I narcos mi vogliono morto. Messico, un prete contro i trafficanti di uomini

Enzo Ferrara

Alejandro Solalinde, I narcos mi vogliono morto. Messico, un prete contro i trafficanti di uomini, (in dialogo con Lucia Capuzzi), EMI, Bologna 2016, pp. 176, € 15,00, Prefazione di Luigi Ciotti

Lo scorso settembre, 2017, mentre i bollettini meteo allertavano il Texas per l’arrivo di un uragano di forza 4, l’ex comparsa in un film di Playboy ora presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha prima cancellato una legge dell’amministrazione Obama che forniva fondi agli edifici pubblici per la protezione da alluvioni e altre catastrofi naturali, e poi – non sappiamo dire se con più o meno grave scelleratezza – ha concesso la grazia a Joe Arpaio, l’ex sceriffo della contea di Maricopa in Arizona, condannato per crimini umani contro i migranti provenienti dal Messico.

Sono 3.200 i chilometri di frontiera del Messico a Nord con gli Stati Uniti; più o meno la stessa distanza che c’è fra Lisbona e Varsavia. 4.300 sono i chilometri complessivi di confine messicano se si sommano anche i 1.100 chilometri della frontiera a Sud, con il Guatemala e il Belize: due lunghissime strisce di terra, che assieme alla posizione geografica di interfaccia fra Nord e Sud America fanno del Messico il Paese latino-americano più attraversato dai migranti, il secondo al mondo.

Attraverso i confini del Messico passa quotidianamente un flusso umano di uomini, donne e bambini, fuggiti dalle loro case con pochi averi in sacchetti di plastica, negli zaini, nelle borse per la spesa. «Per inquadrare la situazione – spiega Paolo Moiola, giornalista (o meglio: periodista) della Rivista “Missioni Consolata”, che ha da poco pubblicato un’intervista a padre Solalinde (Messico, migranti: un salto nel buio, 1 ottobre 2017) – sono sufficienti tre dati: la povertà interessa 57 milioni di abitanti sui 127 milioni totali; le persone assassinate nel 2016 hanno raggiunto il numero record di 22.967, senza contare le migliaia di desaparecidos e la corruzione che è pari ogni anno al 9 per cento del PIL messicano. Nel Messico si arriva, e poi dal Messico si scappa, quasi sempre per tentare il salto verso gli Stati Uniti. Un progetto di difficile realizzazione e soprattutto pericoloso a causa dei pericoli in cui i migranti possono imbattersi. Se va bene, solo furti ed estorsioni. Se va male, sequestri di persona, violenze sessuali, mutilazioni, commercio di esseri umani, sparizioni ed assassinii».

http://www.rivistamissioniconsolata.it/2017/10/01/messico-migranti-un-salto-nel-buio/

Una disperazione, insomma, che cerca soluzione con la fuga. Tuttavia, a ostacolare il percorso verso la salvezza ci si mettono anche gli Stati «democratici». Anzi, così come in tutta la propria politica, gli Stati Uniti applicano la pratica brutale secondo cui «il nemico del mio nemico è un mio amico» e si alleano con gruppi armati purchessia per raggiungere i propri obiettivi. Gli Stati Uniti – così come l’Europa che si accorda piuttosto con i peggiori dittatori e tiranni del Mediterraneo moderno – non sembrano comportarsi diversamente con il «nemico» migrante.

A raccontare ordinatamente e con un linguaggio diretto la gravità della situazione in Messico è questo libro a due voci: quella di Lucia Capuzzi, nata a Cagliari 38 anni fa, editorialista e studiosa di politica internazionale, e quella di padre Alejandro Solalinde Guerra, sacerdote, fondatore dell’Albergue de migrantes Hermanos en el Camino, un centro per l’accoglienza dei migranti illegali a Ixtepec, nello stato messicano meridionale di Oaxaca. Un libro curato dalle Edizioni Missionarie Italiane (EMI). Unico e meritorio perché Solalinde aveva pubblicato di propria mano in precedenza (nel 2016) un solo libro (non tradotto), El Reino de Dios: Replanteamiento Radical de la Vida e nel 2012 aveva scritto il Prologo di La Bestia, la tragedia de migrantes centroamericanos en México  (di Pedro Ultreras e Emilio Álvarez Icaza).

L’autore vive da anni sotto scorta a causa della minaccia di morte decretata dai narcos che sulla pelle dei migranti fanno grossi affari e che contro questo scomodo testimone trovano appoggio anche nella amministrazioni governative, irritate dal fatto che Solalinde abbia denunciato apertamente la corruzione delle autorità pubbliche. Un milione di dollari è la cifra che i trafficanti sono disposti a pagare per eliminare il più scomodo loro oppositore in Messico: un semplice prete messicano di 72 anni.

