Il vero vincitore

Uri Avnery

Il Quinto giorno della Guerra dei 6 giorni del 1967, pubblicai una lettera aperta al primo ministro, Levy Eshkol. L’esercito israeliano, il vero vincitore, aveva appena conquistato la Cisgiordania, Gerusalemme-est e la Striscia di Gaza, e io proponevo che Eshkol offrisse immediatamente al popolo palestinese di stabilirvi lo Stato di Palestina, in cambio della pace con Israele.

Al tempo ero un membro del Knesset [Parlamento, ndt]. Due giorni dopo la fine della guerra Eshkol mi chiese di incontrarlo nel suo ufficio al palazzo del Knesset.

Ascoltò quel che avevo da dirgli e poi mi rispose con un sorriso paterno: “Uri, che specie di negoziatore sei? In un negoziato si offre il minimo e si chiede il Massimo; poi si comincia il negoziato, e alla fine si raggiunge un accordo da qualche parte nel mezzo. E tu vuoi offrire tutto prima ancora che il negoziato cominci?” Io obiettai debolmente che può darsi che ciò sia vero per un accordo ordinario, ma non quando c’è in gioco il destino delle nazioni.

(Il ministro del Commercio, Haim Zadok, un abilissimo avvocato, mi diede presto un’altra lezione sulla mentalità sionista. Gli chiesi che parte dei territori appena occupati iI governo fosse disposto a restituire. Mi rispose: “Semplice. Se possibile, restituiremo nulla. Se ci premono addosso, restituiremo una piccolo parte; se ci premono di più, restituiremo una parte più grossa; se ci premono moltissimo, restituiremo tutto.” Al tempo, restituire voleva dire al regno di Giordania.)

Ci fu effettivamente nessuna pressione effettiva, così Israele si tenne tutto.

Rammentai questo episodio guardando la seconda puntata dell’eccellente serie TV di Raviv Drucker sui precedenti primi ministri d’Israele. Dopo Ben-Gurion venne Levy Eshkol.

Drucker ritrae Eshkol come un politico gradevole e pasticcione, un debole cui capitò di stare in carica quando scoppiò la guerra più fatale, con risultati che hanno plasmato il nostro destino fino ad oggi. Il piccolo Israele divenne una potenza regionale, con ampi territory occupati a nord, est e ovest. Eshkol fu sospinto dai suoi generali indocili, prese decisioni contro la sua volontà sotto coercizione. Così l’attuale situazione d’Israele fu forgiata quasi per caso.

Tutti I riferimenti fattuali di Drucker sono scrupolosamente corretti e, come il capitolo su Ben-Gurion, anche questo è pieno di rivelazioni, nuove anche per me. Però penso che la sua caratterizzazione di Eshkol non sia del tutto precisa. Sì, Eshkol era una persona gradevole, modesta e moderata, ma sotto sotto c’era un torsolo duro, una fede ostinata nell’ideologia sionista.

Prima di diventare primo ministro su consenso generale del partito Laburista, quando Ben-Gurion era diventato intollerabile e fu buttato fuori, Eshkol aveva l’incarico degli insediamenti: la sua determinazione di insediare ebrei sulla terra posseduta dagli arabi era incrollabile.

Fra noi si sviluppò un rapporto curioso. Io ero l’enfant terrible del Knesset, una fazione di un solo uomo in estrema opposizione, odiato dal partito laburista al governo. Nella sala del Knesset ero seduto giusto sotto il podio del portavoce, un posto ideale per interromperlo.

Eshkol era un oratore abominevole, la disperazione degli stenografi: le sue frasi non avevano inizio né fine. Quando lo interrompevo con un’osservazione, perdeva il filo, si rivolgeva a me rispondendo con gentilezza, mandando in bestia I colleghi di partito. Ma non avevo illusioni. Fu sotto il suo governo che il Knesset emanò una legge chiaramente progettata per chiudere il mio settimanale, detestato dal partito in carica (fatto che m’indusse a candidarmi per il Knesset).

Quando cominciò la crisi Mediorientale del 1967, Eshkol – allora sia primo ministro sia ministro della difesa –effettivamente esitò ad agire. Israele era minacciato da tre eserciti arabi; il consenso Americano a un attacco israeliano non era assicurato. La crisi durò tre settimane, e l’ansia della popolazione israeliana s’intensificava giorno dopo giorno.

Eshkol pareva un improbabile condottiero di guerra. Al culmine della crisi, decise di tenere un discorso alla radio per sollevare lo spirito della nazione: lesse un testo preparato -anche troppo preparato. Un consigliere aveva migliorato il manoscritto, cambiando qualche parola, raggiunta la quale Eshkol inciampò, passando per indeciso, ed immediatamente si formò una convinzione pubblica: Eshkol doveva andarsene o almeno lasciare il ministero della difesa.

Un gruppo di donne (soprannominate “le allegre signore di Windsor”) dimostrò per le strade; Eshkol si arrese e Moshe Dayan divenne ministro della difesa.

L’esercito, armato e preparato superbamente per anni da Eshkol, riportò una vittoria folgorante. Dayan, il pittoresco ex-generale monocolo, divenne il rrande vincitore, il sogno delle donne in tutto il mondo, benché il suo contributo fosse stato minimo.

Quando tutto finì, la statura di Eshkol nella mente del pubblico restò bassa. Sebben si possa asserire che fosse il vero vincitore, tutta la gloria andò ai seducenti generali. Israele divenne uno stato militarista, i generali eroi nazionali, Dayan, alquanto incompetente, venerato.

