(Ar)resto e resisto: oggi non vado via

“Ho tanti sogni, ma non posso realizzarli”.

Amal guarda lontano, oltre il filo spinato che divide la casa della sua famiglia dal campo puntellato da radi alberi di ulivo. Terra asciutta, terra di pietre, eppure al centro di una lunga lotta di resistenza.

Questo fazzoletto di terra è infatti l’ultimo ostacolo per i coloni di Kiryat Arba di collegarsi alla vicina colonia di Giviat Haavot. Da anni cercano con vari mezzi di sottrarre la terra alla famiglia di Amal: dalla proposta di acquisto, agli attacchi violenti fino alla quotidiana pressione ogni qualvolta la famiglia va nel proprio campo per curarlo o raccogliere le olive. Durante uno di questi attacchi, la famiglia venne assalita duramente dai coloni; arrivata la border police, chiesero loro perché non arrestassero i coloni, così come accaduto numerose volte nei confronti dei membri della famiglia palestinese. “Non arresterò le persone con cui mangio e vivo”, rispose il poliziotto. In un’altra occasione Amal è stata colpita e scaraventata a terra dai coloni mentre ritornava alla sua casa. La nipotina di sei anni è stata investita volontariamente con la macchina da un colono. E’ successo qui, a pochi metri dal campo in cui questa mattina stiamo raccogliendo.

“A chi posso chiedere aiuto?” si chiede Amal.

Davanti a noi si estende la colonia con le sue case bianche e i tetti rossi, una lunga e ben asfaltata strada chiusa dalla postazione militare che controlla solerte che tutto vada come sempre. Soprusi, violenze, pressioni fisiche e psicologiche, avvengono in questo lembo di terra ogni giorno, sotto gli occhi di border police e soldati.

Raccogliamo le poche olive rimaste dal giorno precedente. Alberi polverosi e non sempre generosi di frutti, che però qui resistono all’avanzata di avamposti illegali e colonie che si allargano come macchie d’olio. Una giornata come tante altre, un pezzo di quotidianità che condividiamo con due dei fratelli della famiglia.

Ma raccogliere olive, si sa, è cosa che non passa inosservata in questa terra. Arriva un uomo della security, filma, riprende, urla qualche parola verso uno dei fratelli arrampicato tra gli alberi. Ben presto, due macchie verdi spuntano dal fondo della strada. Prendono forma di uomo, o meglio, di soldato. Avanzano veloci verso di noi, armati come di consueto. Ci intimano di andare via, iniziano a discutere con i fratelli minacciando di arrestarli se non lasciamo subito la terra. “Non avete il permesso, non potete stare qui”.

Strana logica, quella che in questo angolo di mondo vuole che per stare nella propria terra bisogna avere un permesso, mentre alle migliaia di famiglie israeliane che vivono nelle colonie illegali non viene chiesto nessun documento.

oggi_non_vado_via_1“Non voglio andare via, questa è la mia terra”, risponde uno dei fratelli. Le voci si alzano, un soldato spintona e fa cadere a terra uno dei fratelli con evidenti problemi fisici. Cade e insieme ci rialziamo. “Avete due minuti per andare via da qui, altrimenti porteremo via uno di voi”. I secondi passano veloci, un lampo e i due minuti sono passati. Stiamo ancora parlando con i fratelli per capire insieme cosa fare, quando i soldati afferrano con violenza il più giovane dei fratelli e lo trascinano giù verso la jeep militare. Voci, spinte, mitra puntati, occhi iniettati di sangue, parole inascoltate, corpi che si frappongono l’uno a l’altro, mani ammanettate. Un uomo grosso e spavaldo arriva. Apre le braccia, sorride.

Un ragazzo di 17 anni è stato arrestato.

Una raccolta delle olive è stata interrotta.

E’ contento il colono Offer, di questa giornata di ordinaria violenza sul quel lembo di terra che da anni cerca di sottrarre alla famiglia.

Una giornata come tutte le altre. Alberi polverosi che qui resistono. Colonie che avanzano. Soprusi e violenze che accadono per mano di soldati e coloni.

Il sorriso di Offer si perde. Visi stranieri lo guardano. Il foglio di permesso per la raccolta viene mostrato.

Mani che si liberano. Occhi che sorridono.

Sono quelli di Amal, che riporta tra di noi il giovane fratello liberato.

“A chi posso chiedere aiuto?”. Ci chiedeva Amal. Ci guardiamo e sorridiamo.

Oggi quella domanda non è rimasta inascoltata.


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1 commento
  1. mario ciani
    mario ciani dice:

    (ar)resti e resisto. Caro amal, gli ebrei seppure hanno subito lolocausto , non hanno ancora capito che il razzismo l'hanno creato loro fin dagli inizi, definendosi popolo superiore dal" loro dio". Un prede cattolico, battezzando il mio nipotino ha detto; dio non la mai visto mai nessuno, quindi dio l'hanno creato gli uomini
    (e se nelle scuole ci facessero conoscere le storie delle venti mila sette religiose, che speculano sulle debolezze umane, insegnando anche un pò di scienza, il suo problema non esisterebe più.

    Rispondi

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