È una vicenda conosciuta da migliaia di persone in ogni parte del mondo: già dal 2012 Amnesty ha lanciato una campagna in suo sostegno. Quest’anno l’Accademia di Oslo ha accettato la sua candidatura al Premio Nobel per la pace, lanciata dall’Universidad Autónoma del Estado de México.

Ogni anno migliaia di migranti centroamericani cercano di attraversare il Messico per raggiungere la frontiera Nord e passare (illegalmente) negli Stati Uniti, non per rincorrere sogno americano, semplicemente per sopravvivere. È un viaggio estenuante e molto pericoloso a causa dei narcos ma anche delle autorità locali. Pochissimi raggiungono la meta. La maggioranza torna indietro o si ferma lungo il cammino sopportando violenze e angherie e mettendo a rischio la vita stessa. Un treno, soprannominato «La Bestia», è diventato il simbolo di questo inferno ma anche della speranza di sfuggirvi: trasporta tutti i giorni, tre volte al giorno, dal Guatemala all’Arizona una media di 300 migranti in fuga dalla violenza del crimine organizzato e da una povertà centenaria che in Guatemala, El Salvador e Honduras affonda le radici nella colonizzazione. La Bestia corre con i migranti che si legano sul tetto. In questo quadro di disperazione, si inserisce l’opera di padre Alejandro Solalinde e dei suoi rifugi per migranti.

Il Paese più potente del mondo intanto preferisce piuttosto difendere un aguzzino come l’ex governatore Arpaio – che si vantava di come gli costasse di più dar da mangiare ai propri cani che ai prigionieri, mentre lasciava cadere centinaia di denunce di crimini sessuali nelle sue prigioni, apriva invece inchieste sui suoi oppositori e indagava per abuso di minori il sindaco di Phoenix che aveva pubblicamente criticato il suo modo di gestire l’immigrazione.

Aprire gli occhi sul mondo è doloroso: può farci vedere noi stessi in una luce non brillante. Meglio non guardare. Pochi giorni dopo l’offerta di aiuti del governo messicano al Texas per le vittime dell’uragano Harvey, a metà settembre è stato assegnato il primo appalto a quattro ditte statunitensi per costruire il muro con il Messico; investimenti iniziali di 2 miliardi di dollari per un costo complessivo di circa 20 miliardi.

Lucia Capuzzi ha portato queste riflessioni in Italia con un testo che padre Solalinde non avrebbe mai trovato il tempo di scrivere da solo. Un volume anche autobiografico, che partendo dalla tragedia dei migranti costituisce una riflessione sui mali del mondo e del modello di sviluppo neoliberista.

Dopo i passaggi introduttivi di Lucia, che racconta il primo incontro telefonico con Solalinde, è il sacerdote messicano a ricordare la propria storia e la vocazione: «Sono nato nel 1945 in una famiglia umile, povera direi, di Città del Messico. I miei genitori erano i maestri del quartiere, il che voleva dire – e per certi versi vuole ancora dire – ricevere uno stipendio striminzito, quasi da fame» (p. 33). «Non è stato facile trovare il mio modo di essere sacerdote: ci ho messo più di trent’anni per arrivare al mio approdo: l’Albergue. Ho dovuto imparare a restare in equilibrio tra i moti della mia irrequieta coscienza e le strutture della chiesa» (p. 47).

I capitoli centrali raccontano la crescita della consapevolezza e l’approdo generoso e totalizzante al mondo dei migranti, al «Mattatoio centroamericano» (cap.  10). Tutto era molto confuso all’inizio – racconta Solalinde – per cui, prima di tutto, si mise a indagare. Riuscì a ricostruire la «macchina dei sequestri»: chi prendeva i migranti scomparsi, dove li portava e soprattutto chi aiutava i narcos: cioè la polizia messicana. Un aneddoto vale per tutti: il 10 gennaio 2007 dodici guatemaltechi furono portati via con la forza. Qualcuno, però, si salvò e seguì i sequestratori. Padre Solalinde ne fu informato e andò a cercare gli scomparsi. Trovarono gli zaini delle vittime, una prova che avrebbe potuto incastrare i narcos. Quando arrivò la polizia ci si sarebbe attesi che aiutasse i migranti e catturasse i criminali. Invece furono arrestati Solalinde e i suoi compagni, mentre i responsabili scapparono impuniti. «Fu in quel momento – spiega Solalinde – che compresi quale enorme cloaca si stava scoperchiando» (pp. 109-110).

