Una terra dove vivere e morire

Jordan Valley 05/10/17

 

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“Se muoio seppellitemi sotto le mie piante. Sono palestinese e voglio morire in terra palestinese”

La storia della famiglia di Abdullah racchiude in sé le contraddizioni tipiche della Jordan Valley. La loro abitazione è stata demolita e ricostruita tre volte e quest’anno hanno ricevuto l’ordine di demolizione della casa e degli ulivi, demolizione che verrà effettuata dagli israeliani con bulldozer e soldati se non sarà la famiglia stessa a farlo entro cinque giorni dall’ingiunzione.

La famiglia di Abdullah vive quì da sempre, ben prima del 1967 e si è costruita sulla piccola produzione agricola e l’allevamento; fatiche che hanno dato la possibilità di mantenere una famiglia di otto figli, di cui solo uno vive ancora li poiché gli altri sono stati costretti ad emigrare a causa delle violenze subite quotidianamente. Ai membri della famiglia non è possibile neanche andare a visitare i propri figli e i 62 nipoti, poiché risulterebbe pericoloso lasciare incustodita la casa su cui grava la minaccia di demolizione.

Tale pratica colpisce molte famiglie palestinesi, ma nel caso della famiglia di Abdullah è particolarmente reiterata a causa della sua posizione strategica: si trova infatti su un’altura rada e spoglia, circondata da colonie, terreni agricoli occupati, una zona militare e un check point ben visibile proprio dalla loro casa; quest’ultima caratteristica ha permesso alla famiglia di aiutare nel tempo molti palestinesi a superare il check point, comunicando i momenti migliori per aggirarlo. Un atto di solidarietà che padre e figlio hanno pagato con la galera e il divieto di accesso a molte zone della West Bank.

Il tentativo di espropriazione della loro casa passa anche da una proposta di acquisto avanzata da un gruppo legato al governo israeliano, che offrì ben 2 milioni di dollari pur di non vedere più vivere la famiglia lì. Questa è una pratica da sempre diffusa che ha lo stesso obiettivo delle demolizioni: allontanare le famiglie palestinesi dalla loro terra, anche lasciando vuote le stesse case. Basti pensare che la casa di proprietà israeliana costruita proprio sotto quella della famiglia Abdullah è praticamente sempre vuota, controllata però dai militari del vicino check point. Fortunatamente ad oggi il 98% della popolazione palestinese in questa zona si rifiuta di vendere agli israeliani come atto di resistenza all’occupazione.

Resistenza che passa anche dalla decisione di Abdullah di rivendicare il proprio diritto a issare una bandiera palestinese sul proprio terreno, nonostante le minacce dei soldati e dei coloni venuti per darle fuoco.

“Perché voi avete bandiere israeliane dappertutto in territorio palestinese e io non posso mettere quella palestinese nella mia terra?”. Una domanda lecita a cui il colono risponde: “Non puoi metterla perché questa non è la tua terra”.

A chi dare ragione?


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