La vita nonostante | Alessandro Ciquera

La vita nonostante, questo immagino quando vedo ciò che ci circonda qui in nord Libano.
Sia gli aspetti che mi fanno fare più fatica, per il loro carico di dolore, sia ciò che mi spinge ad aprirmi e a vedere l’esistente con occhi nuovi.
Vedo la forza di Zahra, nel giorno in cui ha perso suo figlio in Siria a Raqqa, il momento in cui ha realizzato che niente sarebbe stato più come prima.
Osservo le sue mani rugose mentre stringono il telefono, con una foto di un ragazzo sorridente di 27 anni insieme a due bimbe piccole. Un ragazzo che, profugo in Libano, ha scelto di tornare nella guerra per amore di sua moglie.
Il nome di questo giovane eroe è Ibrahim, sarebbe da insegnare a scuola e comporvi poesie.
Ibrahim aveva più volte avuto la possibilità di salvarsi, ma l’ha anteposta alla vicinanza ai suoi cari, fino al giorno in cui durante una perlustrazione in ciò che era rimasto della sua casa originaria è saltato in aria su di una mina dell’Isis.
Ha perso le gambe ed è volato in cielo, lo hanno trovato senza vita tre giorni dopo. Mi chiedo cosa abbia pensato in quegli ultimi momenti, se ha pensato a coloro che ha amato: sua moglie, le sue figlie, la sua mamma Zahra. Questa ultima scintilla di affetto, prima del buio.
Un amore che è rimasto e rimarrà per sempre, sfidando e ridendo in faccia al tempo.
Questo amore che da vita, ed è lo stesso che spinge a fare scelte folli, potenzialmente mortali.
Quanto sono strani gli esseri umani, sanno volare tra le stelle del firmamento e uccidere i loro stessi fratelli. Abbiamo dentro di noi il seme della male e quello della capacità di fare del bene.
Non mi stancherò mai di questo, anzi, è qualcosa che mi sostiene e mi da forza, la forza di affrontare storie come quella di Zahra e del suo figlio martire per amore Ibrahim.
Non so dove sia in questo momento Ibrahim, se possa ancora essere in qualche forma, ma sento una vicinanza che va oltre l’apparente. Sento che volendo bene a sua mamma Zahra, che mi stringe come fossi un figlio, aiuto Ibrahim a vivere ancora un po’.
Vorrei dirgli che mi dispiace, davvero, è che la violenza non ha vinto su ciò che è stato.
C’è qualcosa che rimane, ed è Zahra che bacia lo schermo del telefono e lo accarezza prima di metterlo nella custodia di cuoio rovinata.
Se la guerra è una follia, per vincerla abbiamo bisogno di una follia più potente dell’orrore.
Qualcosa che non abbia paura di sfidare l’indicibile, di creare strade nuove.
Ibrahim rappresenta questa follia che sfida la guerra, e che può vincerla, perché gioca su di un terreno diverso.
Chi uccide, stupra, pianta mine in aree abitate o sgancia bombe da un aereo, non si aspetta che qualcun altro possa invece agire in maniera disinteressata, e addirittura controproducente per se stesso.
Chi abusa della dignità umana non pensa che altri possano invece essere coraggiosi, generosi, folli al punto da non seguire ciò che è conveniente. Questo è il motivo per cui si parte avvantaggiati: coloro che si cerca di ostacolare, in quanto dispensatori di morte, non vedono i movimenti gratuiti, non li ritengono concepibili.
Ci muoviamo quindi su un terreno scivoloso, ma libero.
Libero come Ibrahim, in questa foto sorridente sul cellulare, mentre la guerra vorrebbe toglierli tutto, lui abbraccia le sue figlie e vince.
Chi è stato amato lo porta inciso dentro, come una cicatrice. Porta i segni della follia che salva.
Tutto intorno al nostro mondo spinge verso la sofferenza e la disperazione: ma noi siamo su di un altro piano, siamo con Ibrahim, ci alziamo ogni mattina, e viviamo.
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