Crisi ambientale ed etica. Un nuovo clima di giustizia | Recensione di Cinzia Picchioni


cop_tomassone-crisi-ambientale-ed-etica-935Letizia Tomassone, Crisi ambientale ed etica. Un nuovo clima di giustizia, Claudiana, Torino 2015, pp. 132, € 12,90

    • Piove! Governo ladro

Conoscete questo adagio? Be’ propongo di cambiarlo e al posto di «governo» mettere «umano». La riflessione mi è venuta leggendo, anche, il libro presentato questa settimana (e già presente presso la Biblioteca del Centro Studi Sereno Regis di Torino).

Scritto da una teologa, pastora valdese, mamma, è proprio un po’ tutto questo: un trattato di teologia (profondo ma semplice e comprensibile… sarà perché l’ha scritto una donna?); un libro di etica protestante (e non solo: cristiana anche); un insieme di riflessioni tipicamente «materne» nel senso migliore della parola: cura, attenzione agli «altri» umani, non-umani, alberi, piante e sassi; un libro su madre (appunto) Natura. Un libro come è l’Enciclica Laudato s?’ di Papa Francesco.

Di solito, quando scrivo le recensioni, mi accorgo che un libro mi piace davvero dal fatto che non riesco a decidermi se scrivere qualcosa io o lasciar parlare il libro; a volte mi sembra che dovrei solo trascriverne dei brani e tanto basterebbe; a volte mi sembra che non servano a nulla le parole che potrei scrivere per raccontare un libro o suscitare l’attenzione di chi legge, perché è già tutto spiegato al suo interno. Questo è un po’ il caso: mentre leggevo il libro, fin dalla Prefazione ho segnato talmente tante parti da estrarre che alla fine ho capito che non potevo ri-scriverlo da capo! Così mi sono sforzata di scegliere solo alcune parti da copiare, limitandomi a introdurle e/o inventare dei titoli. Ciò significa che il libro mi è piaciuto e molto, e che mi verrebbe da dire: venite a prenderlo e leggetelo (o compratelo. La casa editrice è di Torino e ha pure un suo negozio). Oltretutto si legge facilmente e velocemente, nonostante le riflessioni di taglio teologico (l’editore ha inserito il libro nella collana Piccola biblioteca teologica). Dunque ciò che trovate fuori dalle virgolette («») l’ho scritto io (in verde), tutto il resto è tratto dal libro, con tra parentesi le pagine dove lo troverete quando vi procurerete il libro.

Una donna anche nella Prefazione

«Questo bel testo della teologa Tomassone ci aiuta anche a capire come non ci si possa impegnare nella giustizia sociale senza preoccuparsi di questioni ecologiche, e viceversa. La crisi ecologica è profondamente collegata agli stessi modelli di sfruttamento e oppressione che piegano le relazioni umane. Una teologia della liberazione per gli esseri umani deve essere liberante anche per la natura. La buona novella deve poter coinvolgere l’intero creato» (dalla Prefazione di Gabriella Lettini, p. 6).

«[…] non siamo isolati e impotenti spettatori, ma una parte del tutto, e di un tutto che è sacro […] Macy, profondamente influenzata dal buddhismo, crede che il mondo occidentale debba re-imparare che gli esseri umani sono una parte della rete della vita, dove tutto è in qualche modo interconnesso al tutto. Non siamo padroni del creato, né al centro di esso. Il creato non è un oggetto di cui dobbiamo prendere cura, ma siamo noi stessi parte di esso. Così, quando parliamo di ecologia, dobbiamo ricordare che non stiamo parlando solo dell’ambiente, ma anche di noi stessi», p. 5.

    • Tessuti e strappi

«I disastri naturali si rivelano per quello che sono: conseguenza della presenza e dell’azione umana. Umana e collettiva è la responsabilità della povertà e del riscaldamento globale. E questo perché non siamo capaci di vedere che il tessuto della natura è tutt’uno, e che, tirando un filo della trama quaggiù, si crea una fragilità e uno strappo lungo tutto il tessuto1» (p. 54).

    • Un-due e tre!

