La campagna per sterminare i musulmani

Chris Hedges

Il massacro gratuito di palestinesi disarmati in trappola dietro le barriere di sicurezza di Gaza da parte dell’esercito israeliano provoca poca indignazione e condanna negli Stati Uniti perché siamo stati indottrinati a disumanizzare i musulmani. Si condanna l’Islam come barbarico e lo si identifica col terrorismo. La lotta di resistenza contro l’occupazione straniera, sia essa in Afghanistan, Iraq o Gaza, vede I musulmani demonizzati come il nemico. I musulmani vengono bollati come irrazionali e incline alla violenza e al terrorismo per via delle proprie credenze religiose. Li attacchiamo non per ciò che fanno ma perché li consideriamo differenti da noi. Dobbiamo estirparli per salvare noi stessi. E così perpetuiamo proprio l’odio e la violenza di reazione, ossia il terrorismo, che temiamo.

I musulmani in quest’era di autoritarismo razzializzato sono stati private di equo processo nei nostri tribunali e sono sottoposti — come Abid Naseere Haroon Aswat in Gran Bretagna prima di venire estradati negli Stati Uniti — a carcerazione preprocessuale di anni. Sopportano la brutalità della polizia, vengono arrestati in base a prove segrete che non possono vedere e patiscono lunghe detenzioni in prigioni clandestine note come siti neri. Vengono rapiti ovunque al mondo e portati, incappucciati, drogati e ammanettati, a siti segreti. Torturati con metodi feroci come percosse, sbattimenti al muro, umiliazioni sessuali, costrizione in latomie, isolamento protratto, water dousing, scosse elettriche, getti violenti d’acqua [molto fredda/calda], waterboarding[asfissia indotta da acqua intermittente su panno che avvolge il capo, ndt] e la cosiddetta reidratazione rettale[alimentazione forzata per clistere, ndt]. Gli si revoca la cittadinanza. Le loro comunità e moschee vengono molestate, infiltrate e monitorate dai tutori della legge. I bambini musulmani sono considerati futuri terroristi; le donne musulmane allevatrici di terroristi; gli uomini musulmani pericolosi. Siamo i maniaci Kurtz del “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad, che tengono le teste dei “selvaggi” infilzate su pertiche fuori della nostra fortrezza e gridano “Sterminate tutti i bruti!”

Abbiamo dichiarato una guerra mondiale ai musulmani. I quali, leggendoci meglio di quanto noi leggiamo noi stessi, insorgono per resistere. Sono state macellate centinaia di migliaia di musulmani in Medio Oriente dalla nostra invasione dell’Afghanistan. Iraq, Afghanistan, Siria e Libia sono stati distrutti come stati vitali. Milion di musulmani sono sfollai o profughi. E quando famiglie musulmane disperate tentano di fuggire in Europe o negli Stati Uniti dall’inferno che noi abbiamo creato in Medio Oriente, vengono sbattute in campi di sfollamento o rimpatriate, tacciate di portatori di malattie, ladri, stupratori, barbari e terroristi. La cultura e la religione islamiche nella nostra narrazione manichea sono state private di ogni nuance, di umanità, complessità e rofondità. L’islam è stato sostituito da una versione parodistica xenofoba, un’immagine che è, nelle parole di Frantz Fanon, la “quintessenza del male”. Reagiamo alla crisi che abbiamo creato per ignoranza, auto-esaltazione e razzismo.

Come scrive il poeta incarcerato Syed Talha Ahsan:

uccidere è cancellare un’immagine dallo specchio: scansare nessuno, solo un buco spalancato su un mondo indifferente

Il genocidio al rallentatore del popolo palestinese da parte di Israele, giustificato dal razzismo e dall’islamofobia centrali per l’identità israeliana, è entrato in una nuova fase, più letale. Non più trattenuto da alcuna finzione di rispetto dei diritti umani o di un processo di pace, i soldati israeliani, benché non minacciati, sparano indiscriminatamente sulle folle di palestinesi disarmati, uccidendo o ferendo uomini, donne, bambini, anziani e giornalisti. Già il solo numero di morti e feriti — nove o più Palestinesi uccisi dal fuoco israelianoe centinaia di feriti nel solo venerdì — testimonia del rovistare la folla a forza di spari. In un mondo civile, a Israele si affibbierebbero immediate sanzioni, boicottaggi e disinvestimenti — il solo meccanismo rimasto per proteggere il popolo palestinese dallo sterminio — ma non viviamo in un mondo civile. Viviamo in un mondo dove assassinio e razzismo sono pratica di stato, dove gli oppressi vengono disumanizzati come indegni di vivere e dove i nostri demagoghi e despoti mutanti folleggiano nei fiumi di sangue che creano.

