E’ necessario un lavoro politico, sociale e culturale per opporsi all’odio e all’intolleranza | Anna Polo intervista Elly Schlein

Elly Schlein: è necessario un lavoro politico, sociale e culturale per opporsi all’odio e all’intolleranza

Politiche migratorie, forze nazionaliste e xenofobe, costruzione di reti tra forze politiche progressiste e società civile, opposizione all’odio e all’intolleranza e valore della nonviolenza. Ne parliamo con Elly Schlein, europarlamentare di ‘Possibile’ e relatrice per il suo gruppo S&d (Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici) della riforma del regolamento di Dublino.

Le dichiarazioni uscite dal recente incontro tra Salvini e Orban fanno pensare che dalla polemica sull’Europa che non fa abbastanza x suddividersi i migranti si stia passando a una posizione più dura, all’australiana, ossia “fermare l’immigrazione a tutti i costi”. Cosa ne pensi? C’è ancora spazio per una riforma del regolamento di Dublino?

La posizione di rifiuto dei migranti da parte dei paesi di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) non è certo una novità e costituisce l’unico punto su cui si possa saldare questo paradossale asse Salvini-Orban. Si tratta di un progetto strumentale e tutto a spese dell’Italia, che sacrifica gli interessi del paese sull’altare di un’alleanza con forze nazionaliste che vogliono risolvere problemi e sfide globali e complessi tornando al passato, ai confini nazionali. E poi è davvero assurdo cercare alleanze con chi, come l’Ungheria, non ha fatto una sola ricollocazione di migranti.

Il modello australiano, oltre che incivile, non è applicabile a una zona come il Mediterraneo, vicina a tanti teatri di guerra e l’esternalizzazione delle frontiere, come si è fatto con la Turchia e si vorrebbe fare con vari paesi africani, porta come unico esito una maggiore violazione dei diritti umani e nuove rotte più pericolose sempre verso l’Italia e la Grecia.

Ci sarebbe ancora spazio per una riforma del regolamento di Dublino: basterebbe un voto a maggioranza qualificata dei paesi europei più grandi e popolati, senza bisogno di unanimità e il riconoscimento che un tema come quello dei migranti si risolve solo con la collaborazione e la solidarietà. Un altro punto fondamentale è capire che l’inerzia dei governi europei, in primis quello tedesco e francese, ha permesso e favorito l’avanzata xenofoba e nazionalista e anche che politiche di destra portate avanti da governi in teoria di centrosinistra hanno finito per rafforzare proprio la destra.

Le forze di destra e populiste sono state abili a capire l’insicurezza e il timore del futuro di tanta gente, in realtà dovuti ai tagli sistematici a sanità, pensioni e istruzione e al lavoro, quando c’è, sempre più precario,  a presentarsi come i paladini degli italiani ignorati da una sinistra lontana e indifferente e ad addossare tutte le colpe ai migranti. Come si può rovesciare questa narrazione e uscire dalla tossica divisione tra “noi” e “loro”?

Il gioco di usare lo straniero come capro espiatorio di tutti i mali è antico ed è stato vissuto in prima persona dagli italiani, additati come criminali quando erano loro a emigrare. E’ anche un’”arma di distrazione di massa” che va denunciata, usata per nascondere la mancanza di risposte reali a problemi sociali quali la povertà e la disuguaglianza che continuano a crescere, mentre la ricchezza si concentra sempre di più in poche mani. “Prima gli italiani” è uno slogan falso, che nasconde la mancanza di misure reali per colpire i veri responsabili di questa situazione, per esempio le multinazionali e gli evasori fiscali.