«[…] tre grandi questioni […] minacciano il mondo così come lo conosciamo. La prima, di cui con leggerezza tendiamo a dimenticarci, è la questione nucleare […] ma anche il problema irrisolto delle scorie […]. La seconda questione è legata alle enormi disuguaglianze sociali che colpiscono i popoli del mondo, provocando miseria e ignoranza, sradicamento e fame, fughe e flussi di migranti attraverso frontiere sempre più rigide: […] La terza grande questione […] è legata ai cambiamenti climatici che hanno origine nel processo di industrializzazione degli ultimi due secoli. Nucleare, povertà e ambiente: le tre questioni sono strettamente interconnesse, così come interconnesso è ormai il nostro mondo» (pp. 14-15).

    • Cellulari e schiavi

«Oggi noi sappiamo che non possiamo considerare i fenomeni naturali come fossero separati dal nostro agire sul mondo. Sappiamo che il mercato di prodotti informatici comporta lo sfruttamento di miniere di coltan (il minerale necessario a prodotti elettronici come telefoni cellulari e computer) e la conseguente deforestazione sulle montagne del Congo. Di più, sappiamo che a questo si aggiunge lo sfruttamento quasi schiavistico degli uomini che lavorano in queste miniere e la distruzione dell’habitat dei gorilla che, per i nostri cellulari, rischiano l’estinzione. Questo tipo di legami ingiusti, che influenzano ambiente naturale e società umane a vantaggio delle popolazioni più ricche, sono rintracciabili dietro a quasi tutti i prodotti di consumo corrente del mondo occidentale. Come è possibile che la punizione riguardi i poveri, mentre i ricchi vivono nell’abbondanza? Se lo chiedeva già Qohelet […]. Ancora una volta torna alla nostra attenzione l’atto teologico di Bonhoeffer: “resistenza e resa”. Resistenza, come segno critico di conversione e di responsabilità che ci spetta come soggetti nella storia, resa, come atteggiamento di fiducia che Dio prenderà questo nostro agire e lo inserirà in un circolo virtuoso di senso» (pp. 116-117).

    • Etty Hillesum e la zolla

«Stiamo consumando il pianeta e abbiamo dimenticato la connessione tra i nostri corpi e gli altri corpi naturali, il nostro legame con la terra, il legame della nostra salute con quella del pianeta. […] anche nel pieno di una città, ogni alimento che compriamo e mangiamo ha avuto bisogno di una zolla di terra da qualche parte. La natura irrompe nella nostra vita attraverso gli alimenti, e la salute di quella zolla di terra ha a che fare, letteralmente, con la nostra. La responsabilità umana nei confronti della natura è una responsabilità verso noi stessi e il debito che abbiamo contratto nei suoi confronti richiede un cambiamento di atteggiamento, che è un compito spirituale. Certo, il cristianesimo non è l’unico a incorporare questi valori. Anzi, l’empatia, che permette la condivisione di sentimenti fra umani e la comunicazione intraspecie, è stata intuita, rivelata e studiata ai margini della cultura cristiana. Persone come Simone Weil, Etty Hillesum e Rosa Luxemburg hanno dato spazio all’empatia e all’espansione del sentimento di comunione, che i criteri del cristianesimo confinavano invece all’interno delle categorie dell’umano, o addirittura dell’appartenenza nazionale» (p. 56).

«Radicamento nella terra anche dopo la resurrezione, fiducia nella provvidenza e meraviglia di fronte a lei, uno sguardo attento e non antropocentrico, dialogo positivo con le scienze: questi sono elementi fondamentali per una chiesa che voglia affrontare le minacce che mettono in pericolo il creato come mai avvenuto prima nel tempo umano» (p. 117).

    • Cercasi coerenza disperatamente

Come al solito, prima o poi ci butto dentro qualcosa che riguarda il cinema, mia grande passione. Scusatemi. In realtà non si parla di «Susan», la protagonista del titolo – Cercasi Susan disperatamente – del famoso film di cui ho storpiato il titolo, ma di un «coerente» Woolman, radicale nonviolento quacchero del XVIII secolo. Predicatore itinerante, rifiutava di considerare come naturale la schiavitù, e, convinto del fatto che ogni vita è interconnessa, riteneva che «ogni forma di ricchezza eccessiva significava privare altri delle risorse necessarie, in definitiva esercitare violenza» (p. 105) «Woolman portava costantemente nella pratica, in ogni minimo particolare, il suo pensiero: rifiutava di usare le posate d’argento, perché nelle miniere argentifere venivano sfruttati in modo schiavista gli indiani d’America; per denunciare lo sfruttamento del lavoro infantile nelle stazioni di posta, rifiutava di servirsi dei cavalli da posta per il suo ministero itinerante e si spostava a piedi […]. In lui, come in Simone Weil [si] vede all’opera la capacità di autolimitarsi per amore dell’altro» (p. 105).