Questo autoritarismo razzializzato, che definisce Donald Trump e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha conseguenze infauste per gli oppressi. E’ alimentato da un caparbio rifiuto di accettare la nostra responsabilità per la disintegrazione sociale e politica e altresì per a violenza nel Medio Oriente e, sempre più, in patria. La gran parte degli accademici, intrappolati nel silo insensate di scritti islamici sul terrorismo apocalittico, non contribuiscono alcunché al dibattito. La stampa, che ha trasformato il giornalismo in intrattenimento senza sosta e nella celebrazione di virtù americane inesistenti, è complice in questa perpetuazione dell’insipienza (anzi: anti-sapienza) che Tennessee Williams una volta chiamò la nostra immatricolazione volontaria in una scuola per ciechi. Essa destoricizza questi movimenti; certifica I jihadisti estremisti, e per estensione l’islam, come incomprensibili. Se il terrorismo è incomprensibile, e se è parte intrinseca dell’Islam, I musulmani non valgono la pena di un’indagine, bensì di annientamento. Ma i fatti non parlano per sé stessi, come notava Edward Said; richiedono un contesto per essere compresi, e invece tutto il contesto è assente.

Si potrebbe a mala pena cominciare (nella sfera pubblica risultante dal discorso internazionale) ad analizzare I conflitti politici a proposito di sunniti e sciiti, curdi e irakeni, o tamil e singalesi, o sikh e hindu — l’elenco è lungo — senza finire per dover ricorrere alle categorie e alle immagini del ‘terrorismo’ e del ‘fondamentalismo’, derivati del tutto dalle preoccupazioni e dalle fabbriche intellettuali in centri metropoliti come Washington o Londra”, scriveva Said in “Culture and Imperialism”. “Sono immagini spaventose prive di contenuti discriminanti o di definizione, ma significano potere morale e approvazione per chiunque le utilizzi, difensiva morale e criminalizzazione per chiunque [ne sia oggetto]”.

Lo schema di persistente decontestualizzazione c’intrappola in un interminabile ciclo di violenza per violenza. Mohammad-Mahmoud Ould Mohamedou nel suo libro “Una teoria dell’ISIS: Violenza politica la trasformazione dell’Ordine Globale” scrive della risposta ormai standard in seguito a un attacco terroristico:

Per ogni volta che ha luogo un nuovo attacco estremista correlato all’islamismo a New York, Washington, Londra, Parigi, Bruxelles o Berlino, va in scena un rituale di negazione delle implicazioni politiche più profonde in una modalità sempre più famigliare. La sequenza si attua così: allo shock segue la paura e poi la rabbia; gli esperti di sicurezza appaiono frettolosamente negli studi televisivi e sui media sociali per denunciare la mancanza di preparazione delle autorità; seguono gli specialisti in islamismo estremista (o semplicemente in islam) che dichiarano che l’ISIS (in precedenza Al Qaeda) è stato fiaccato, è prossimo a venire sconfitto e si limita a scagliare attentati disperati; si chiamano allo scoperto le comunità musulmane nei paesi occidentali con occasionali attacchi razzisti e violenti contro di esse (qualche ora dopo gli attentati del marzo 2016 a Bruxelles un movimento #stopislam ne iniziò l’andazzo, rivelando la profondità del pregiudizio che era giunta a cogliere settori del mondo occidentale, associando senza indugio islam e terrorismo); sorgono movimenti di solidarietà con le vittime della città dove hanno avuto luogo gli attentati (Je suis Charlie, I am Brussels, etc.); si proclamano urgenti appelli per una legislazione più aspra (meccanismi di sorveglianza, condizioni di detenzione, misure sulla nazionalità, procedure d’immigrazione, regolamenti dei viaggi, codici d’abbigliamento, accesso alle piscine, ai siti di preghiera, etc.); si fanno arresti nei quartieri noti di residenza di musulmani, e si raddoppiano i bombardamenti in Iraq, Siria, Afghanistan, Yemen o Libia.