Per rovesciare questa narrazione occorre prima di tutto un’”operazione verità” sui migranti: l’Italia è il paese dove la percezione della loro presenza è maggiormente falsata rispetto ai dati reali. Poi ci sono alcuni passi concreti da compiere a breve termine: la riforma del regolamento di Dublino (votata nel novembre 2017 al Parlamento Europeo con una maggioranza di due terzi per cancellare il criterio ipocrita dell’obbligo di chiedere asilo nel primo paese di accesso e sostituirlo con un meccanismo di ricollocamento obbligatorio e automatico, perché tutti i paesi europei facciano la loro parte), arenatasi nella riunione del Consiglio Europeo di fine giugno, la creazione di vie d’accesso legali e sicure per tutti i paesi europei e per tutti i migranti, senza l’assurda distinzione tra migranti economici e chi fugge dalla guerra. In Italia questo significa cancellare la legge Bossi-Fini, che in pratica ha impedito qualsiasi forma di entrata legale nel paese. E poi potenziare il modello SPRAR di accoglienza diffusa, coinvolgendo gli enti locali, uscendo dalla logica dell’emergenza e puntando a una maggiore trasparenza. Un altro livello di intervento per disinnescare la guerra tra poveri consiste in misure per combattere disuguaglianza, povertà e sfruttamento estese a tutti, senza distinzioni. Sono stata di recente in Uganda e là ho potuto vedere applicato questo modello, con interventi rivolti in ugual modo a ugandesi e rifugiati. E infine smetterla con questa infame guerra alle ONG, che hanno solo sopperito alla mancanza di una vera missione europea di ricerca e soccorso in mare.

Naturalmente bisogna anche parlare di temi più ampi, per esempio di una politica estera diversa, che escluda la vendita di armi a paesi in conflitto, o noti per la violazione dei diritti umani.

Che strade vedi per opporsi al clima di odio, intolleranza e violenza alimentato da Salvini e dai suoi alleati europei e per presentare proposte politiche  alternative?  Come si può “fare rete” tra società civile e forze politiche progressiste e trovare forme di appoggio reciproco, sia a livello nazionale che internazionale?

In effetti le forze nazionaliste e xenofobe sono riuscite a unirsi e a formare un fronte compatto, mentre dall’altra parte manca un’uguale forza. Servirebbe un fronte progressista ed ecologista sia a livello europeo che italiano, che non stia né con l’establishment che ha prodotto questa situazione, né coi sovranisti. Forse l’unico effetto positivo di questa deriva allarmante consiste nel fatto che un numero sempre maggiore di persone sta avvertendo la necessità di reagire e muoversi. Un esempio è #EuropeanSolidarity, la mobilitazione che il 27 giugno ha coinvolto 170 piazze europee per chiedere ai governi di fare la propria parte sull’accoglienza, cambiare il Regolamento di Dublino e aprire vie legali e sicure d’accesso all’Unione.

E’ necessario opporsi agli egoismi nazionali e, da parte dei partiti, riallacciare con umiltà i fili di collegamento con la società civile, mettersi a disposizione delle forze sociali senza pretendere di guidarle, ma cercando caso mai di accompagnarle. Chiunque sente il bisogno di muoversi dovrebbe farlo, usando tante forme diverse, non solo le manifestazioni, tornando a partecipare attivamente nei partiti e nelle associazioni. Si tratta di un lavoro non solo politico e sociale, ma anche culturale.

In questo momento in cui dilaga la violenza in tutte le sue forme, che valore ha per te la nonviolenza?

Per me la nonviolenza ha un valore fondamentale perché “non passa mai di moda”, come la pace. Davanti all’abbruttimento di una propaganda che usa l’odio per il diverso e favorisce di fatto i tanti episodi di violenza fisica che si sono verificati negli ultimi tempi, è fondamentale non cadere in trappola dando risposte altrettanto violente.  Oggi chiunque manifesti solidarietà e difenda i diritti di tutti è sotto attacco, mentre chi si riempie la bocca della parola “sicurezza” non dà risposte ai timori e all’insicurezza per il futuro, rendendo di fatto la società meno sicura. La nonviolenza agisce in senso esattamente contrario e rende possibile una società migliore e più sicura per tutti. Insomma, io credo che oggi più che mai sia necessario rimboccarsi le maniche e, come diceva Gandhi, essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo.


04.09.2018 Anna Polo | Fonte: Pressenza

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