    • Salmoni e orsi

Questo è stato incredibile! Infatti, non credevo ai miei occhi leggendo le parole che riporto qui sotto, che devono farci pensare che non appena ci muoviamo possiamo (non è detto, ma è probabile) fare danni, perché non conosciamo tutto il procedimento della natura. Perciò: prima di fare qualsiasi cosa sarebbe necessario chiederci che cosa comporta per Noi (vicini, lontani, animali, piante, pietre, Terra e terra…). Qua scopriamo i legami tra un mammifero, un pesce, un albero e un insetto!

«Un giornalista scientifico del Nord della California ha raccontato in modo affascinante il legame tra i salmoni e le sequoie giganti […]. I salmoni migrando passano davanti alle coste e poi nei fiumi che scorrono verso l’oceano. Gli orsi si nutrono dei salmoni, catturandoli mentre risalgono i fiumi. Ma, per un istinto che, in realtà, si rivela necessario alla natura circostante, non mangiano i pesci sulla riva del fiume o in compagnia degli altri orsi. Si rifugiano invece in luoghi solitari dentro la foresta per consumare il loro pasto. I salmoni, nell’oceano, hanno accumulato azoto, una sostanza assente dal terreno di questi boschi. Così, le carcasse dei pesci e gli altri resti lasciati dagli orsi sono elementi di arricchimento del terreno, che rendono possibile la crescita delle sequoie. Senza azoto le sequoie non potrebbero sopravvivere. Ma questa catena affascinante e crudele di interdipendenze reciproche non è ancora finita. I resti del pasto degli orsi attirano gli insetti e permettono la nascita di larve di cui si nutrirà la prossima generazione di salmoni, una volta schiuse le uova depositate nei corsi d’acqua. Così, la morte dei salmoni adulti per mano (o zampa) degli orsi permette la nuova vita dei giovani salmoni. Al tempo stesso la presenza delle sequoie lungo la costa rende il clima più temperato e più adatto alla vita dei salmoni. […] C’è una sapienza naturale dell’interconnessione che si è sviluppata nei millenni, capace di ricavare vantaggi dal comportamento individuale degli orsi e dei salmoni, che si possono muovere, a vantaggio degli alberi e della terra, che apparentemente non si muovono» (pp. 75-76).

    • Acqua e bellezza

Ecco qua altri legami, a cui non pensiamo abbastanza, quando lasciamo scorrere per minuti e minuti l’acqua potabile per… rinfrescare l’anguria!!!

«[…] entro il 2032 il 50% del mondo avrà perso l’accesso all’acqua pulita. In Asia, questa percentuale sale al 90%. La questione dell’acqua coinvolge profondamente la condizione delle donne. È una questione che riguarda la loro libertà […]. Le ore di marcia, le decine di chilometri percorsi ogni giorno e la fatica che costa portare a termine il compito, affidato alle giovani donne e alle bambine, di andare a cercare un’acqua sempre più lontana dalle abitazioni e dai villaggi, porta anche a un invecchiamento precoce. Un reportage rivela la condizione crudele delle giovani del Bangladesh, uno dei paesi più poveri al mondo, che non trovano più neppure uno sposo perché la carenza di acqua dolce le costringe a bere acqua salata contaminata dall’arsenico, che provoca l’inaridimento e la spaccatura della pelle del viso e del corpo: donne – e anche uomini – vengono evitate e segregate come se avessero la lebbra» (p. 92, e ancora p. 42; il racconto è tratto dal sito di Oxfam: www.oxfamblogs.org), da cui scopriamo che quelle donne poi non trovano marito perché sono «brutte»).

