Perché ci odiano? Come l’Occidente si crea i suoi nemici | Marco Carnelos

Dall’antica Grecia in poi, l’Occidente ha trattato l’Oriente come un nemico da usare per trovare la propria identità

L’amministrazione del presidente Trump sembra avere intenzione di sfidare il resto del mondo. A parte poche eccezioni, come ad esempio la Russia (per quel che riguarda Trump stesso), Israele e l’Arabia Saudita, quasi tutte le altre nazioni hanno subito la furia e il disprezzo dell’attuale presidente americano.

I legami con i tradizionali alleati degli USA sono stati messi in discussione, e molti dei princìpi, dei pilastri e delle regole dell’ordine mondiale liberale, che erano stati concepiti e plasmati dagli Stati Uniti, sono stati rinnegati.

Una conoscenza parziale

Questi sviluppi non possono essere semplicemente attribuiti alla sola figura di Trump. Il pensiero del presidente è in realtà condiviso da una significativa fetta di popolazione che conosce poco il mondo che si trova oltre le loro sponde e che sembra incline a credere che il loro paese sarà sempre sotto minaccia. Le lamentele e il rancore che spesso vengono smerciati da Trump trovano un pubblico reale.

Il risultato netto è una mobilitazione contro le presunte minacce esistenziali rivolte alla nazione americana, così come le politiche intransigenti adottate per proteggerla da imbrogli, da nemici spietati, e da ingiuste prassi commerciali da parte di alleati ingrati. In uno slogan: “Make America Great Again” (Rendere di nuovo grande l’America), o in maniera più brutale “We are America, bitch!” (Siamo l’America, porca puttana!”)

Questa visione del mondo manichea e polarizzata non è temporanea. Ed è improbabile che finisca anche se Trump dovesse essere messo in stato di accusa, o se dovesse essere sconfitto alle elezioni del 2020. Di fatto, è un atteggiamento radicato nella cultura politica americana, dovuta a due elementi fondamentali. Il primo è l’eccezionalismo americano. Il secondo è più generalmente legato a una cultura occidentale più ampia, che risale all’antica Grecia.

Eccezionalismo americano?

L’eccezionalismo americano è una convinzione che quasi tutti gli americani – repubblicani o democratici, pro- o anti-Trump – considerano parte del proprio codice genetico politico.

Henry Kissinger offre una definizione chiara, scrivendo che l’eccezionalismo è la convinzione secondo cui i principi americani sarebbero “universali e che i governi che non li mettono in pratica non sarebbero completamente legittimati. Una nozione così tanto radicata nel pensiero americano…da indurre a pensare che una parte di mondo viva in una situazione provvisoria e insoddisfacente e che un giorno sarà riscattata [dall’America]”

Kissinger conclude che l’eccezionalismo americano è una convinzione che causa una situazione di conflitto generale, latente tra la superpotenza mondiale, gli Stati Uniti, e la maggiorparte del resto del mondo. Questa convinzione ha un corollario importante, ovvero che non può esserci alcuna differenza tra gli interessi degli Stati Uniti e gli interessi dell’umanità.

Sebbene eminenti ricercatori americani credano che sia una leggenda, è possibile affermare che nel XX secolo l’eccezionalismo americano ha salvato milioni di persone da un destino orribile. A partire dalla fine della Guerra Fredda, la messa a punto dell’eccezionalismo è stata gestita male e la sensazione che alla fine sia un po’ sfuggito di mano, è forte.

Il secondo elemento fondamentale a cui facevo riferimento – relativo alla cultura occidentale e risalente all’antica Grecia- è la tendenza occidentale di autodefinirsi attraverso i propri nemici, sia reali che immaginari. Questi nemici sono stati geograficamente e mentalmente situati nell’emisfero orientale, un posto rappresentato come la casa del dispotismo e della barbarie, in contrasto con l’Occidente e il suo primato di libertà e democrazia, scienza e tecnologia.

Una rappresentazione negativa

Nel suo famoso libro Orientalismo, Edward Said ha affermato che le società primitive, così come quelle moderne, “sembrano ricavare il senso delle loro identità negativamente”. In altre parole, tendono a definire loro stessi più in base a quello che non sono, che in base a quello che sono.

La percezione che una società ha di sé è quindi affermata e rinforzata tramite il confronto con società che si ritiene rappresentare l’opposto. Di solito, le società avversarie sono considerate inferiori e intimidatorie. L’Occidente sembra aver guardato all’Oriente in questo modo sin dai tempi antichi.

È una distinzione binaria che deriva dal pensiero dicotomico ereditato dalla filosofia aristotelica. Questa tradizione intellettuale si è estesa fino a oggi, influenzando significativamente non solo il pensiero politico occidentale moderno, ma più di tutto anche il modo in cui gli occidentali pensano.

