Cinema | Dopo l’amore

Giorgio Barazza

Dopo l’amore, Regia di Joachim Lafosse. Con Bérénice Bejo, Cédric Kahn, Marthe Keller, Jade Soentjens, Margaux Soentjens. Titolo originale: L’économie du couple. Genere Drammatico – Francia, Belgio, 2016, durata 100 minuti. Uscita cinema giovedì 19 gennaio 2017 distribuito da Bim Distribuzione.


Dopo l'amoreDopo l’amore, ha anche un altro titolo “L’economia di coppia”. Economia comprende altre parole: capitale, investimento (rischio) e relazione (tra le risorse). Dopo avere visto il film mi verrebbe da dargli un altro titolo ancora: la relazione è il capitale su cui investire.

Sono tanti gli attori coinvolti chi in primo piano (il marito, la moglie, le due figlie), chi in secondo piano (la mamma di lei), altri sono presenti solo in alcune scene (l’amico del papà di lei, gli amici di lei), alcuni non sono visibili (la mamma di lui, l’avvocato di lei, il notaio di lui, quello che ha gestito l’accordo di separazione).

La storia di questa “organizzazione” che viene chiamata famiglia è durata 15 anni (6 senza prole e 9 con le figlie).

È stato un continuo confliggere tra moglie e marito che non riesce trovare una sua composizione, dove non sono numerosi i momenti piacevoli e in cui il non verbale prevale sul verbale. Una ambivalenza che non riesce a essere gestita, incertezza circa il separarsi o il non separarsi

Durante il film sono presenti diverse relazioni di aiuto anche se solo accennate: soldi in prestito, a lei, senza interessi da parte dell’amico del papà; gli amici di lei che non esercitano questa funzione; l’avvocato di lei e il notaio di lui che tengono per una delle parti; la persona che legge l’accordo, di cui non si sa che ruolo abbia giocato rispetto all’arrivare a un consenso; la moglie che dice al marito “perché non ti fai aiutare?”; il marito che dice alla moglie “perché non proviamo una terapia di coppia?”; i suggerimenti della mamma di lei (“non si può desiderare la stessa persona per tutta la vita” …”l’amicizia è faticosa, ma vale la pena”… “al primo problema si butta, nessuno è perfetto”)

I due arrivano a fare una analisi di bilancio (finanziario) del periodo che hanno passato insieme, ma non riescono a fare un’analisi del bilancio relazionale, non riescono a praticare una capacità negativa, ossia di essere in grado di vedere il positivo e il negativo in loro e negli altri. Tutto il male, lo sbagliato, è nell’altro, il “nemico”

Mi domando quanta sofferenza deve manifestarsi prima che queste persone entrino nella prospettiva di riconoscere i bisogni umani (propri e degli altri) condividendoli piuttosto che mal-trattarsi. Cosa che riescono a fare con le figlie, ma che faticano a praticare con sé stessi

L’impressione che mi sono fatto è che nelle relazioni con i prossimi partner che i due protagonisti andranno ad avere dopo la separazione consensuale sarà solo un problema di tempo prima che ricadano negli stessi errori in quanto privi di competenze quali la comunicazione nonviolenta, l’ascolto attivo, il saper stare nel conflitto senza farsi male

Perché nel film come nella realtà nessuno fornisce loro sin da piccoli una competenza sulla comunicazione nonviolenta grazie alla quale si può comunicare le proprie emozioni in modo efficace con 4 passi:

1) si osserva, descrivendo la situazione senza essere giudicanti,
2) si comunica come ci si sente usando la prima persona “io”,
3) si illustra qual è il comportamento dell’interlocutore che vi fa sentire così, come ci si sente
4) in modo calmo e adatto alle circostanze si fanno delle richieste all’altro.

Viene da domandarsi se questa conflittualità, questa sofferenza abbia trovato nell’accordo finale il giusto risultato. Infatti la domanda che vi faccio è se l’accordo finale può essere considerato un successo per i due coniugi, oppure no?

Mi domando cosa avrebbe potuto succedere di diverso per ottenere un esito migliore, se voi come spett-attori avendo la facoltà, il potere di intervenire, così come avviene nel teatro forum, di entrare in scena, e sostituendovi a uno degli attori adottare altri comportamenti, linguaggi. A quale altro gioco avreste giocato?

Forse un po’ di pratica di meditazione buddista anche se non definita come tale dai suggerimenti della madre di lei sull’impermanenza (“non si può desiderare la stessa persona per tutta la vita”), sulla sofferenza (“l’amicizia è faticosa, ma vale la pena”) e sul non sé, non io, non mio (“al primo problema si butta, nessuno è perfetto”) potrebbe aiutare.

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.