Le alternative alla guerra esistono

Angela Dogliotti

“Da più parti si sono espresse preoccupazioni e prese di posizione contro la recente decisione del Governo italiano di procedere ad un intervento militare in Libia, presentato come missione di natura “umanitaria” per la presenza in esso di una minima parte di personale medico.

Ancora una volta, infatti, si sceglie di ricorrere allo strumento militare, nel tentativo di risolvere una situazione diventata sempre più caotica e degenerata, come sappiamo, proprio a seguito del precedente intervento armato, anziché percorrere altre strade, come quelle suggerite dalla Rete Disarmo e dalla Rete della Pace, di una “Conferenza internazionale con tutti i soggetti politici, sociali e civili della Libia, nell’ottica di una strategia di costruzione della Pace ‘dal basso’ che assicuri nel contempo l’incolumità delle popolazioni civili e la costruzione dello stato di diritto”.

(Comunicato diffuso il 14 settembre 2016).

Nonostante sia del tutto evidente quanto la strategia della violenza, iniziata con la prima guerra del Golfo nel 1991 e proseguita con le guerre in Afghanistan , Iraq, Libia, e adesso Siria, sia stata inefficace per risolvere i problemi , come mostra anche il Global Peace Index, che dal 2008 al 2015 vede un progressivo allargamento dei paesi minacciati dal rischio del terrorismo e della violenza bellica, sembra che, sia a livello politico, sia nella mentalità comune, la guerra resti la sola possibilità per affrontare situazioni di conflitto acuto o per difendere popolazioni oppresse da regimi dispotici e sanguinari.

Il convegno del Centro Studi Sereno Regis, che tutti gli anni si svolge in prossimità della giornata internazionale della nonviolenza (2 ottobre) e che si è concluso sabato 1 ottobre, ha messo a fuoco, invece, una serie di strade concretamente percorribili per contrastare le logiche di guerra e trovare strade alternative nei conflitti.

Nella tavola rotonda coordinata da Paolo Candelari, sono intervenuti Pasquale Pugliese, segretario del Movimento Nonviolento, Ettore Bianchi di Operazione Colomba e Mohamed Ambrosini, di Un ponte per…

pasquale_pugliese_01Pasquale Pugliese ha sostenuto la necessità, per i movimenti nonviolenti, di muoversi su un canale più politico in senso stretto e ha presentato la Campagna “Un’altra difesa è possibile”, che, in seguito alla raccolta di 53.000 firme, ha portato alla presentazione di una Legge di iniziativa popolare per l’istituzione del Dipartimento della Difesa civile, non armata e nonviolenta.

Tale proposta, appoggiata da un intergruppo parlamentare per la pace coordinato dal deputato Giulio Marcon, è attualmente incardinata nelle Commissioni Affari costituzionali e Difesa della camera dei Deputati, in attesa di essere iscritta all’ordine del giorno e messa in votazione , per dare finalmente piena attuazione all’articolo 52 della Costituzione (difesa della Patria), in relazione all’articolo 11, che sancisce il ripudio della guerra. In questa seconda fase della Campagna sono state stampate 40.000 cartoline, da spedire ai parlamentari del proprio collegio al fine di sensibilizzarli e sollecitarli ad approvarla.

Se ciò avvenisse, sarebbe un evento storico, perché sancirebbe la sottrazione del monopolio della difesa alle Forze Armate e porterebbe all’affermazione di un concetto di difesa più ampio e concreto “difesa delle libertà, dei diritti, del lavoro, del territorio, dei più svantaggiati, delle istituzioni, della solidarietà” (www.difesacivilenonviolenta.org).

ettore_bianchiEttore Bianchi, di Operazione Colomba, ha presentato l’esperienza di uno dei Corpi civili di pace dal basso, nati in questi anni su base volontaria e gestiti da organizzazioni non governative, che operano in diverse parti del mondo in contesti di conflitto. I Corpi civili di Operazione Colomba sono presenti in Libano, Albania, Colombia e Palestina , insieme ad altre organizzazioni (in Palestina, ad esempio, nel progetto di raccolta delle olive è presente come soggetto anche il Centro Studi Sereno Regis). Tutti i costi di questi ccp sono sostenuti dalle organizzazioni di base e in genere hanno come obiettivo quello di svolgere azioni di accompagnamento di soggetti sensibili, di protezione e di diplomazia informale. I volontari condividono la vita delle popolazioni che vivono in contesti di conflitto, cercando di contrastare la violenza e facilitare le soluzioni dal basso a livello locale. Ettore Bianchi ha presentato la sua esperienza in Colombia, dove è stato recentemente firmato un accordo tra le FARC e il governo e le formazioni paramilitari filogovernative, che dovrebbe avviare un processo di pace e riconciliazione, in un paese che ha il più alto numero al mondo di profughi interni.