Empatia e «oncotopo»

Ma ci credereste? Esiste un animale transgenico, creato apposta, usato nei laboratori di sperimentazione delle cure per il cancro al seno… è stato chiamato, appunto, oncotopo. L’ho scoperto tra le pagine di questo libro, tra le parole di Rosi Braidotti, che ritiene si debba «allargare il rapporto di sorellanza agli altri esseri viventi schiacciati o sofferenti […]. “l’oncotopo è mia sorella” […] si sacrifica per me, è un capro espiatorio, è una vittima, ma è anche una figura cristologica perché attraverso la sua morte e il suo affrontare la malattia che le viene iniettata, molte donne possono essere salvate: un mammifero in soccorso di altri mammiferi» (p. 57).

Ora, si può essere d’accordo o meno con questa visione, che può sembrare «giustificare» la sperimentazione sugli animali, ma credo che il «cambio di prospettiva» suggerito vada tenuto in considerazione.

Nuovi teologi parlano

«L’umanità, per come si è sviluppata finora, rappresenta il maggior nemico della vita sulla Terra» (p. 70).

Il modello rinascimentale, noi capaci di governare il mondo, è andato «in frantumi. Ne stiamo raccogliendo i pezzi sparsi nella distruzione della natura: i poli che si sciolgono, i pesci contaminati dal mercurio, i continenti di plastica che galleggiano sulle acque dell’oceano» (p. 70).

«Ogni pianta, non solo ogni animale, è degna di considerazione morale. La teologia del patto include la creazione, e non soltanto l’essere umano nella relazione con Dio. […] Moltmann [cfr. nota2, NdR] suggerisce un nuovo paradigma teologico che vada ben oltre il dualismo occidentale e ci aiuti a superare il mito del progresso che si è nutrito del pensiero dualista che vede l’altro, umano o non-umano, come oggetto da sfruttare e ha portato al dominio arrogante sulla natura. Propone, per questo, il teocentrismo cosmico, nel quale i diritti e la dignità della natura siano prioritari e fondanti per i diritti e la dignità dell’umanità» (p. 71).

«Nella prospettiva teologica l’essere umano è posto in relazione con se stesso, con Dio e con l’altro, che include anche la creazione. […] In questa visione i tre soggetti (Dio, umanità e natura) sono sì, intrecciati tra loro, ma anche ben separati. Il custode deve sviluppare quella pienezza di vita che è promessa nel creato» (p. 69).

«Essere custodi della natura significa farsi mediatori […] di tutti i bisogni che entrano in collisione fra loro: il bisogno di sviluppare l’agricoltura per nutrire gli umani e gli animali da allevamento, contro il bisogno di animali e piante selvatiche di avere luoghi non antropizzati in cui vivere. Il bisogno umano di costruire strade di comunicazione, contro il bisogno della natura di costituire una continuità ecologica per sopravvivere. Per esempio, le foreste pluviali tropicali tagliate da strade camionabili, perdono in quel punto la loro capacità di riprodursi e di reintegrare il suolo attraverso il microclima necessario alla loro sussistenza: anche queste opere umane diventano una minaccia alla sussistenza del polmone verde del pianeta. Ogni decisione nella dimensione della custodia del creato crea un compromesso e deve trovare la misura e saper scorgere le conseguenze delle azioni attuali sulle future generazioni di umani e non-umani» (pp. 68-69).

Custodire

Grazie a Letizia Tomassone, l’autrice, scopro che la parola «custode» è la traduzione del termine greco oikonomos, che «implica un ruolo di governo e amministrazione di quanto ci è affidato. Le chiese riformate americane e inglesi […] lo hanno reso con […] stewardship, che indica al tempo stesso servizio e gestione, cura di qualcosa di cui si deve rispondere. Rispondere a Dio, rispondere alla natura, rispondere all’umanità tutta che vive nel nostro tempo e alle generazioni future. Rispondere con atti di giustizia e con la capacità di gestire i conflitti tra interessi diversi, l’abilità di mediare, la conoscenza dell’ambito di intervento e delle conseguenze delle proprie azioni», p. 67.

Boicottare, anche in chiesa

Nel paragrafo animali umani e non-umani leggo che la teologa ritiene il boicottaggio una forma di lotta adatta alle chiese; e lo propone nei confronti della «mostruosa crudeltà della macchina industriale dell’allevamento, dove viene annichilita ogni forma di dignità dell’animale. Una seria capacità di scelta da parte dei consumatori, che si schieri contro lo sfruttamento crudele delle specie animali destinate all’uso umano, potrebbe portare a cambiare i comportamenti delle industrie alimentari e le norme che li governano. La pratica dei boicottaggio ha radici nella resistenza gandhiana ed è stata anche praticata nella lotta per i diritti civili degli afro-americani legata a Martin Luther King. La dignità di questa forma di lotta la rende quindi adatta anche a una pratica all’interno delle chiese» (p. 62).

