Il ritiro USA dal Consiglio sui Diritti Umani ONU

Richard Falk

Esplicitamente agganciandosi a una presunta prevenzione anti-Israele, gli USA si sono ritirati dall’ ulteriore partecipazione al Consiglio sui Diritti Umani (HRC) ONU. L’unica base internazionalmente credibile per criticare il HRC è la sua deprecabile tendenza a mettere in ruoli dirigenti alcuni paesi con le peggiori pagelle sui diritti umani, così creando autentiche problematiche di credibilità e d’ ipocrisia.

Mi sarei perciò ovviamente aspettato che l’ambasciatrice Nikki Haley si trattenesse da una tale critica perché sarebbe imbarazzanteper Washington ammettere che molti fra i suoipiù stretti alleati in Medio Oriente e altrove hanno appunto condotte deplorevoli sui diritti umani, ed essi stessi, se imparzialmente valutati, hanno invertito i propri ruoli dall’anno 2000, passando nella categoria dei più gravi trasgressori dei diritti umani.

A tal proposito, il loro ‘ritiro’può considerarsi una ‘sospensione’ autoinflitta proprio per la propria insufficienza nel promuovere e proteggere i diritti umani nella propria società, da emendare almeno al punto da rendere meno risibile il loro montare in cattedra sulle carenze altrui.

Ma Haley non si fa intimidire dalla realtà: nel suo furente discorso di ritiro ha avuto la sfrontatezza di dire che il primo obiettivo USA è “migliorare la qualità dell’appartenenza al Consiglio”. E “quando un cosiddetto ente sui Diritti Umani non è in grado di trattare i massicci abusi in Venezuela e Iran, cessa di esser degno del proprio nome”. Un tale discorso, nel migliore dei casi con una discutibile valenza politica, fa sollevare sopracciglia in dileggio notando l’assordante silenzio di Washington riguardo a d Arabia Saudita, Israele, ed Egitto, per citare giusto tre suoi alleati mediorientali.

Senza dubbio gli USA erano frustrati dai propri tentativi di ‘riformare’ il HRC secondo la propria opinione di funzionamento di un’agenzia ONU, e ha incolpato gli avversari tradizionali – Russia, Cina, Venezuela, Cuba – e l’Egitto di bloccare l’iniziativa. Devono inoltre non aver apprezzato l’Alto Commissario HRC, Zeid Ra’ad al-Hussein, per aver descritto la separazione dei bambini dai genitori fra gli immigranti al confine messicano come una politica ‘priva di scrupoli’.

Nel valutare quest’ultimo segno di ritirata americana dal suo precedente ruolo di leader globale, ci sono varie considerazioni che ci aiutano a capire tale mossa, che pone gli USA nello stesso strano angolino rifiutistacondiviso da Nord-Corea ed Eritrea:

  • il fatto che il ritiro USA dal HCR sia avvenuto immediatamente dopo il massacro al confine d’Israele [con Gaza], isolato dalla censura e da un’indagine del consiglio di Sicurezza da un veto USA, è certamente parte del proscenio politico. Questa considerazione è stata senza dubbio rafforzata dall’approvazione HRC di un’indagine per appurare i fatti sul comportamento d’Israele durante le settimane precedenti di reazione alle manifestazioni confinarie della Grande Marcia del Ritorno, accolte da una diffusa violenza letale dei tiratori scelti;
  • valutando il rapporto ONU con la Palestina bisogna ricordare che la comunità internazionale organizzata ha una precisa responsabilità per la Palestina riconducibile alla diplomazia di pace dopo la 1^ guerra mondiale allorché alla Gran Bretagna fu conferito il Mandato, che secondo lo Statuto della Lega delle Nazioni doveva essere eseguito come ‘sacro affidamento di civiltà’. Questo rapporto speciale fu esteso e approfondito quando la Gran Bretagna rinunciò a quel ruolo dopo la 2^ guerra mondiale, trasferendo la responsabilità per il futuro della Palestina all’ONU. A tale neonata organizzazione mondiale fu dato il compito di trovare una soluzione sostenibile di fronte alle pretese aspramente contestate fra la popolazione maggioritaria palestinese e quella ebrea, prevalentemente di coloni.

