Brasile: Dove un indio non vale una vacca | Paolo Moiola

 MATO GROSSO DO SUL – STORIE DI ABUSI CONTRO I DIRITTI DEI POPOLI INDIGENI

Nel Brasile degli scandali e dei politici corrotti, l’oligarchia dei proprietari terrieri ha assunto il potere e sta smantellando l’apparato giuridico che aveva riconosciuto i diritti dei popoli indigeni, a iniziare dal diritto alla terra. La vicenda che vede coinvolti i Guarani Kaiowá del Mato Grosso del Sud è soltanto uno dei tanti esempi possibili. Ne abbiamo parlato con il cacique Ládio Veron (Ava Taperendi), il cui padre venne assassinato nel 2003 dai sicari dei latifondisti.


Tra il 1915 e il 1928 nello stato brasiliano del Mato Grosso del Sud furono create 8 riserve indigene per un totale di 17.975 ettari. La maggiore (e più problematica) tra queste riserve è quella di Dourados, sorta nel 1917. Dourados è vasta circa 3.600 ettari, oggi occupati da una popolazione di due etnie (Guarani e Terena) per un totale di oltre 15.000 abitanti (1).

I numeri sono importanti, ma detti così non sono sufficienti per riuscire a comprendere la situazione. È utile allora fare una piccola e facile ricerca sul web. Cerchiamo, per esempio, le fazendas (aziende agricole) in vendita nel Mato Grosso del Sud, esteso quanto la Germania ma con nemmeno tre milioni di abitanti. Ebbene, su YouTube (2) ne possiamo trovare varie. Prendiamone tre a caso. Le loro estensioni sono di 22.410 ettari, di 28.000 ettari e di 41.000 ettari. Si possono vedere le grandi case dei proprietari (costruite nei pressi dei pochi alberi rimasti), i recinti con le vacche e i cavalli, gli immensi pascoli o le estensioni con le monoculture, le strade sterrate in terra rossa, i corsi d’acqua o i laghetti. La terza fazenda viene ceduta con tutta la mandria di 22.000 bovini.

Istruttivo è leggere i commenti di chi ha visto i video di queste fazendas in vendita. Uno dei visitatori virtuali chiede: «È con indigeni o senza? I senzaterra sono tutti una piaga» («é com índios o sem índios os sem terra todos são uma praga»).

Esproprio bianco

Lungi dal voler tentare un’analisi critica del diritto di proprietà, vogliamo mettere in evidenza alcuni fatti concreti. «A partire dal 1920, e più intensamente a partire dal 1960, ebbe inizio una colonizzazione sistematica ed effettiva dei territori guarani, innescando un processo di espropriazione metodica delle loro terre da parte dei coloni bianchi» (pib.socioambiental.org). Insomma, i proprietari originari delle terre erano gli indigeni e lo erano da secoli. Con la creazione delle riserve indigene da parte del «Servizio di protezione dell’indigeno» (Spi) nel Mato Grosso del Sud si diffuse il convincimento che «le fazendas occupate attualmente dai coloni e rivendicate dagli indigeni non siano mai appartenute ad essi, poiché l’idea dominante è che le terre degli indigeni siano le riserve» (XXII Simpósio nacional de história, 2003).

In un Brasile travolto dagli scandali, il Mato Grosso del Sud è un esempio lampante del progetto di criminalizzazione dei popoli indigeni e dei loro alleati messo in moto negli ultimi anni da latifondisti, potere politico dominante e molti media.

Oggi nel Mato Grosso del Sud, oltre alle riserve, ci sono 96 terre indigene (fonte Cimi, agosto 2016), quasi tutte teoriche. Nella realtà gli indigeni vivono confinati nei ghetti delle riserve o in fazzoletti di terra, se non addirittura ai margini delle strade. Stanchi di attendere di vedere attuati i propri diritti, molti gruppi hanno preso l’iniziativa da soli con la cosiddetta «retomada», il recupero, la riconquista delle loro terre.

Di fronte alla resistenza e alle iniziative indigene sono aumentati la violenza e l’odio nei loro confronti. Sono decine gli attacchi compiuti da squadre paramilitari al soldo dei latifondisti (con la complicità delle autorità). Secondo i dati del Consiglio indigenista missionario (Cimi), nel Mato Grosso del Sud sono stati 36 gli indigeni assassinati nel 2015 e 426 nel periodo tra il 2003 e il 2015. E dove non è arrivata la violenza diretta sono arrivati i suicidi: 45 nel solo 2015 e ben 752 tra il 2000 e il 2015.