I passaggi successivi del libro sono dedicati alle vittime più fragili, povere e indifese di questa guerra: le donne e i bambini, il cui numero è in continua crescita nel popolo migrante latino americano a causa anche dei livelli record di ferocia raggiunti in Centro America (p. 83). «Ammiro molto le donne. Sono un convinto femminista – afferma Solalinde – Il che non mi rende la vita facile, in una cultura maschilista come la nostra. Sono state le donne le prime a rischiare per l’Albergue. Ad aiutarmi quando ero nei guai. A sfidare i narcos per avvisarmi delle minacce. Del resto sotto la Croce, accanto al “condannato” Gesù, sono rimaste loro» (p. 93).

E poi ancora il libro ripercorre la nascita dell’Albergue, le prove del traffico di organi dei migranti, le minacce dei narcos, le considerazioni sul ruolo della presidenza di Donald Trump – paradossalmente considerato da Solalinde un’opportunità, perché il suo sfacciato razzismo e la sua retorica violenta obbligano finalmente l’opinione pubblica a prendere posizione. Joe Arpaio, scelto da Trump come amico contro i nemici migranti è uno dei peggiori oppositori dei diritti umani mai visti in Occidente. Nei 24 anni del suo mandato (concluso nel 2016 a 84 anni) deteneva i clandestini in tende militari della guerra di Corea in pieno deserto a una temperatura superiore a 50 °C. Parlava di queste tende come dei suoi «campi di concentramento […] territorio “naturale” dei migranti latini e chiamava i loro difensori “gli stronzi dei diritti umani”».

Anche per questo la candidatura di Solalinde al Nobel per la pace ha una grande valenza perché pone all’attenzione dell’opinione pubblica la questione delle migrazioni in un momento di grande difficoltà. «Abbiamo volato nell’aria come gli uccelli e nuotato nel mare come i pesci, ma non abbiamo ancora imparato la semplicità di camminare sulla terra come fratelli» affermava Martin Luther King. Il premio Nobel a padre Solalinde non è (ancora) arrivato e l’organizzazione vincitrice del 2017 è comunque molto meritevole – ci ricorda ancora Paolo Moiola da sempre attento al mondo dei diritti violati in America Latina (su questo link la sua videointervista a Solalinde http://youtu.be/S3rGfU-avxo). I «fratelli in cammino» sentono crescere l’ostilità nei loro confronti e ne sono spaventati; tuttavia la scelta del parlamento di Oslo di inserire questo prete coraggioso nella lista dei candidati meritevoli del Nobel per la pace, ricorda loro che contano e che non sono soli.

Un libro giusto, al momento giusto. Scritto con cura e passione dalla più meritevole artefice di questa importantissima e preziosa testimonianza: Lucia Capuzzi che dal 2004 ha intrapreso la carriera del giornalismo di inchiesta, ha lavorato per il Tg Leonardo della Rai e attualmente opera nella redazione Esteri di «Avvenire» dove si occupa di questioni latinoamericane. Fra i lavori precedenti di Lucia segnaliamo La frontiera immaginata. Profilo politico e sociale dell’emigrazione italiana in Argentina nel secondo dopoguerra (Franco Angeli 2006), originato dalla sua tesi di dottorato sull’immigrazione argentina nel nostro paese. Ha pubblicato inoltre Coca Rosso Sangue. Sulle strade della droga da Tijuana a Gioia Tauro (San Paolo 2013); Colombia. La guerra (in)finita (Marietti  2012); Adiós Fidel. Fede e dissenso nella Cuba dei Castro (con Nello Scavo), (Lindau 2011); Haiti. Il silenzio infranto (Marietti 2010).

Dopo il passaggio a Torino, al Salone Internazionale del Libro lo scorso maggio, una nuova occasione per incontrare Solalinde sarà domenica 22 ottobre 2017, per un pranzo di solidarietà con i terremotati del Messico, organizzato dalla Carovana Migranti – esplicitamente citata nel capitolo 4 del libro – al Caffè Basaglia di via Mantova 34 a Torino. Un piatto ricco di pasta e fagioli ed un bicchiere di vino saranno l’occasione per offrire aiuto alle famiglie messicane di Juchitan e ascoltare ancora una volta Padre Alejandro. Le prenotazioni si raccolgono scrivendo una e-mail a [email protected] o mandando un sms al 366-2094375 o al 327-2018043.

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