«Sentire»

Poche pagine prima la teologa (e pastora, attributo quanto mai azzeccato nel prosieguo della lettura) aveva trattato dell’empatia come benedizione «che ci costringe a sentire ciò che essi sentono […]. È interessante notare che, per lunghissimo tempo, nella teologia si è affermato che gli animali non-umani non avrebbero goduto della risurrezione, e che questo non faceva che rendere più importante la responsabilità umana di non farli soffrire su questa terra. […] Riprendo qui l’analisi di Luisella Battaglia [cfr. nota3, NdR] sul dibattito teologico relativo alla sofferenza degli animali; l’autrice si riferisce a un teologo anglicano che è stato forse il primo a scrivere sul diritto degli animali a non subire trattamenti crudeli e che infliggono sofferenze: “Siamo tutti soggetti al dolore – scriveva nel 1776 il teologo anglicano Humphrey Primatt –. L’eccellenza di status non esenta alcuna creatura dal provare dolore, né l’inferiorità rende meno forti le sensazioni. Il dolore è dolore, sia esso inflitto all’uomo o alla bestia”» (p. 60).

Una specie di Programma

«L’eco-teologia cerca di tenere insieme salvaguardia dell’ambiente e aspirazione alla giustizia nelle relazioni tra popoli e persone, e fra umanità, animali e terra. È forse questa la sfida più alta e richiede un cambiamento di stili di vita che faccia compiere una conversione anche all’economia industriale del nostro mondo. Per questo richiede di essere praticata da un numero sempre crescente di persone, fino ad arrivare a una massa critica che faccia la differenza».

Il Consiglio ecumenico ha deciso di non parlare più di sviluppo sostenibile, ma di comunità sostenibili, per porre l’accento sulla necessità di ricostruire legami comunitari che si prendano cura della Terra e insieme possano goderne.

«Una comunità sostenibile lavora per la pace anche contrastando le tecnologie di guerra e cerca il più possibile una coerenza tra ciò che crede e ciò che fa. Praticare la pace e la salvaguardia del creato richiede una grande attenzione ai minuti gesti quotidiani, una seria analisi delle proprie abitudini di vita e il desiderio di costruire comunità che reinventino il mondo e aprano spazi alla speranza. Questo non può essere limitato alle comunità cristiane ma da queste, come da altre comunità umane, può partire», p. 49.

Teologia della liberazione 2

«aderisco pienamente alla proposta di Sallie McFague di considerare la teologia ambientale come una teologia della liberazione del mondo occidentale. Soltanto così noi occidentali potremo imparare a vedere con più precisione sia la nostra collocazione e le nostre complicità, sia le risorse materiali e spirituali che riusciremo a mettere in campo per una trasformazione dei nostri stili di vita coerente con i più elementari criteri di giustizia. Alcuni teologi […] richiamano la nostra attenzione sl fatto che “la logica che portò alla schiavitù e alla segregazione nelle Americhe, alla colonizzazione e all’apartheid in Africa, e alla supremazia bianca nel mondo, è la stessa logica che conduce allo sfruttamento degli animali e alla devastazione della natura”» (p. 44).

Teologie e teologhe

Ma come? Non ce n’è una sola?

E i teologi non sono quasi tutti maschi? Ebbene no, udite udite (e leggete leggete per saperne di più; ci sono anche testi di riferimento e note bibliografiche, nel libro.

«Tra le diverse teologie che il mondo protestante ha attraversato e propone, ve ne sono alcune che rappresentano dei modelli e dei paradigmi portatori anche di comportamenti. Eccoli in breve: Stewardship […]; Teologia del patto[…]; Celebrazione della vita […]; Il Pensiero creazionista […]; Teologia della relazione […]; Teologie ecofemministe […]. A volte queste diverse teologie sono intrecciate tra loro» (pp. 20-21).