Sempre ad opera dell’Operazione Colomba nella serata introduttiva del convegno era stato presentato anche il progetto Mediterranean Hope, organizzato dalla Comunità di S.Egidio e dalla Federazione delle Chiese Evangeliche per l’apertura di corridoi umanitari capaci di portare in Italia in modo legale e sicuro profughi in fuga dalle guerre. Alessandro e Kadija hanno così testimoniato il loro impegno nell’accompagnamento di un gruppo di siriani accolto dalla comunità di Leinì.

mohamed_ambrosiniMohamed Ambrosini ha invece raccontato le esperienze degli attivisti nonviolenti in Iraq, che hanno organizzato, con il sostegno di ong italiane come Un ponte per, manifestazioni come la maratona per la pace a Baghdad, con la partecipazione di 890 persone; la “Save the Tigris Campaign” , per affermare il fiume Tigri come strumento di collegamento e comunicazione anziché di guerra, ottenendo dall’Unesco il riconoscimento delle paludi del Tigri come Patrimonio dell’Umanità; la campagna “Sherazad”, per la tutela delle donne e dei loro diritti umani e civili; l’Iraqi Social Forum, nel corso del quale, 4000 persone in Iraq si sono ritrovate per tre giorni a parlare di nonviolenza.

Nell’ultima parte del convegno i partecipanti sono stati invitati a confrontarsi su che cosa ciascuno di noi può fare , singolarmente e collettivamente.

Tra le tante idee che sono emerse, sembra prioritario trovare il modo per far comprendere come le spese militari siano in diretta concorrenza con le spese sociali e le necessità quotidiane e dunque come il problema della guerra e del sistema militare-industriale-scientifico-mediatico che la prepara e la conduce non sia una questione lontana, che riguarda solo chi della guerra subisce gli effetti diretti e devastanti, ma ci riguardi tutti. Sia perché ci sottrae risorse vitali per una vita in dignità e sicurezza, sia perché ci espone a minacce e ritorsioni, sia perché gli effetti giungono fino a noi anche attraverso l’emergenza migratoria che mai come in questi anni è stata così forte.

A questo proposito, è oggi di vitale importanza far emergere anche gli atteggiamenti positivi di una parte della società civile europea che non vuole costruire muri, non vede il profugo come una minaccia, ma riconosce in lui un proprio simile cui è stato sottratto tutto, che fugge dall’inferno della guerra e delle sue devastazioni, che ha bisogno di soccorso e di ascolto. Questa verità, spesso distorta e occultata da forze politiche che strumentalizzano le paure ai propri fini, va affermata attraverso un giornalismo di pace che sappia mettere in circolo una narrazione diversa degli eventi e sappia mettere in collegamento le realtà che si muovono in prospettive altre rispetto a quella che sembra essere la mentalità comune maggioritaria in Europa oggi.

Proprio oggi si è svolto in Ungheria il referendum voluto da Orban per avere il sostegno popolare alla sua politica antimigratoria e alla sua ridicola opposizione alla richiesta da parte dell’UE che l’Ungheria accolga poco più di 1000 profughi su circa 10 milioni di abitanti.

La maggioranza degli Ungheresi non lo ha seguito, dimostrando nei fatti che, se il popolo ungherese non è andato a votare in misura sufficiente per raggiungere il quorum significa che non ha avvertito l’arrivo dei profughi come una minaccia da fermare, non ha sentito questo come un problema prioritario per la propria vita , per cui valesse la pena di fare lo sforzo di recarsi ad un seggio ed esprimersi in merito. Questo forse ci dice che talvolta sono le forzature nell’usare il potere massmediatico a produrre una distorsione della realtà, facendo apparire come un problema quello che in realtà non è tale, almeno non lo è in quella misura drammatica che si vuol far credere.

Bravi gli Ungheresi!

1 commento
  1. mario
    mario dice:

    tale articolo mi conforta immensamente e mi dà speranza, condivido ogni parola e dico grazie ha tutti i promotori del mondo che lottano per la pace. un mio pensiero di strategia per arrivare ai successi, le lotte vanno fatte unitariamente ad atri problemi sociali, come la disoccupazione, quindi la riduzione dell'orario di lavoro se si vuole arrivare alla chiusura delle fabbriche di armi. le invenzioni telematiche e tecnologiche,più la concorrenza dei paesi in sviluppo, ci hanno ridotto i posti di lavoro del 50% arricchendo le multinazzionali ma, impoverendo i più deboli, e questo , lo chiamano crisi per tenere a bada gli ingenui, sui mercati non manca di nulla, neppure il danaro non manca perché se si vuole investire non danno interessi perciò non costerebbe agli investitori, è saturazione non crisi come vogliono farci credere gli asini al governo. le democrazie scarse di paletti scivolano nella anarchia e il passo è breve per i conflitti.

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