L’offensiva anti-indigena del governo Temer

Il Consiglio indigenista missionario ha sperimentato sulla propria pelle cosa significhi lottare per i diritti indigeni e contro il sistema che li nega. L’Assemblea legislativa del Mato Grosso del Sud ha istituito una Commissione parlamentare d’inchiesta (Comissão Parlamentar de Inquérito, Cpi) per mettere sotto accusa il Cimi, inclusi i suoi primi rappresentanti, il presidente dom Roque Paloschi e il segretario esecutivo Cleber César Buzatto.

Nelle 222 pagine della relazione finale (Relatório final da Cpi do Cimi), presentata nel maggio 2016, le parole sono forti: «Causa indignazione, perplessità e repulsione il fatto che un’entità legata alla Chiesa cattolica abbia causato tanti danni» (pag. 194); ci sono indizi fortissimi sulla «partecipazione del Cimi nell’incitamento alla violenza e nell’invasione di proprietà private» da parte degli indigeni (pag. 205).

Latifondisti e politici non si sono fermati qui, ma hanno replicato la strategia alla Camera dei deputati federale creando una Commissione d’inchiesta sulla Funai (Fundação Nacional do Índio) e sull’Incra (Instituto Nacional de Colonização e Reforma Agrária). Con essa si chiede l’incriminazione di decine di leader indigeni, antropologi e procuratori della Repubblica (questi ultimi successivamente esclusi) che difendono la demarcazione delle terre indigene.

L’offensiva anti-indigena del governo (golpista e corrotto) di Michel Temer pare inarrestabile. Lo scorso 9 maggio a capo della Funai è stato nominato, come ai tempi della dittatura, un generale dell’esercito, Franklimberg Ribeiro de Freitas. La Federazione dei popoli indigeni del Brasile (Articulação dos Povos Indígenas do Brasil, Apib) ha giustamente parlato di un’inaccettabile militarizzazione dell’organo in vista dell’espansione delle frontiere agricole e dei progetti imprenditoriali sulle terre indigene. Queste ultime rischiano di essere ridimensionate o spazzate via se dovesse essere approvata la Proposta di emendamento costituzionale n. 215 (Proposta de Emenda à Constituição, Pec 215). Essa prevede di trasferire al Congresso nazionale la prerogativa di demarcare le terre indigene, trasformando un diritto originario in un mero oggetto di negoziazione.

Ládio Veron e la «retomada de Takuara»

Ládio Veron non vuole sorridere davanti alla fotocamera. «Non c’è niente da ridere» dice serio. Lo comprendiamo.

Cinquant’anni, cinque figli ed otto nipoti, maestro di scuola, Ládio Veron (Ava Taperendi, in lingua indigena) è cacique della comunità Guaranì Kaiowá di Takuara. La terra indigena Takuara, nel municipio di Juti, ha una superficie di 9.700 ettari. Essa coincide con alcune aziende agricole, in particolare con la fazenda Brasilia do Sul, dedita soprattutto alla monocoltura della soia (foriera di pesanti conseguenze sull’ambiente).

Tra l’11 e il 13 gennaio del 2003 il fazendeiro Jacinto Honório da Silva e suoi dipendenti assalirono l’accampamento indigeno. Alla fine arrivò anche un gruppo di sicari (pistoleiros) che attaccarono la comunità. Nella lotta che ne seguì rimase coinvolto il cacique Marcos Veron di 72 anni, che morì in ospedale per le ferite subite. Marcos era il padre di Ládio, che nella lotta per il diritto alla terra ha perso anche fratelli e parenti. «Perché dobbiamo morire per una terra che è nostra?», chiede.

Se i primi anni erano occupazioni (retomadas) di una terra reclamata, oggi Takuara ha superato il lungo e complesso processo di riconoscimento giuridico ed è a tutti gli effetti una terra di proprietà indigena. Eppure non è stata ancora restituita. Anzi, i giudici del Mato Grosso del Sud emettono continuamente ordini di sgombero. «La Funai – spiega Ládio – non ha la forza per procedere con la demarcazione delle nostre terre. Chiediamo un cambio. Chiediamo di avere in essa alcuni nostri rappresentanti. Abbiamo indigeni preparati per questo».

