Che cosa è la non violenza cristiana: tre punti cruciali

Antonino Drago

Intervento nella veglia di preghiera per 50° Giornata Mondiale della Pace – Diocesi di Pisa 27 gennaio 2017

1) Lanza del Vasto nel 1928 si è laureato alla università di Pisa e poi è andato in India dove è stato discepolo di Gandhi. Quando è tornato in Europa ha fondato comunità che cercano di realizzare la non violenza sotto tutti gli aspetti della vita sociale; e anche nella vita intellettuale ha fondato una teoria della non violenza. Queste sue fondazioni indicano un punto cruciale della non violenza; essa vuole costruire non solo nuovi rapporti umani, più gradevoli, ma anche una nuova società. Anche Papa Francesco lo dice nel titolo della 50° Giornata mondiale per la Pace: la non violenza è lo “stile di una politica per fare la pace”. Per dare l’esempio di questo nuovo stile, egli, nel chiedere agli Stati la “proibizione e abolizione delle armi nucleari (che minacciano il suicidio della intera umanità), per la prima volta non ha posto condizioni (quindi non ha più aggiunto la gradualità, o il consenso di tutte le superpotenze). Cioè, sin da ora: mai più armi nucleari! Con questo atto il Papa chiede di cambiare la politica dei Paesi cristiani, che purtroppo nel passato sono stati i primi a inventare le armi nucleari come obiettivo massimo della loro corsa ad armi sempre più catastrofiche. Con questo suo appello incondizionato egli prepara nel migliore dei modi le due conferenze mondiali ONU che quest’anno programmeranno il disarmo nucleare.

Ma, si risponde, oggi c’è una continuità completa di armi che vanno dal coltello alla bomba nucleare; non esiste un gradino su cui arrestare la corsa agli armamenti; sempre verranno inventate nuove armi di ogni genere; col disarmo nucleare resterà sempre qualcuno che ha più armi degli altri. Come potremo reagire noi popolo? Qui c’è l’esempio di quell’omino indiano laico, di nome Gandhi; il quale davanti alle armi dell’impero coloniale britannico ha agito così efficacemente col suo popolo che è stato chiamato Mahatma, grande anima. Come racconta Lanza del Vasto: “Nella Storia, gli disse uno dei suoi interlocutori intorno al 1934, mai un popolo si è liberato dai suoi oppressori senza prendere le armi. “Ebbene – Gandhi rispose con semplicità – noi scriveremo una nuova Storia.” Dodici anni dopo era scritta e fatta.” Per la prima volta un popolo, quello indiano, ha ottenuto la indipendenza nazionale senza armi. E che popolo! Era il 10% della intera umanità di allora. E che oppressore! Era il massimo impero coloniale di tutti i tempi, che con le sue potentissime armi dominava quasi la metà della superficie terrestre. La parola chiave che ha ispirato le azioni di Gandhi è stata appunto “non violenza”. E’ la stessa parola che nel 1989 ha ispirato tutti i popoli che (a cominciare dalla cattolica Polonia col movimento Solidarnosc) si sono liberati da dittature che sembravano inamovibili, indifferenti anche ad una solenne scomunica. Papa Giovanni Paolo II lo ha subito notato, nel 1991: quelle liberazioni sono avvenute grazie “all’impegno non violento di uomini che hanno saputo ritrovare di volta in volta forme efficaci per rendere testimonianza alla verità.” Papa Francesco ha aggiunto: “Ne è nato un cambiamento epocale nella vita dei popoli, delle nazioni e degli Stati”. Oggi, per rispondere alla storia che mette davanti all’umanità la vita o la morte nucleare, la risposta spiritualmente realistica e concreta è una conversione storica: sviluppare una vita non violenta invece che preprare la morte nucleare. Ecco per quale ragione oggi riflettiamo su una parola nuova, che non appartiene alla cultura ebraica e nemmeno a quella greco romana, ma a quella indiana: non violenza.

