Giochi dal labirinto di Shatila: voci dal campo [Parte II] | SCI-Italia


Eccole qua
le armi che piacciono a me:
la pistola che fa solo pum
(o bang, se ha letto qualche
fumetto)
ma buchi non fa…
il cannoncino che spara
senza far tremare
nemmeno il tavolino…
il fuciletto ad aria
che talvolta per sbaglio
colpisce il bersaglio
ma non farebbe male
né a una mosca né  un caporale…
Armi dell’allegria!
le altre, per piacere,
ma buttatele tutte via!

Le armi dell’allegria, Gianni Rodari

“Ahi!”, mi porto velocemente la mano destra al collo. Il punto in cui mi hanno colpito si arrosserà presto. “Mi verrà il livido”, penso. Mi volto verso il colpevole: eccolo lì, il monello che mi guarda soddisfatto con un’aria di sfida e orgoglio. Temevo che lo avrebbe fatto, che mi avrebbe sparato addosso quegli stupidi proiettilili di plastica con quegli stupidi mitra di plastica che vendono ad ogni angolo della strada. Ha centrato il bersaglio in pieno il monello. Il collo, proprio sotto l’orecchio. Se fosse stato un proiettile vero, bè, non sarei qua a raccontarlo. Certo che ce ne vuole di coraggio per sparare ad un adulto, straniero per giunta. Mi arresto a pensare, invece di dare sfogo alla mia ira urlandogli addosso in italiano. Non servirebbe a nulla, non capirebbe ciò che dico e sentirebbe solo la mia rabbia. Ne sentono già tanta di rabbia attorno a loro. Metto il mio orgoglio in tasca, lo guardo rassegnato prima di voltarmi e tornare alle mie faccende. Non ho mai visto tanti bambini giocare con così tante armi e così verosimili.

“Preso!”, in realtà avevo puntato a quello grosso, bruno e con la barba, ma non importa, comunque l’ajnabi (1) l’ho preso uguale. Mi sono distratto però. “Ahi! Hafez, non vale! Mi sono distratto, sono passati degli ajnabi. Guarda quello riccio e magro, l’ho preso!”. “Io non ho visto e comunque hai perso, sei morto”, “Se prendi un ajnabi vale doppio però!” , “Non abbiamo mai deciso questa regola!”, “Senti, facciamo che non sono morto, io vado di là mi dai 20 secondi di vantaggio e vediamo chi uccide prima chi”. Inizio a correre nel vicolo, volto l’angolo, mi infilo sotto l’arco di Abu Zanner, salgo le scale del primo piano, lì dalla grata vedo la stradina sotto di me, il mio nemico non si aspetta che io spari dall’alto. Mi posiziono come fanno gli snipers, appoggio il fucile sulla grata. Il braccio a 90 gradi blocca il fucile, così il rinculo non mi va addosso. Mi ha insegnanto così Mohammed. “Eccolo…1,2,3…bam!”.

Oggi è il mio primo giorno. Proprio la festa del sacrificio, con un sacco di gente che entra e esce dal campo, mi doveva capitare. Fa caldo con questo basco e la divisa, però sto bene così. Se passasse Fatima e mi vedesse, chissà cosa penserebbe così con il fucile a tracolla che mi occupo della sicurezza di tutti. “Habibi (2) ciao”, “Guarda che bello il mio Mohammed. Come va il lavoro del Comitato di Sicurezza oggi? Il tuo fucile è servito?” , “Tuo figlio è bravo Abu Mohammed”, “16 anni fa lo stringevo per la prima volta fra le braccia e ora guardalo”, “Crescerà ancora Abu Mohammed, ancora un po’ muscoli qua e qua e vedrai che uomo si farà”. Mi stringe i bicipiti e i pettorali. Ha ragione, sono ancora un po’ magrolino…

“Mohammed, Mohammed, per favore mi dai 1000 lire”, corro verso mio fratello. La mamma mi ha comprato un vestito nuovo per la festa del sacrificio, è bianco con dei fiori rosa ma non lo devo sporcare se no si arrabbia. Ho anche le trecce e un grosso fiore di stoffa le tiene ferme sopra la testa. “A cosa ti servono habibti, sono impegnato non vedi”, “Per favore, per favore, ci sono le giostre, costa mille lire un giro, c’è un’altalena che va altissimo”. “Va bene, tieni, ma per favore non andare con Hafez che altrimenti la spinge troppo in alto e poi hai paura”. “Grazie Mohammed, ti voglio bene! Ci vediamo dopo eh, Mohammed, sei bellissimo con quella divisa!”.

Guardo lo spazio antistante al Children and Youth Center. Generalmente è l’unico spazio aperto in cui i bambini possono giocare tutti
insieme, in sicurezza, con la palla, o rincorrersi senza rischiare di farsi male o cadere in un mucchio di spazzatura. Molti giochi infantili richiedono il contatto visivo con i propri compagni, richiedono spazi aperti e il labirinto di Shatila non si presta a nessuno di essi. Ma questa settimana è festa quindi lo spazio è occupato. Chiamarle giostre sarebbe improprio. Un Luna Park per poveri, mi ritrovo a pensare. Le varie “attrazioni” sono recintate da steccati di legno colorati a cui si appoggiano sognanti schiere di bambini che hanno già speso le loro mille lire o che non le hanno per pagare il giro. Ci sono un girello di ferro, un paio di piccole altalene, un tappeto elastico. Ma la grande attrazione sono due robuste altalene di legno a cui sono appesi due grandi seggioloni di legno foderati con dei tappetti persiani dove si stringono anche 7, 8 bambini. I due più grandi stanno in piedi sul bordo del seggiolino, sono loro che danno la spinta all’altalena piegando le ginocchia nel punto più alto. L’altalena arriva proprio in alto, mi sovrasta. Mi sorprendo a guardare una bambina, che si sporge pericolosamente. Ha un vestito bianco a fiori rosa. 

(1) Ajnabi: straniero in arabo
(2) Habibi: caro/tesoro in arabo
(3) Habibti: famiglie di habibi

Alberto, Aran, Ilaria, Luca, Marcello, Maria e Martina


Il racconto è stato scritti dai/dalle volontari/ie che stanno partecipando al campo di volontariato SCI “Shatila Refugee Camp” a Beirut. Per quanto romanzato, si ispira a situazioni realmente vissute durante la loro permanenza nel campo profughi di Shatila.


Originale in: Giochi dal labirinto di Shatila: voci dal campo [Parte II]

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