La rappresentazione polarizzata e negativa dell’Oriente risale al V secolo a.C., durante le guerre tra la Grecia e l’Impero persiano. A quei tempi, i greci usavano il termine “barbaro” per indicare chiunque non parlasse greco. Nella maggior parte dei casi, si trattava di persone provenienti dai territori orientali che erano considerati differenti in termini di valori e comportamenti.

Nemici orientali

I greci furono probabilmente i primi a introdurre questa distinzione importante rispetto ai loro vicini asiatici su idee che riguardavano l’autogestione delle loro rispettive società e la relazione tra i loro abitanti. I conflitti con la Persia rinforzarono la consapevolezza dei Greci sulle differenze che esistevano tra loro e l’Impero orientale.

L’immagine che i Greci avevano di sé era promossa tramite il confronto con i persiani, e le caratteristiche negative dei loro nemici orientali erano amplificate e enfatizzate. Le vittorie sui persiani erano celebrate sul palco nelle tragedie dei drammaturgi ateniesi come Eschilo.

Secondo le tragedie, gli ateniesi avevano avuto la meglio perché erano uniti, liberi, disciplinati ed efficienti grazie ai loro valori democratici. Al contrario, i loro nemici avevano perso perché erano esattamente l’opposto, ovvero si trovavano sotto la legge dispotica di una singola persona.

Erodoto, con le sue Storie, ha trasmesso la stessa visione. Più tardi, quando Alessandro Magno si mosse per conquistare l’Asia, si fermò prima di tutto a Troia per commettere sacrifici, un atto simbolico che ha reinterpretato la guerra di Troia come un combattimento tra i gregi e l’Oriente, con i troiani rappresentati come barbari – una rappresentazione che non trova traccia nell’Iliade di Omero.

Per tutti i secoli successivi, lo schema mentale non è cambiato. L’Oriente ha finito progressivamente per essere conosciuto in Occidente come il suo grande opposto, complementare e negativo, una visione rinforzata sistematicamente dalla storiografia e dalla letteratura.

La nuova religione

Lo sviluppo dell’Islam ha aumentato ulteriormente questa polarizzazione, con la nuova religione che subito è diventata simbolo di terrore e devastazione. Per almeno quattro secoli, l’Impero ottomano è stato considerato la minaccia principale per l’Europa e il cristianesimo. Paradossalmente, è stato tramite gli eruditi islamici che l’Europa ha riscoperto le opere classiche greche che hanno contribuito così tanto alla polarizzazione Est-Ovest.

Nel XVIII e XIX secolo, il colonialismo Europeo è stato ulteriormente rinforzato dall’ “io” occidentale, affermato anche attraverso il famoso “fardello dell’uomo bianco”. La fine del XX secolo ha assistito a un revival delle minacce provenienti dall’Est attraverso l’Islam radicale. Oggi i nemici orientali sembrano abbondare: la Russia, la Cina e le nazioni musulmane, in diversa misura, sono tutte percepite come minacce.

L’atteggiamento occidentale nei confronti delle culture e delle civilizzazioni orientali non è solo stato caratterizzato da un senso di superiorità ma anche da una tendenza a rappresentare le relazioni in termini manichei. È davvero sorprendente vedere quanto poco siano cambiate la lingua e la (fuoriviante) interpretazione occidentali nel corso dei secoli.

L’espressione “asse del male” è considerata una piccola eredità politica tramandata dal precedente presidente americano George W. Bush. In realtà, era già stata usata probabilmente per la prima volta il 17 settembre 1956 da Oliver Cromwell nel parlamento inglese, quando si riferì a un “asse del male” situata all’estero, un “altro” strano e illiberale lì fuori in circolazione per minacciare lo stile di vita del suo paese. Meno di 20 anni prima che Bush utilizzasse il termine, Ronald Reagan chiamava l’Unione Sovietica “l’impero del male”.

Democrazia e libertà

La democrazia e la libertà sono quindi due principi fondmentali che l’Occidente utilizza per giustificare la distinzione dagli “altri”. Uno dei problemi principali che stiamo affrontando oggi è che l’Occidente ha applicato questi principi con due pesi e due misure, à la carte, indebolendo in questo modo la credibilità dell’ordine liberale.

Per le nazioni occidentali, ci sono stati dittatori buoni e dittatori cattivi. Le violazioni dei diritti umani sono stati visti sotto diverse luci, a seconda dell’autore. I processi elettorali sono stati considerati giusti e legittimi solo se i vincitori erano amici dell’Occidente.

Qualsiasi persona che ha cercato di interpretare o formulare la libertà e la democrazia in un modo anche leggermente diverso da quello da manuale occidentale è stato equiparato a un nemico diabolico con cui il compromesso, o la coesistenza, è impossibile. Il precedente presidente Bush e i media mainstream degli Stati Uniti hanno spiegato che l’11 settembre è stato il risultato dell’odio verso le società occidentali per quello che erano.

