Evento Europeo della Gioventù: luci e ombre di un’esperienza

Ilaria Zomer

Il 18 maggio partiamo dalla stazione dei pullman di Torino. Sono 6 mesi che lavoriamo educatori, giovani in servizio civile, volontari e soprattutto ragazzi per partecipare all’EYE (European Youth Event, Evento Europeo della Gioventù) e non ci stiamo andando come uno qualsiasi degli altri 7000 giovani partecipanti, ma ci andiamo come “Gruppo Moltiplicatore” ovvero come gruppo di giovani che il Parlamento Europeo ha ritenuto particolarmente meritevole non solo di partecipare a questo evento ma di parteciparvi in maniera attiva presentando idee, attività e proposte. In qualità di “Gruppo Moltiplicatore” riceviamo un finanziamento dal Parlamento stesso per coprire le spese di vitto e alloggio durante i tre giorni. I genitori ci salutano alcuni si raccomandano e mi consegnano passaporti e permessi di soggiorno, e sì perché nel nostro gruppo ci sono ragazzi e ragazze con origini egiziane, albanesi, russe, siriane, brasiliane, marocchine e rumene, alcuni di loro non hanno la cittadinanza, un particolare a cui nessuno di noi aveva mai fatto attenzione, tutti vanno a scuola, escono con gli amici, si fanno selfie, vanno a ballare, sono attivi in progetti sociali, si interessano agli altri…

Qualche episodio divertente accade già durante il lungo viaggio, nella funzionalissima Svizzera ci troviamo bloccati in autostrada, ad una sola corsia, a causa di un guasto a un mini van, ma dopo una piccola spinta eccoci ripartire a tutta velocità per Strasburgo.

E’ ora finalmente di visitare la città, fra caroselli centenari, vie d’acqua, orologi astronomici e ore e ore di marcia arriviamo al Parlamento Europeo per la registrazione all’evento.

Attrezzati con braccialetti colorati che indicano il nostro ruolo del gruppo, lascio i ragazzi riposare un po’ su un prato, io ho l’incontro con l’ufficio economico del Parlamento Europeo. Mi avvicino un po’ timorosa all’imponente palazzo, tutta quella sicurezza mi fa sentire un po’ insicura, passo controlli e metal detecktor e attendo per mezz’ora a una reception senza che nessuno mi sappia dare indicazioni su dove io debba andare, eppure dalla mail che avevo ricevuto sembrava tutto così semplice e chiaro! Il punto è che un “protocollo” per farmi accedere agli uffici del Palazzo non sembra esistere per cui, perplessi, precettano il primo usciere disponibile che mi accompagna finalmente al fatidico ufficio presso il quale avevo un appuntamento quasi un’ora prima.

Diverse persone si muovono alacremente da una scrivania a un’altra, passano correntemente dal francese, all’inglese, all’italiano in un trilinguismo che mi lascia sul momento incerta su che lingua utilizzare. Presento i documenti, ricompilo ciò che ritengono errato ma ecco che il funzionario dopo un’analisi allo schermo del computer rivolgendosi a me lapidario: “per il partecipante albanese posso fare un’eccezione perché l’Albania è in fase di adesione ma la partecipante russa e il partecipante siriano no, non hanno la cittadinanza, per loro non possiamo rimborsare i costi del viaggio”. “Hanno la residenza”, replico, “mi spiace, possono partecipare certamente all’evento ma non possono accedere ai finanziamenti”. Ciò che può essere logico, lineare dal punto di vista burocratico è tremendo e profondamente ingiusto. Parliamo di alti valori, di uguaglianza, di ruolo attivo dei giovani, di tutti i giovani, ma ancora distinguiamo fra diritti di cittadini di serie A e di serie B, l’Unione Europea che dovrebbe garantire, almeno in queste occasioni, il più ampio riconoscimento delle tutele e dei diritti si ancora invece alle vetuste e ingiuste leggi nazionali sulla cittadinanza. Giovani che vivono in Europa, frequentano scuole europee, lavorano, svolgono volontariato, si relazionano con i coetanei, contribuiscono con il loro attivismo al progresso delle nostre società e che contestualmente spesso arrivano da background economici e sociali più fragili rispetto alla media, hanno meno diritto di partecipare degli altri. Perché? Il tema è stato oggetto di una piccola riflessione nel gruppo, anche perché tutti, a questo punto, dovevamo far fronte ad un budget ridotto e a un’incoerenza di fondo fra il detto e l’agito delle istituzioni europee, e in particolare del Parlamento che fra queste ultime dovrebbe essere quello caratterizzato da una maggiore pluralità e rappresentanza dei cittadini, dei cittadini appunto, e non tutti, avevamo scoperto proprio lì a Strasburgo, eravamo tali.

Ingoiato il boccone amaro e discusso sulla strada di cittadinanza e diritti cominciamo a prepararci al nostro momento, al nostro workshop che si terrà il giorno seguente.

Il teatro dell’oppresso funziona, la preparazione era stata lunga, l’inglese un grosso ostacolo, ma il pubblico è giovane e disponibile, anche se lo spazio non è fra i più adatti, raccogliamo l’attenzione delle persone, che partecipano, tentano delle strategie, su cui avevamo provato e riprovato e falliscono, perché il bullismo, come volevamo dimostrare, non è facile da contrastare da soli, chiudiamo con la nostra proposta, la peer education, e con una piccola attività in cui coinvolgiamo nuovamente il pubblico, qualcuno si ferma ancora per porci delle domande, raccogliere informazioni e farci i complimenti…è andata! Ora possiamo semplicemente partecipare alle proposte altrui.

