Economia della natura | Recensione di Cinzia Picchioni

Hans Immler, Economia della natura. Produzione e consumo nell’era ecologica, Donzelli, Roma 1996, pp. 112, € 16,53

«Tutto ciò che noi consumiamo, lo produce la natura.
Tutto ciò che noi produciamo consuma la natura»

(H. Immler, Vom Wert der Natur, 1990, p. 10)

La frase qui sopra è tratta da un altro libro di Immler (non tradotto in italiano), e mi è sembrata un buon inizio per questa «specie» di recensione di un libro del 1996. Ma non vorrei più sentire le parole «il libro è vecchio», nel caso di titoli che trattino l’ecologia. Nessun libro sull’ecologia è inattuale, nemmeno questo, perché quello ecologico è un problema continuo, sempre attuale, che incontriamo giorno dopo giorno e che dovremmo considerare. Ma non lo facciamo. Nessuno lo fa. E così i libri di ecologia continuano ad essere attuali perché i problemi che affrontano non vengono mai risolti! Chiarito questo, cioè che il libro presentato questa settimana non è vecchio solo perché è uscito nel 1996, possiamo leggere nella Quarta di copertina qual era e qual è l’intento del suo autore. Lo leggiamo dalla Prefazione di Piero Bevilacqua, quasi coetaneo di Immler.

L’intento di questo libro, dal taglio volutamente divulgativo, è di porre consapevolmente la natura al centro di un progetto di una nuova forma di governo dell’economia. Secondo l’autore le condizioni di crisi ecologica in cui versano le società contemporanee nascono essenzialmente dal fatto che l’economia industriale non ha riconosciuto nella natura la sola e vera forza produttiva esistente. La natura – ricorda provocatoriamente Immler – non è solo la viola o il bosco, ma anche la macchina o la locomotiva a vapore: «La locomotiva a vapore ha a che fare con la natura nonmeno di una viola, l’industria chimica non meno el profumo del bosco e la tecnologia genetica non meno dell’incantevole colibrì», p. XVII. La natura inorganica, quella che popola in forma di oggetti le nostre città, le nostre fabbriche o i nostri gabinetti scientifici, non è certo meno natura per il fatto di essere assoggettata interamente alle manipolazioni scientifiche degli uomini. (ivi)  [Immler] considera, comprensibilmente, come la forma più pericolosa di crisi ecologica non, ad esempio, l’avvelenamento delle acque – vale a dire questo o quel singolo fenomeno di alterazione o distruzione dell’ambiente – ma l’eslusione della natura dalla consapevolezza della società. (p. XVIII)

Che cosa è infatti la stessa fabbrica contemporanea se non natura trasformata dalla tecnica, che produce beni i quali sono tali non solo per il lavoro incorporato, ma perché conservano le loro caratteristiche naturali di durezza, resistenza, colore? Al contrario, le società industriali hanno visto nella natura solo una risorsa della produzione, realizzata di fatto dal lavoro e dalla tecnica. E per questo, mentre si sono sforzate di riprodurre tanto il lavoro umano che la tecnica, nulla hanno fatto per riprodurre le vere condizioni materiali di ogni produzione, vale a dire la natura. Per questo, secondo l’autore, molte delle attuali questioni ecologiche – conservare questo o quel lembo di natura, tutelare i parchi ecc. – sono relativamente minori di fronte al vero problema che è quello di rendere consapevole la società che sta divorando le fonti stesse della propria ricchezza e della propria sopravvivenza. (ivi).

L’autore

Hans Immler, nato nel 1940, ha studiato all’Università di Friburgo e alla Technische Universitat di Berlino. Dal 1977 professore di ecologia sociale ed economia ecologica all’Università di Kassel, è autore, tra l’altro, di Natur in der okonomischen Theorie (1985) e di Vom Wert der Natur (1989).

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