«In questo libro voglio soprattutto dar conto della ricerca delle teologhe che hanno dato un impulso particolare alla teologia della relazione e dell’interconnessione di tutto il vivente, anche a partire dall’impegno ambientalista a fianco di popolazioni indigene oppresse in India, Africa e America latina. Mi riferisco ad almeno tre figure emblematiche. […] Vandana Shiva […] la teologa femminista Ivone Gebara […] Wangari Maathai» (p. 17).

    • Parola di teologa

«Siamo tutti e tutte interconnessi e interdipendenti, siamo tutte e tutti ospitate e ospitanti, accolti e accoglienti. La nostra vita stessa è resa possibile dalla rete di piante che producono l’ossigeno e di esseri che condividono i nostro spazi su questo pianeta. La fisica contemporanea si spinge fino al Big Bang, identificando in esso non l’inizio dell’universo ma l’origine di tutto l’esistente a noi conosciuto. Anche noi umani siamo fatti della stessa materia di cui sono intessute le stelle, i corpi celesti, gli esseri viventi e le componenti inanimate del mondo (i minerali). […] L’universo ci insegna l’umiltà necessaria, ci fa uscire dalla pretesa illuminista di poter conoscere, spiegare e controllare tutto. Questa umiltà, accompagnata dal sentimento dell’interconnessione con tutto ciò che esiste, dalla gratitudine per questa rete di esistenza che rende possibile la nostra vita, è la base per una spiritualità del limite, una spiritualità capace di affrontare la richiesta di trasformazione ecologica che viene dal nostro mondo minacciato».

Beatles e Calvino

«Tale principio sabbatico,

ben oltre ogni etica della responsabilità e ogni invito a prendersi cura,

può diventare, “sia per noi che per la terra in cui viviamo, una salvezza […]:

basterebbe, in giorno di sabato,

ritrarsi in sé stessi ed astenersi da ogni intervento sulla creazione,

basterebbe questo ‘Let it be’, lascia che sia”», p. 73.

Ecco alcune linee-guida stilate da uno studioso che ha seguito i sermoni e i commenti biblici di Calvino:

  • non fare danni: un principio che deriva dal codice ippocratico e che può essere sviluppato oggi nel principio di precauzione;

  • esercita moderazione nelle tue richieste;

  • permetti il riposo della creazione: non tutto e non sempre è a tua disposizione;

  • sii attento al prossimo (pp. 48-49)

Quanto è abbastanza?

Quella che avete appena letto è una delle domande-base della semplicità volontaria, insieme a «Mi serve davvero?», che dovremmo porci quando ci troviamo in dubbio se comprare o no la «tal» cosa, oggetto, servizio. Così sono stata molto contenta di trovare questa riflessione – insieme a molte altre – nel libro che recensisco questa settimana.

«La tecnica contemporanea, dopo il breve periodo in cui è servita a migliorare la vita e affrancarla ai compiti più duri della quotidianità (per esempio, con la lavatrice, che ha sostituito il pesante lavoro manuale delle lavandaie), è ormai uno strumento del consumo del mondo e, attraverso la pubblicità, riduce a merce le nostre stesse esistenze. […] l’hi-tech moderno ci cattura e imprigiona nel suo uso perverso, ingiusto e inquinante del mondo. L’etica cristiana, attenta alla violenza e allo sfruttamento nascosti nei modi di produzione di oggetti d’uso comune, deve spingerci verso un utilizzo misurato delle cose stesse. La domanda “Quanto è abbastanza?” deve guidarci nella nostra ricerca di una misura sostenibile nell’uso del mondo» (p. 48).

Una pila per illuminare? No, per «riflettere»

Nel 2011, ci racconta l’autrice, alla Conferenza mondiale sulla pace giusta, in Giamaica, ai partecipanti fu consegnata – durante il culto mattutino – una batteria esaurita. «[…] un gesto simbolico di pentimento per lo spreco di risorse, per l’ingiustizia ambientale, e un gesto concreto di conversione all’uso di risorse rinnovabili» (p. 43).


1 Joseph Sittler, Gravity and Grace. Reflections and Provocations, Augsburg Fortress, Minneapolis 1986

2 Jürgen Moltmann, La giustizia crea futuro, Queriniana, Brescia 1990

3 Luisella Battaglia, Un’etica per il mondo vivente. Questioni di bioetica medica, ambientale e animale, Carocci, Roma 2011

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