«A Takuara siamo circa 70 famiglie che occupano non più di 90 ettari di territorio», assicura Ládio. «Eppure dobbiamo sopportare che centinaia di camion carichi di soia passino per la nostra aldeia».

Una lotta, quella dei popoli indigeni, disperata e disperante che genera rabbia e impotenza. Ci affidiamo alle parole di un editoriale di Porantim, rivista del Cimi: «La terra è un bene comune, ereditato da tutti gli esseri che su di essa abitano. Il suo valore è incalcolabile e, proprio per questo, essa non dovrebbe essere ridotta a una merce ed essere commercializzata come un qualsiasi altro prodotto» (3).

Proprietà privata: sempre legale e legittima?

Il sentimento prevalente verso i popoli indigeni è ricordato dal missionario Egon Heck: «Rivelatrice è l’affermazione dell’ex governatore [del Mato Grosso del Sud] André Puccinelli (2007-2014): “È un crimine dare un palmo di terra produttiva agli indigeni”».

Sul sito della potente Federazione dei produttori agricoli e degli allevatori dello stato (Federação da Agricultura e Pecuária do Estado de Mato Grosso do Sul, Famasul), sospettata di armare milizie paramilitari, di indigeni non si parla se non per ricordare uno sgombero di terre da loro occupate (4).

È opinione dominante che l’agrobusiness (agronegócio) e lo sviluppo non possano fermarsi davanti alle rivendicazioni territoriali dei popoli indigeni e, men che meno, davanti alla cosmovisione indigena, considerata un insieme di concetti astratti se non inverosimili. Non importa se i diritti sono sanciti dalla Costituzione del 1988 e se l’agrobusiness arricchisce un’esigua minoranza e distrugge un bene comune quale l’ambiente naturale.

Nella presentazione dell’annuale rapporto «Violenza contro i popoli indigeni in Brasile» (Violência contra os povos indígenas no Brasil) (5), dom Roque Paloschi, presidente del Cimi, ha scritto: «Denunciamo il potere giudiziario che, nei suoi giudizi, dà la priorità alla difesa della proprietà – non sempre legale, non sempre legittima – a discapito dei diritti originari dei popoli indigeni».

Note al testo

(1) I dati sulle terre indigene sono visibili su questo sito: http://terrasindigenas.org.br.
(2) La ricerca può essere fatta con questa richiesta: «fazendas para comprar no estado de Mato Grosso do Sul».
(3) Editoriale di Porantim, gennaio-febbraio 2013, pag. 2.
(4) Testuale: «a reintegração de posse de quatro fazendas ocupadas por índios guarani-kaiowá». Il sito della Federazione: famasul.com.br.
(5) Conselho Indigenista Missionário – Cimi, Violência contra os povos indígenas no Brasil– Datos de 2015, pag. 11; il rapporto è scaricabile dal sito www.cimi.org.br.

 

 


01- Breve scheda storica

La terra indigena sono le riserve

È questo l’obiettivo dei governi brasiliani. 

  • 1610 – In una vasta regione comprendente Paraguay e porzioni di Bolivia, Brasile, Argentina e Uruguay, i gesuiti fondano le prime «riduzioni» (reducciones de indios) dove vengono accolte le locali popolazioni indigene.
  • 1759 – 1767 – I gesuiti vengono espulsi prima dalle colonie portoghesi e poi da quelle spagnole; nel 1773 il loro ordine sarà soppresso da papa Clemente XIV; i Guaranì delle riduzioni vengono uccisi o ridotti in schiavitù.
  • 1915 – 1928 – Il «Servizio di protezione degli indigeni» (Serviço de Proteção aos Índios, Spi) costituisce in Mato Grosso (nel 1977 divenuto Mato Grosso del Sud) 8 riserve indigene.
  • 1920 – 1960 – A partire dal 1920 e ancora con più intensità dal 1960 inizia una sistematica colonizzazione dei territori guaranì da parte di coloni bianchi che si installano sulle loro terre distruggendo la foresta per far posto all’allevamento e all’agricoltura estensiva.
  • 1946 – 1988 – Nel suo documento conclusivo (del 2014), la «Commissione nazionale della verità» conferma le gravi violazioni dei diritti dei popoli indigeni perpetrate nel periodo esaminato.
  • 1967 – Durante la dittatura militare, lo Spi viene sostituito dalla «Fondazione nazionale dell’indio» (Fundação Nacional do Índio, Funai) che non cambierà le modalità d’azione.
  • 1988 – Il Brasile adotta una nuova Costituzione nella quale vengono riconosciuti i diritti dei popoli indigeni.
  • 2016, maggio – Viene resa pubblica la relazione finale della «Commissione parlamentare d’inchiesta» (Cpi) del Mato Grosso del Sud sull’operato del Consiglio indigenista missionario (Cimi). È un durissimo attacco all’operato del Cimi. La magistratura archivierà la relazione della Cpi nell’aprile del 2017.
  • 2017, 9 maggio – Il governo nomina alla presidenza della Funai un generale dell’esercito Franklimberg Ribeiro de Freitas.
  • 2017, 17 maggio – A Brasilia viene approvata la relazione finale della Commissione parlamentare d’inchiesta (Cpi) sulla Funai e Incra. Il relatore è il deputato Nilson Leitão, presidente del Fronte parlamentare degli imprenditori agricoli e degli allevatori (Frente parlamentar da agropecuária).
  • 2017, 24 maggio – Impopolare, accusato di corruzione e abbandonato anche da Rede Globo, il presidente Temer rischia di essere esautorato.

