per poter vivere ancor più da vicino questa storia. Nel corso degli eventi, le persone che si sono collegate al movimento sono state accusate di terrorismo e messe in prigione. Anche Nicoletta, la voce forte delle donne, è stata messa agli arresti domiciliari, con la proibizione di uscire da casa sua. Ma lei non ha mai smesso di combattere per la sua libertà. Una squadra di avvocati ha sostenuto queste persone, hanno combattuto una lotta legale in loro difesa. Persone provenienti dall’America Latina, dall’Africa e da altre parti d’Europa continuano a venire ogni estate in Val di Susa, per esprimere vicinanza a questa a lotta di popolo, e capire cosa si può fare.

Nicoletta Dosio si chiede per quale motivo la Val di Susa dovrebbe dipendere o diventare vettore dell’economia di mercato, visto che tutti i bisogni di chi ci abita possono essere soddisfatti localmente. Hanno creato piccoli negozi dove vendono i prodotti della terra e tutto ciò di cui hanno bisogno viene prodotto localmente. Insieme ad alcuni amici, Nicoletta ha inoltre dato vita a un centro culturale, che si chiama ‘Credenza’, dove oltre a mangiare cose buone e bere vino sincero, si tengono discussioni e dibattiti. E dove la gente viene per elaborare idee e progetti per un nuovo modo di vivere. Uno stile di vita basato sull’uguaglianza, il rispetto, una vita dignitosa e di mutua solidarietà, attenta ai principi di preservazione della natura come a quelli di condivisione e di comunità. E un posto dove gli animali possono vivere liberamente, avere la loro parte di benessere e un’area protetta nella foresta in cui vivere. E insomma una vita improntata alla stessa filosofia che da tempo immemorabile caratterizza le comunità Adivasi.

Nicoletta sottolinea proprio quest’aspetto: la soluzione ai problemi non deriva solo dalla posizione di resistenza. Insieme alla resistenza, questo movimento sta affermando un nuovo modo di vivere anche per tanti altri. Nel fare questo la generazione attuale sta proseguendo nel tracciato di chi è venuto prima, calcando le stesse orme, essendo parte di quella stessa storia. Fu infatti dopo la loro lunga lotta, che il governo francese dichiarò questo progetto non redditizio e si ritirò.

Uscendo dalla ‘Credenza’ ci incontriamo con Gigi Richetto, un intellettuale ormai un po’ anziano che è stato una grande guida per  l’intero movimento. La valle in questo periodo (era metà maggio 2018, ndr) è abbastanza calma. Solo a volte si sente il suono delle trivelle un po’ più in alto, in montagna. Nicoletta e i suoi compagni sanno bene che la loro lotta non finirà mai… C’è una scintilla nei suoi occhi mentre mi guarda – e capisce fino a che punto la loro lotta, la loro vita e le loro speranze sono collegate a quelle degli Adivasi in India.

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