Visitiamo il primo workshop, Real Time WW1, un progetto della Facoltà di Storia dell’Università di Lussemburgo che risponde alla domanda: se la prima guerra mondiale fosse scoppiata all’epoca di Twitter? Il profilo dà la possibilità di pubblicare materiali, fotografie, articoli di giornale, lettere, notizie strane e inverosimili, accadute un secolo fa come se fossero accadute pochi istanti prima e postate via twitter all’interno di 140 caratteri. Vi suggeriamo di visitare il link Twitter http://twitter.com/RealTimeWW1 del progetto per potervi rendere conto di come questi eventi riescano ad apparire attuali e di come il mezzo Social faccia venir voglia di approfondire, leggere e capire che cosa è successo realmente.

Ci guardiamo nel frattempo intorno, incontriamo molti ragazzi e ragazze, tutti parlano correntemente due lingue, molti sono eleganti, già molto attivi nei propri paesi d’origine, nell’economia, nell’Università, in scuole internazionali o già hanno le loro organizzazioni, insomma molto istituzionalizzati, un dubbio ci sorge, ma questo evento è veramente per tutti? E’ un evento per chi non sa l’inglese? Per chi non è attivo in associazioni che lavorano a livello europeo ma magari fa solo volontariato nell’oratorio o nell’associazione sportiva di quartiere? Quanto questi giovani avrebbero da dire sulla disoccupazione, sull’abbandono scolastico ma anche sulla riqualificazione di quartieri ad opera dei giovani, sul contrasto all’estremismo, sulla sicurezza sociale e ambientale. L’evento sembra riflettere ancora una volta il limite di tutte l’impianto istituzionale europeo, quello soprattutto di essere lontano, lontano dalla vita quotidiana e normale benchè molto incidente su quest’ultima, lontano dalle persone che non parlano l’inglese, il francese o il tedesco, lontano da chi non distingue la differenza fra un’istituzione europea ed un’altra, lontano fisicamente per chi all’estero non c’è mai stato o non può andarci a causa di documenti e permessi. Torniamo in campeggio con il nostro dubbio in tasca a mangiarci un’agognata pastasciutta. E’ giunto il nostro ultimo giorno in città, con i minorenni corro all’attività “ Thinking Global, Acting Local”, è gestito da educatori del Parlamento stesso, l’obiettivo è ragionare sulle prorità del proprio territorio e immaginare come è possibile declinare problematiche globali su contesti locali per comprenderli e agire efficacemente. La facilitatrice ci pone un quesito: se il Parlamento Europeo mettesse a disposizione 100.000 euro per proposte dei giovani come promuovereste la partecipazione dei giovani ai processi decisionali e che cosa proporreste, ci chiudiamo immediatamente a capanello. La media dell’età nel mio gruppo è 17 anni scarsi, il livello di inglese è scolastico, abbiamo un po’ di ansia da prestazione ma contenuti ne abbiamo di sicuro da portare… attendiamo il nostro turno preparandoci un piccolo discorso, non possiamo improvvisare con il nostro inglese stentato! Ed ecco che la facilitatrice invita il gruppo a condividere, chi ci precede sembra essersi studiato i manuali di progettazione europea, parole come raising awarness (sensibilizzare), education, youth empowerment, fighting youth unemployment, sembrano raccogliere il consenso della facilitatrice, sorride compiaciuta, noi siamo più dubbiosi, si parla di 100.000 euro non di centinaia di milioni di euro e poi quelle parole suonano così vuote… Arriva il nostro turno, Valentina, 16 anni, afferra il foglietto, le tremano le mani, “si potrebbe promuovere e sostenere economicamente la partecipazione ad eventi come questi di ragazzi che non hanno la cittadinanza di un paese europeo ma che vivono nei nostri paesi, vengono a scuola e fanno volontariato con noi e anche di ragazzi e ragazze che non vivono in Europa, parliamo di politiche globali ma qua ci sono solo giovani che, secondo leggi nazionali, che spesso riteniamo ingiuste, hanno la cittadinanza”, la supporto raccontando la nostra esperienza e quella dei nostri compagni russi e siriani non finanziati. Valentina aggiunge, “e poi vorremmo che questi eventi venissero sponsorizzati in scuole “normali” in quartieri “normali” dove la gente non parla necessariamente inglese e che venisse promossa la partecipazione di chi le istituzioni europee non le conosce affatto così come non conosce le lingue straniere”, ancora una volta la aiuto a esprimere il concetto spiegando che nella nostra esperienza di lavoro sul territorio l’Evento Europeo della Gioventù era completamente sconosciuto. “Scusa se ho sbagliato la pronuncia”, Valentina mi guarda un po’ affranta, in realtà le sorrido orgogliosa “Sei stata molto incisiva, in realtà, brava!”.

Stiamo per uscire, “Miss, Miss, excuse me!” mi volto, è un’educatrice del Parlamento, “Abbiamo sentito il vostro intervento e ci è sembrato molto interessante e realistico ciò che avete detto. Stiamo raccogliendo i contatti di alcune persone che potrebbero portare delle idee direttamente a Bruxelles, sareste interessati ad articolare maggiormente queste proposte e presentarle nei prossimi mesi?”.

Mi giro verso i ragazzi…”Andiamo a Bruxelles!”.

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