Questo ruolo ONU fu iniziato e profondamente influenzato dall’ombra lunga dell’angoscia e della colpa gettata dall’Olocausto. L’ONU, prendendo a prestito il copione coloniale britannico, propose della Palestina fra comunità politiche ebraiche e palestinesi, che andò a finire nel piano di partizione ONU contenuto nella risoluzione # 181 dell’Assemblea Generale, sviluppato e adottato senza la partecipazione della popolazione residente di maggioranza, all’epoca non-ebraica al 70%, e opposto dai paesi indipendenti del mondo arabo.

Il piano sembrava ignaro dell’umore anti-coloniale crescente al tempo, trascurando di prendere in considerazione il principio-guida normativo dell’auto-determinazione. La guerra di Partizione che ne seguì nel 1947 produsse effettivamente una partizione di fatto della Palestina più favorevole al progetto sionista di quanto proposto, e rigettato, nella risoluzione 181. Una caratteristica del piano originario era internazionalizzare la governancedella città di Gerusalemme con l’attribuzione di uguale status ad ambo i popoli.

Questo proposto trattamento di Gerusalemme non fu mai avallato da Israele, e anzi formalmente, seppur indirettamente, ripudiato dopo la guerra del 1967, quando Israele dichiarò (in violazione del diritto internazionale) che Gerusalemme era l’eterna capitale del popolo ebraico da non essere mai divisa o internazionalizzata, e Israele l’ha così amministrata con quell’intento, attuato in sprezzo all’ONU. Quel che mostra chiaramente quest’abbozzo della connessione ONU con la Palestina è che dall’immediato inizio della costruzione statuale israeliana, il ruolo della comunità internazionale è stato diretto e che lo scarico di responsabilità non è stato soddisfacente in quanto si dimostrò incapace di proteggere i diritti morali, legali, e politici palestinesi.

Come risultato, la maggioranza del popolo palestinese è stata effettivamente esclusa dal proprio paese ed esiste in quanto popolo in una realtà etnica frammentata. Questa serie di eventi costituisce uno dei peggiori crimini geolitici del secolo scorso. Anziché eccedere col criticare il comportamento d’Israele, l’ONU ha fatto decisamente troppo poco, non per mancanza di volontà, ma come espressione del primato comportamentale della geopolitica e del militarismo nudo e crudo;

  • la tensione rivelatrice nella spiegazione del ritiro USA dal HRC da parte dell’ambasciatrice Haley presta attenzione quasi esclusiva a fattori quantitativi come il numero ‘sproporzionato’ di risoluzioni a confronto con quelle a sanzione di altri trasgressori di diritti umani, senza fare alcun tentativo di refutare le accuse di sostanzadelle malefatte israeliane. Cosa non sorprendente, giacché qualunque tentativo di giustificare le politiche e le pratiche israeliane verso il popolo palestinese non farebbe che evidenziare la gravità della criminalità d’Israele e l’acutezza della vittimizzazione palestinese. Gli USA hanno anche lottato a lungo per liberarsi del cosiddetto punto 7 del Consiglio sui Diritti Umani, dedicato alle violazioni dei diritti umani da arte d’Israele in relazione all’occupazione dei territori palestinesi, che trascura il precedente punto principale del fallimento cronico ONU nel produrre una pace giusta per i popoli che abitano quel che fu il Mandato Palestina, e il minimo che possa fare è mantenere un occhio vigile.
  • Ritirarsi da accordi istituzionali internazionali, specialmente quelli espressamente relative a pace, diritti umani, e protezione ambientale, è diventato il tratto distintivo di quell’ internazionalismonegativo della presidenza Gli esempi più madornali prima di questa mossa riguardo al HCR sono stati il ripudio dell’Accordo sul Programma Nucleare con l’Iran (noto anche come JCPOA o Accordo P5 +1) e dell’Accordo di Parigi sul Cambiamento Climatico. A differenza di questi altri casi d’internazionalismo negative, è probabile che questo commiato dal HCR nuoccia agli USA più che al HCR, rafforzandone la disponibilità miope a fare qualunque cosa ci voglia per compiacere Netanyahu e il capo-donatore sionista americano alla campagna di Trump, Sheldon Adelson. Solo il provocatorio annuncio di trasferimento unilaterale dell’ambasciata Americana a Gerusalemme lo scorso dicembre è stata altrettanto esplicitamente di pronta adesione all’agenda politica d’Israele quanto questa repulsion del HCR; l’una e l’altra iniziativa sono vistosamente contrarie a un’equa rappresentazione degli interessi nazionali americani, e pertanto un’ostentata deferenza alle preferenze d’Israele. Nonostante questa impenitente unilateralità, la presidenza Trump si propone ancor sempre come pacificatrice, promettendo di realizzare ‘l’accordo del secolo’ al momento buono, godendo pure del sostegno dell’Arabia Saudita, che sembra dire ai palestinesi di prendere quanto gli viene offerto o farla finita per sempre. Conoscendo la debolezza e le fiacche ambizioni dell’Autorità Palestinese, non si può dire quale ulteriore catastrofe, stavolta di natura diplomatica, possa vieppiù oscurare il futuro palestinese. Una nakba diplomatica potrebbe essereil peggior disastro di tutti per il popolo palestinese e la loro lotta secolare per i diritti elementari.