C’è del vero in questa affermazione, ma le stesse società occidentali non sono state sfiorate da nessun dubbio circa la possibilità che, a volte, l’Occidente potrebbe essere odiato per ciò che ha fatto, e non per ciò che è. Questa linea politica era stata adoperata molto prima che Donald Trump arrivasse alla casa bianca.

La tendenza occidentale a rappresentare o definire l’ “altro” non come il semplice portatore di interessi e valori differenti, ma anche come incarnazione del male, è adesso profondamente radicata nel pensiero e nel linguaggio politico mainstream.

La matrice che adesso prevale, scondo il manuale eccezionalista, è il cambio di regime. Dopo la fine della Guerra Fredda, si sono cercati dei nuovi nemici per rimpiazzare quelli vecchi.

Nuovi nemici

A volte, la facilità e l’eccessiva fretta con cui Washington identifica le nuove minacce appaiono ridicole. Nell’ultimo quarto di secolo, la nazione più potente del mondo ha puntato il dito contro Panama, Repubblica di Serbia, una manciata di fanatici in una grotta afgana e una serie di nazioni musulmane identificandoli come i pericoli chiari e attuali per la sicurezza nazionale.

Dopo il collasso dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti, attraverso l’espansione “smart” della NATO in direzione Est, hanno compiuto il colpo da maestro: ritrasformare una nazione a pezzi quale è la Federazione Russa nel suo principale nemico. Inoltre, con la recente offensiva commerciale contro la Cina e il bullismo finanziario attraverso il dollaro, il vecchio allineamento tra i due giganti euroasiatici è stato ripristinato.

Il pensiero binario

La situazione internazionale attuale è diventata così fobica che qualsiasi discussione sobria su Russia, China, Israele e Palestina o Iran, per menzionare i casi più impellenti, è diventata quasi impossibile.

Esprimere dubbi sulla narrativa mainstream circa le attività della Russia conduce a essere etichettato come il lacchè di Putin. Far notare che i surplus del commercio cinese sono in buona parte il risultato della delocalizzazione industriale di massa portato avanti dalle più importanti compagnie occidentali (un esempio tra tutti: la Apple) significa essere considerati folli. Criticare delle azioni questionabili da parte del governo israelita ti espone all’accusa di anti-semitismo. Ricordare che l’iran ha firmato e finora rispettato il PACG, o chiedere il rispetto dei diritti palestinesi supportati dalla legge internazionale, è cospirare con il terrorismo.

Quando l’establishment politico comincia a credere alla propria propaganda, e portano i loro elettori a fare lo stesso – così come gli Stati Uniti fecero con le “armi di distruzione di massa” dell’Iraq – le possibilità di un errore di valutazione e, conseguentemente, di un conflitto, aumentano.

Domande fondamentali

Alcune domande fondamentali richiedono una risposta: perché le nazioni occidentali sentono così frequentemente il bisogno di credere a così tante storie prive di fondamento e di figurarsi così tante minacce alla loro sicurezza nazionale? Perché questa costante caccia al nemico per ostentare, dimostrare e salvaguardare i valori liberali quando questi ultimi sono così intrinsecamente forti e validi di per sé?

Una scuola di pensiero di solito risponde additando il complesso industriale e militare statunitense. È una risposta ma non la risposta. Temiamo che ce ne possa essere una più preoccupante: il sospetto è che la reale minaccia per l’Occidente e i suoi valori si trovi all’interno delle società occidentali stesse, e che sarebbe a dir poco riduttivo dar la colpa di tutto all’ultimo arrivato, Donald Trump.

Se il nemico è dentro di noi, sepolto nelle profondità delle nostre coscienze, potrebbe essere così difficile accettarlo da essere costretti, alla fine, a cercarlo al di fuori.


Marco Carnelos è stato un diplomatico Italiano. Ha lavorato in Somalia, in Australia e nelle Nazioni Unite. È stato membro dello staff per le politiche estere di tre primi ministri italiani tra il 1995 e il 2011. Più recentemente è stato Inviato Speciale Coordinatore dei Processi di Pace in Medio Oriente per il governo italiano in Siria e, fino a novembre 2017 è stato ambasciatore italiano in Iraq.


Il punto di vista espresso in questo articolo appartiene all’autore e non necessariamente rispecchia la linea politica editoriale di Middle East Eye… e del Centro Studi Sereno Regis.


Marco Carnelos
Friday 17 August 2018 12:56 UTC
Tuesday 4 September 2018 11:46 UTC

Titolo originale: Why do they hate us? How the West creates its own enemies
Traduzione di Roberta Lanzi per il Centro Studi Sereno Regis


 

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