E poi, meno di due anni dopo la guerra, Eshkol morì d’improvviso. Questi erano i due anni fatali, in cui si dovevano trattare i sorprendenti risultati della guerra. Non ci fu alcun vero dibattito. I miei amici e io patrocinavamo la creazione di uno stato palestinese senza trovare sostegno – né in Israele né in tutto il mondo. Quando feci visita a Washington DC, erano tutti nettamente contro. Perfino l’Unione Sovietica (e il partito Comunista israeliano) adottarono l’idea solo anni dopo.

Una delle argomentazioni contrarie era che gli “arabi della Cisgiordania” (Dio non voglia che li si chiamassero palestinesi) volevano tornarsene dal re. Allora andai a trovare tutti i leader locali importanti della Cisgiordania. Alla fine di ogni conversazione gli chiedevo all’imrovviso: “Se aveste la scelta fra tornare al governo giordano o creare uno stato palestinese, che cosa scegliereste?” Ognuno di essi rispose: “uno stato palestinese, naturalmente.”

Quando ne riferii in un dibattito parlamentare, Dayan, allora ancora ministro della difesa, rispose che mentivo. Quando ripresi l’argomento in un dibattito con il primo ministro, Eshkol sostenne il suo  ministro.

Ma poi Eshkol fece qualcosa che solo un Eshkol poteva fare: Il suo consulente per gli affari arabi mi chiamò chiedendomi un incontro. C’incontrammo al self-service dei parlamentari. “Il primo ministro mi ha chiesto di scoprire su che cosa basa la sua asserzione”, mi disse. Gli riferii le mie conversazioni con i vari capi arabi dei territori occupati. Egli redasse un meticoloso verbale riassumendo: “Concordo con MK Avnery in ogni particolare. Però, siamo entrambi d’accordo che uno stato palestinese senza Gerusalemme-est come capitale è impensabile. Poiché il governo ha deciso di tenere Gerusalemme-est in qualsivoglia accordo di pace, l’idea fi uno stato palestinese è irrelevante.” (Ho appena trasferito questo document all’Archivio Nazionale.)

L’estrema destra ha già richiesto l’annessione di tutto il territorio occupato al Grande Israele, ma allora erano lontani dal potere e pochi li hanno presi dul serio.

Quanto rimase era la vaga “Opzione Giordana”. L’idea era di restituire la Cisgiordania al re Hussein, a condizione che ci lasciasse Gerusalemme-est. Idea matta, risultante da una totale ignoranza della realtà araba. Il re era un rampollo della famiglia Hashemita, la famiglia del profeta Maometto. L’idea che cedesse il terzo luogo più sacro all’Islam, dal quale il Profeta stesso era asceso al cielo, era ridicola. Ma Eshkol, come tutti gli altri ministri, non aveva idea delle questioni islamiche o arabe.

L’unico primo ministro israeliano che conosceva I palestinesi arabi veniva a mala pena citato nella serie TV di Drucker: Moshe Sharett.

Sharett fu il secondo primo ministro. Quando Ben-Gurion decise di abdicare e stabilirsi nel Negev, il ministro degli esteri Sharett fu scelto dal suo partito a succedergli. A Ben-Gurion ci volle circa un anno a decidere di voler essere dopo tutto primo ministro, così egli torno al ministero della difesa e dopo qualche tempo alla carica di primo ministro.

Sharett era il contrario di Ben-Gurion in quasi ogni aspetto. Non è un caso che Drucker quasi non lo citi. Era considderato debole, davvero trascurabile. Mentre Ben-Gurion era decisivo, bbaldo e perfino avventuroso, Sharett era considerato un codardo e ampiamente disprezzato.

Ma Sharett, che venne in Palestina dall’Ucraina all’età di 12 anni, era vissuto per due anni in quartieri arabi. A differenza di tutti gli altri primi ministri, parlava arabo, pensava in arabo e capiva gli arabi. Aveva addirittura un aspetto vagamente arabo, coi suoi baffi curati.

Quando Ben-Gurion ritornò dall’auto-esilio del Negev, aveva l’idea d’invadere il Libano, installarci un capo cristiano come dittatore, rendendolo il primo stato arabo a far pace con Israele. Sharett, ancora primo ministro, la riteneva un’idea stupida, ma non osava tener testa pubblicamente a Ben-Gurion; andò a casa e scrisse una lettera a Ben-Gurion, in cui elencò tutto ciò che era sbagliato in quell’idea. Il piano fu abbandonato.

Una generazione più tardi, il Beniamino di Ben-Gurion, Ariel Sharon, allora ministro della difesa, attuò il piano di Ben-Gurion, con esattamente i risultati che Sharett aveva profetizzato. Ma non servì a risuscitare la reputazione di Sharett.

Sharett peraltro era anche un vanitoso. Una volta ci trovammo alla base del monte Metsada (Masada), all’inizio di una salita molto ardua per la cima. Ci mise un’ora e 5 minuti, davvero un’impresa per un uomo della sua età. Ma, per sbaglio, io scrissi nel mio giornale che ci aveva messo 105 minuti. Si arrabbiò tanto da mandarmi una lettera ufficiale di richiesta di correzione e di scusa. Cosa che feci, ovviamente.

Sharett morì presto, inasprito e deluso. Eppure, penso che meritava anche lui un capitolo nell’eccellente serie di Drucker.


Gush Shalom – TRANSCEND Media Service – 30.04.18

Titolo originale: The Real Victor

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


 

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