Mettere al bando in tutto il mondo le armi nucleari ora è possibile

Francesco Vignarca

Pace. All’Onu grande successo della comunità civile internazionale e di 122 paesi «disarmisti». Prossimo passo le ratifiche nei vari stati e l’eliminazione totale delle 15.000 testate esistenti

Ogni passaggio di diplomazia multilaterale sulla strada del disarmo è importante e apre nuove speranze, ma l’emozione vissuta lo scorso 7 luglio nella Sede delle Nazioni Unite di New York sarà difficilmente superabile. Perché mentre la maggioranza dei Paesi del mondo stava votando il nuovo Trattato di messa al bando delle armi nucleari insieme alla società civile internazionale (impegnata per questo da anni) erano presenti in sala i superstiti di Hiroshima e Nagasaki (gli hibakusha), oltre a quelli dei test nucleari degli anni ’60. Come ha detto Setsuko Thurlow (bambina nell’agosto 1945 giapponese) «attendevo questo giorno da 70 anni e non speravo più di vederlo con i miei occhi».

Il testo di Trattato votato mette le cose in chiaro, fin dal Preambolo e dal suo primo articolo, declinando una «messa fuori legge» delle armi nucleari su tutta la linea. È infatti vietato «sviluppare, testare, produrre, oppure acquisire o possedere riserve di armi nucleari», ma anche «trasferire a qualsiasi destinatario qualunque arma (…)i o il controllo su tali dispositivi (…) direttamente o indirettamente». Così come (e si tratta di grandi vittorie della pressione della società civile) «Utilizzare o minacciare l’uso di armi nucleari» e «Consentire qualsiasi dislocazione, installazione o diffusione di armi nucleari o di altri dispositivi esplosivi nucleari sul proprio territorio», come invece fa ad esempio l’Italia.

Presenti nel testo anche avanzati riferimenti all’assistenza alle vittime e alla bonifica ambientale.

Ora, tornati da New York e pronti ad agire come campagne per il disarmo nucleare in vari Paesi, ci domandiamo: il Trattato votato il 7 luglio risolverà la complessa situazione degli ordigni nucleari? Ci porterà a un disarmo completo?

Non lo sappiamo per certo, come in ogni percorso simile, ma sappiamo che ora lo scenario è profondamente cambiato. In un certo senso siamo in condizioni simili a quelle immediatamente successive alle approvazioni di Trattati come quello sulle mine anti-persona o sulle munizioni cluster, prima che iniziasse il robusto processo di universalizzazione.

È un po’ questa la scommessa che la società civile internazionale ha provato a lanciare, anche se ovviamente ci sono differenze sostanziali date dal tipo di arma (molto più costoso, strutturale, distruttivo) e allo sbilanciamento tra i pochi Paesi che dispongono di ordigni nucleari e gli altri.

Quello che è certo è che l’impatto devastante e umanitariamente insostenibile delle 15.000 testate oggi presenti al mondo (e non solo in caso di uso ma proprio per la loro stessa esistenza) impone alla comunità internazionale di fare qualcosa, un ammonimento disarmista e pacifista per tutto il mondo .

L’idea, la speranza, è che questo Trattato (sia per i suoi contenuti chiari che per l’auspicabile e possibile alto numero di ratifiche) possa rimettere in moto quel percorso di disarmo nucleare ormai da troppo tempo arenato pur se previsto dal Trattato di Non Proliferazione nell’articolo VI. Un accordo internazionale capace tutto sommato di bloccare la diffusione degli arsenali (che sembrava inarrestabile negli anni ’60) ma incapace di passare al livello successivo.

Proprio la frustrazione per questo aspetto ha smosso, alla fine e dopo tentativi in varie altre direzioni, la società civile e le nazioni non nucleari che si sono ritrovate sotto il cappello della Iniziativa Umanitaria.

Va detto che, nel contesto dei negoziati appena conclusi, non era facile tenere la barra dritta su questa strada, considerando appunto il problematico status internazionale privilegiato delle potenze nucleari, cristallizzato ormai dagli anni ’70 del secolo scorso.

Essere riusciti a conciliare entrambi gli aspetti (un Npt che non può essere indebolito pena la proliferazione con una vera prospettiva di disarmo) è sicuramente merito dei Paesi (ben 122) che hanno voluto fortemente questo testo ma anche merito della società civile che ha continuato a premere affinché vi fossero inseriti principi alti oltre che della gestione aperta e inclusiva ma nello stesso tempo decisa della Presidente della Conferenza, la Costaricana Elayne Whyte Gomez.

Paradossalmente proprio l’esistenza di questo doppio binario (ingigantita da una poco plausibile accusa di voler «distruggere l’Npt») è la motivazione principale data dal Governo italiano per giustificare l’assenza totale al percorso di elaborazione del Trattato.

In questi mesi, nonostante numerosi tentativi di interlocuzione, Gentiloni e Alfano non hanno voluto incontrare i rappresentanti di Campagna Senzatomica e Rete Disarmo e anche mozioni parlamentari che chiedono conto della posizione italiana in merito ai negoziati Onu sono state fatte slittare a dopo la conclusione degli stessi. Va invece sottolineata positivamente l’attenzione al percorso comunque mantenuta dalla Rappresentanza italiana a New York (e ribadita dall’ambasciatore Cardi in un incontro con le campagne) e il non piegarsi alle proteste organizzate da Stati Uniti, Francia e Regno Unito che hanno addirittura inscenato una inaudita manifestazione al Palazzo di Vetro il giorno dell’inizio dei negoziati.

Ma se scuse di questa natura potevano essere in qualche senso plausibili e accettabili nell’epoca Obama (che pure ha dato avvio ad un programma da 10 miliardi di dollari per l’ammodernamento delle bombe B-61, le stesse di stanza in Italia; forse oggi sono 40 dopo essere state almeno 70 per anni) è impossibile sostenere una linea del genere con l’Amministrazione Trump e i suoi investimenti di rinnovamento integrale dell’arsenale (1.300 miliardi in 30 anni) immediatamente messi in cantiere a poche settimane dall’insediamento.

Su una questione come quella delle armi e degli arsenali nucleari non possiamo ormai essere più tiepidi o giocare alla «diplomazia dei piccoli passi», ma bisogna essere chiari e netti. Con coraggio. E uno dei meriti principali del testo di Trattato votato è, come abbiamo visto, proprio la chiarezza in particolare sullo stazionamento e gli accordi di cosiddetto «nuclear sharing».Sarà uno dei punti fondamentali della mobilitazione che le campagne per il disarmo nucleare vogliono iniziare ora sia in Italia che negli altri Paesi europei che ospitano ordigni Usa (cioè Paesi Bassi, Beglio, Germania) davvero strategici per qualsiasi ipotesi vincente di allargamento e universalizzazione del Trattato.

Il positivo e fondamentale risultato ottenuto è dunque solo un primo passo (così lo ha definito anche la hibakusha Sestuko Thurlow che ha chiuso con il suo intervento la Conferenza Onu) verso il vero obiettivo finale: l’eliminazione completa delle armi. Riusciremo a farlo solo «ricordandoci della nostra Umanità», come ci hanno insegnato Einstein e Russell decenni fa con il loro manifesto.

L’alternativa è la minaccia costante di regressione all’età della pietra. Umanamente e umanitariamente inaccettabile.


il manifesto, 14.07.2017


 

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.