In memoria di Pietro Pinna

Enrico Peyretti

Si è spento a Firenze. Il 13 aprile, Pietro Pinna, che – insieme ad Aldo Capitini – fu il fondatore del Movimento Nonviolento italiano. Pietro, ricordato come il primo obiettore di coscienza “politico” italiano, ha speso la sua vita per la costruzione della nonviolenza organizzata nel nostro Paese.

Fu più volte processato per il suo rifiuto del servizio militare obbligatorio e per vilipendio delle forze armate (“Quattro novembre lutto e non festa”), difeso dall’avvocato torinese Bruno Segre, alfiere del diritto all’obiezione. Dopo il carcere militare, Pinna si impegnò attivamente per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza.

In seguito collaborò con Aldo Capitini e contribuì a organizzare la prima Marcia della Pace Perugia-Assisi, nel 1961 e con il quale fondò nel 1962 il Movimento Nonviolento, assumendone la guida, e nel 1964 la rivista Azione nonviolenta, della quale è stato fino ad oggi direttore responsabile. Pietro Pinna ha avuto sempre chiaro che non si può sconfiggere la guerra senza eliminarne lo strumento che la rende possibile, gli eserciti. E in questo impegno per la nonviolenza specifica – fatto di disobbedienze civili, marce antimilitariste, azioni dirette nonviolente per il disarmo unilaterale – ha speso ogni momento della sua esistenza, coerente e rigoroso soprattutto con se stesso, sempre aperto all’incontro con l’altro nella tensione e familiarità della ricerca della verità. Si trova la sua storia nell’autobiografia La mia obbiezione di coscienza (Edizioni Movimento Nonviolento, Verona 1994). Nel 2012 ha ricevuto dall’Università di Pisa la laurea honoris causa in Scienze per la Pace.

Oggi, i giovani, che tanto gli stavano a cuore, che si affacciano all’esperienza del servizio civile, devono sapere che la loro esperienza di difesa civile non armata e nonviolenta è possibile soprattutto grazie all’impegno di tutta la vita di Pietro Pinna.


Con la morte di Pietro Pinna, salgono a tre, in un mese e mezzo, con Nanni Salio e Fulvio Cesare Manara, i nostri compagni e guide sulla via della nonviolenza, della cultura attiva gandhiana e capitiniana, che ci lasciano soli.

Ma ci lasciano soli?

Essi si aggiungono a tanti promotori ed esploratori del nostro cammino, che li hanno preceduti.

Nanni amava che in gennaio, nell’anniversario di Domenico Sereno Regis, li ricordassimo tutti, consapevoli della loro compresenza nel nostro lavoro, nello spirito che anima la nostra speranza attiva, nella nostra amicizia impegnata.
Continuiamo a ricordarli, perché sono doni vivi dati a noi, ed è nostro debito trasmetterne lo spirito e il lavoro.

Davanti alla morte ognuno di noi ha i suoi interrogativi e le sue piccole o grandi luci.

Tutti insieme abbiamo la decisione di non rassegnarci alla morte data dalla violenza delle armi, delle ingiustizie, delle culture inumane.

Se l’umanità arriverà a non aggiungere morte alla morte, arriveremo forse a imparare che la morte naturale non ci fa perdere nessuna vita che sia viva, che viva per gli altri, per ciò che è giusto.

Ci abbracciamo tra noi con forza, con i nostri amici “andati avanti”.

2 commenti
  1. Grazia Ghione
    Grazia Ghione dice:

    Che dolce questa idea di "ci abbracciamo tra noi con forza, con i nostri amici 'andati avanti'. con la quale concludete l'articolo. E' un abbraccio dell'anima con altre anime: sia che si creda nell'Aldilà, sia che non si creda, si abbracciano le idee immortali di fratellanza e compassione, che aiutano a migliorare il mondo. Grazie.

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