L’amministrazione Obama con il consigliere al controterrorismo John Brennan, adesso un analista di sicurezza nazionale e intelligence per NBC e MSNBC, redasse un database, Disposition Matrix, di sospetti di terrorismo a livello globale, nota informalmente come l’elenco delle uccisioni: quelli in lista sono fatti bersaglio di unità clandestine CIA d’estradizione, forze speciali, droni militarizzati e attacchi aerei mirati. Queste tecniche per il controllo razzializzato dei musulmani derivano dall’impianto progettuale del colonialismo, benché lo stato ora usi il linguaggio in codice dell’ideologia per mascherare il proprio assalto razzista. Come nel colonialismo, chi “sfida” lo stato “democratico liberale” ha perso diritto ad ogni diritto e merita di essere trattato da bestia perché tale è. Tale posizione di criminalizzazione collettiva di un gruppo o una razza avrà consequenze temibili con la crescente ostilità del mondo aziendale assediato dalla crescente tensione dovuta alla deindustrializzazione e al riscaldamento globale, verso segmenti sempre maggiori di popolazione.

In certo senso, la figura del sospetto terrorista forma il terreno di verifica per la delibera dele version occidental di ‘democrazia’ e di ‘diritti umani’” scive Nisha Kapoorin “Deportare, privare, estradare: estremismo di stato del 21° secolo”. “E’ mediante la rappresentazione di questi individui che s’imbastiscono casi a sostegno di uccisioni sommarie, bombe più grosse, attacchi con droni, forme sempre più grottesche di tortura, e detenzione clandestina e indefinita. E’ anche mediante la gestione di tali individui che si sono adottati meccanismi in G.Bretagna [e Stati Uniti] per l’uso crescent di una giustizia segreta, il regress delle clausole sulla cittadinanza e l’abbandono delle protezioni dei diritti umani”.

Le politiche hanno conseguenze. La decisione di braccare I musulmani per il globo, così dando una dimensione transnazionale alla cosiddetta guerra al terrorismo, vuol anche dire che chi ci si oppone non è ristretto da confini nazionali. I terroristi che compiono questi attacchi sono nostre immagini speculari, consumati dallo stesso narcisismo e culto di sé che definiscono la cultura delle celebrità. Postano video auto-indulgenti d’invettive contro l’Occidente e delle loro decapitazioni di prigionieri in tute arancio. Replicano lo sforzo culturale per filmare “Life the Movie”. Le immagini che usiamo per comunicare con il mondo, come fra noi, infettano tutti I loro messaggi per noi, non sono di un’era medieval, sono creazioni della modernità. Ci ammanniscono la loro versione della violenza pornografica che affascina e deforma la nostra cultura. Sanno chè è così che si comunica con l’Occidente. E noi comunichiamo a ritroso nello stesso modo.

Il massacro israeliano dei palestinesi è un preludio a un mondo distopico, neocoloniale, dove le élite globali, accaparrandosi le ricchezze e controllando i meccanismi del potere, ricorrono sempre più a diffusi spargimenti di sangue per tenere a bada gli oppressi. Quel che fa Israele ai palestinesi — impoveriti e intrappolati senza cibo, acqua e medicine adeguate in quella prigione all’aperto che è Gaza, una striscia di terra soggetta a ripetuti assalti assassini della macchina da guerra israeliana — verrà fatto a profughi climatici disperati e ai cittadini che insorgono in protesta per il saccheggio degli oligarchi globali. Chi resiste sarà disumanizzato come i musulmani, anch’egli bollato come terrorista. Le élite globali hanno un piano per il futuro. E’ visibile nei campi mattatoio di Gaza.


8 Aprile 2018 – Truthdig

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

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