Si dovrebbe inoltre osservare che la pagella USA sui diritti umani va costantemente declinando, che si tratti delle attuali politiche moralmente catastrofiche di separazione famigliare al confine messicano o del mancato raggiungimento di un progresso accettabile progresso in patria nell’area dei diritti economici e sociali pur con la sostanziosa ricchezza americana (come documentato nel recente rapporto di Philip Alston, RapporteurSpeciale UNHRC sull’Estrema Povertà) oppure ancora nelle varie violazioni di diritti umani commesse nel corso della Guerra al Terrore, compresa la gestione di siti neriin paesi esteri per eseguire torture su sospetti terroristi, o la negazione degli standard del diritto umanitario internazionale (Convenzioni di Ginevra) nell’amministrazione di Guantanamo e altre attrezzature carcerarie;

  • Vale anche la pena notare che lo sprezzo d’Israele per il diritto internazionale e le istituzioni internazionali è pervasivo, grave, e direttamente collegato al mantenimento di un oppressivo regime d’occupazione integrato da strutture d’apartheid che rendono vittime i profughi palestinesi, i residenti di Gerusalemme, la minoranza palestinese in Israele, e la popolazione imprigionata di Gaza. Israele ha rifiutato l’autorità della Corte Internazionale di Giustizia riguardo al ‘muro di separazione’ che già nel 2004 aveva dichiarato con voto quasi unanime di 14-1 (gli USA unici dissenzienti) che la costruzione del muro su territorio palestinese occupato era illegale, che si doveva abbattere il muro, e compensare i palestinesi per i danni subiti. Ci sono molti altri casi riguardanti problematiche come gli insediamenti [abusive], le punizioni collettive, l’impiego eccessivo di forza, le condizioni carcerarie, e una varietà di abusi sui bambini.

In conclusione, esprimendo l’intento di punire il Consiglio sui Diritti Umani, la presidenza Trump, in rappresentanza del Governo USA, sta punendo ben più sé stessa, come pure i popoli del mondo. Beneficiamo tutti di una robusta e legittimata struttura istituzionale per la promozione e la protezione di diritti umani vitali. Quest’asserzione di partigianeria anti-israeliana nel HRC, ossia nell’ONU, è una politica diversivafalsa: il centro d’attenzione più vero sarebbe sulla violazione quotidiana dei diritti più basilari del popolo palestinese. Questa èla tragica realtà che l’ONU non è stata in grado di superare. Che è tutto quel che ci serve sapere.


Richard Falk (Global Justice in the 21st Century)

Titolo originale: The U.S. Withdrawal from the UN Human Rights Council

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


 

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