2) Ma che cosa ha di nuovo la non violenza gandhiana? Qui c’è un secondo punto cruciale. Essa non è una cosa, né un’idea assoluta, né solo un sentimento; né è una tecnica (come sostengono i laicisti occidentali); ma è la indicazione di un nuovo metodo. Essa indica che è bene evitare la violenza perché questa è negativa, porta a conseguenze catastrofiche. Perciò: “Agisci come meglio credi, ma non fare violenza all’altro.” E’ da notare che se si agisce così, allora si applica anche il consiglio del Padreterno: “Non uccidere”; e non solo in tempo di pace e nei soli rapporti personali, ma sempre! Non si può uccidere e pensare di amare l’altro. Lanza del Vasto ha scritto che quel consiglio “E’ stato scolpito sulla pietra proprio affinché non ci si aggiungessero note al margine, limitazioni di comodo, eccezioni da sfruttare.” Inoltre è da notare che quando in un conflitto si vuole evitare la violenza, occorre porre la propria fiducia non più sulle armi, ma sull’altra persona, chiunque egli sia; cioè, occorre avere verso di lui un atteggiamento di condivisione, di empatia, di fraternità, di amore. Qusto è proprio l’insegnamento di Cristo: “Amate [anche] i vostri nemici”. La non violenza finalmente dà il metodo per applicarlo.

3) Ma allora, quando fossimo dentro un conflitto che cosa ci succederà? E quando scoppiasse una guerra? Le azioni non violente di Gandhi, di M.L. King, dei popoli che nel 1989 si sono liberati da pesantissime dittature hanno chiarito che sì, per riuscire ad amare con intelligenza il nemico c’è da sopportare un volume di sofferenza che alle volte è molto grande; ma, si noti, è la minima sofferenza che è necessaria per risolvere il conflitto; perché, quando è accettata dall’inizio, spezza la concatenazione delle violenze e ci aiuta a capire meglio l’altro. Ricordiamo che anche Gesù, come ebreo, aveva di fronte un gigantesco esercito, quello dell’impero romano; egli ci ha insegnato che colui che vuole seguirlo nel suo conflitto con il mondo deve seguire la via della croce e della resurrezione; e quindi andrà a unire la sofferenze con le liberazioni così come indicano le Beatitudini. Qui la non violenza ci fa scoprire un terzo punto cruciale: come noi intendiamo il nostro Cristianesimo. A molti cristiani del passato le Beatitudini sono sembrate un invito ad accettare passivamente, da stupidi, un malvagio che si sfoga con piacere sui poveri, sui deboli, sui miti. Invece esse indicano che la accettazione della sofferenza fa giungere gradualmente alla soluzione di un conflitto; cioè fa fare così tanta attenzione alla crescita della propria vita interiore (anche se c’è da sopportare un proprio danno) da scoprire le proposte d’amore da indirizzare alla vita interiore dell’altro, così tanto da portarlo ad un accordo; proprio come fa una madre verso un figlio intemerato e irriconoscente. Infatti se guardiamo bene le Beatitudini vediamo che le prime quattro sono per lo più di tipo sopportativo ed esplorativo, perché spesso capita che non ci è chiaro da subito come reagire al male con la nostra vita interiore; poi le altre quattro sono per lo più di tipo attivo, a partire dall’avere misericordia verso la persona schiacciata dalla società, fino ad impegnarsi a fare la pace nei conflitti degli altri e infine lottare per la giustizia per tutti, anche al costo di suscitare reazioni negative. Pure ciò che promette Gesù ha un crescendo: prima promette che alla lunga il cristiano verrà liberato dalle sofferenze sopportate; poi promette di dargli occhi per vedere Dio (anche in uno sconosciuto) e infine di farsi chiamare dall’altro figlio di Dio nel realizzare con un accordo cooperativo il regno dei Cieli. Avendo coscienza di questo cammino, la sofferenza necessaria per sciogliere un conflitto può essere accettata con gioia e con pienezza d’animo, specie dopo aver fatto la comunione con proprio il corpo e il sangue di Gesù, cioè di colui che ha risolto con questo metodo non violento i peccati-conflitti del mondo.

E’ con gioia allora che noi cristiani cattolici accogliamo il metodo non violento, di cui in Italia ha dato un luminoso esempio il vescovo don Tonino Bello, già presidente di Pax Christi. Quel metodo ci riporta alla caratteristica del nostro cristianesimo, l’amore per i nemici. Inoltre questo metodo, come ha detto papa Francesco il 13 dicembre scorso, può essere partecipato dai credenti di tutte le religioni e anche dai non credenti. Infine esso porta ad un nuovo stile politico, quello che affronta i problemi del mondo non con le armi, ma con azioni non violente compiute da movimenti dal basso (che, grazie a Dio, oggi nel mondo sono tanti, come dimostrano le assemblee dei movimenti per la giustizia promossi da Papa Francesco).

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