(Pa.Mo.)


02 – Breve scheda etnografica

Le popolazioni dei Guaranì

Sono distribuite in cinque stati dell’America Meridionale. 

  • Famiglia linguistica: tupi-guarani;
  • Dove sono: in Argentina (provincia di Misiones), in Bolivia (Chaco boliviano), in Uruguay, in Paraguay e in Brasile (Mato Grosso del Sud);
  • Quanti sono: in totale circa 90.000 (ma le cifre sono spesso incerte e variabili a seconda delle fonti);
  • Sottogruppi principali: Kaiowá (45.000, localizzati soprattutto nel Mato Grosso del Sud), Mbya (30.000, la maggior parte nel Paraguay) e Ñandeva (13.000);
  • Organizzazione: i Guaranì Kaiowá sono organizzati in comunità macrofamiliari (2-5 famiglie estese), riunite in un luogo denominato «tekoha», inteso come unico luogo – di terra, foresta, acqua, piante, animali – dove si può realizzare la propria condizione («teko») di Guaranì.
  • Film sui Guarani: «Mission», film del 1986, ambientato nel 1750, nella foresta sopra le Cascate dell’Iguazú al confine tra Argentina, Brasile e Paraguay dove i missionari gesuiti avevano aperto alcune missioni (note come «riduzioni») tra gli indios guaranì; «La terra degli uomini rossi», film del 2008, ambientato in Mato Grosso del Sud e riguardante la lotta tra i Guaranì Kaiowá e i fazendeiros (latifondisti).

(Pa.Mo.)


03 – Breve scheda del Mato Grosso del Sud

Latifondisti al potere

In questo stato brasiliano comandano i latifondisti. A?Brasilia anche.

  • Superficie del Mato Grosso del Sud (MS): 357 mila chilometri quadrati (superficie Portogallo: 93 mila kmq);
  • Popolazione: 2,6 milioni (fonte Ibge);
  • Economia: allevamento bovino e agricoltura (soia, canna da zucchero, cotone, eucalipto);
  • Bovini in MS: 21 milioni e settecentomila (9 vacche per abitante); sono 215,2 milioni in Brasile (fonte Ibge, settembre 2016);
  • Popolazioni indigene in MS: 77 mila, di cui 43 mila Guaranì (fonte Ibge, 2010), seguiti dai Terena e – con poche centinaia di individui – dai Kadiwéu, dai Guató e dagli Ofaié ;
  • Riserve indigene in MS: 8 (istituite dallo scomparso Spi);
  • Terre indigene in MS: 96 (fonte Cimi, agosto 2016);
  • Indigeni assassinati in MS: 36 nel 2015 (fonte Cimi); 426 tra il 2003 e il 2015;
  • Indigeni suicidatisi in MS: 752 tra il 2000 e il 2015 (fonte Cimi);
  • Proprietari terrieri in MS: contro il Cimi (Consiglio indigenista missionario) con una Commissione parlamentare d’inchiesta (settembre 2015 – maggio 2016); accuse poi archiviate;
  • Proprietari terrieri a Brasilia: la «bancada ruralista», in alleanza con la «bancada evangelica», è schierata a favore dell’emendamento costituzionale – noto come «Pec 215» – che trasferirebbe dall’organo esecutivo a quello legislativo l’ultima parola sulle questioni relative alle terre indigene.

(Pa.Mo.)

 

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