Perché Giulio Einaudi mi licenziò | Renato Solmi


“Le prime avvisaglie della frattura vennero dallo scetticismo di Calvino e Bollati di fronte alle posizioni politiche espresse da me e da Raniero Panzieri il quale rappresentava a Torino il rinnovamento rispetto alla sinistra tradizionale”. L’ “affaire” che divise il comitato. Platone e Brecht: le passioni di Renato, il figlio del poeta. Lo storico e germanista che “scopri” Adorno e Benjamin racconta per la prima volta la sua rottura con lo Struzzo. Causata nel ’63 da un libro di Fofi sull’emigrazione. Il testo che segue è una parte dell’intervento di Renato Solmi pubblicato sull'”Indice”. Il brano si riferisce ai primi anni ’60 del secolo scorso.


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La presenza nella casa editrice e a Torino di una figura singolare di uomo (e di combattente) politico come quella di Raniero Panzieri, che, nel frattempo, era uscito definitivamente dal Psi senza entrare a far parte del Psiup, e conduceva la sua battaglia isolata (ma seguita con estrema attenzione e partecipazione da un gruppo di giovani militanti assiduamente impegnati sul terreno sindacale e in un’ attivita’ di inchieste di carattere sociale e di elaborazione teorica autentica), per una ripresa del movimento rivoluzionario in Italia, su basi completamente nuove rispetto al passato, e in netto antagonismo con la linea politica dei grandi partiti di massa, non poteva fare a meno di suscitare, da un lato, uno stato di tensione e di allarme negli ambienti della sinistra tradizionale, sindacale e politica, e di dare luogo, per contro, a un atteggiamento di viva curiosità e di crescente interesse in tutti quelli che, come me, indipendentemente dalla loro condizione sociale o dalla loro occupazione lavorativa, erano ancora orientati, nonostante tutti gli errori commessi e tutte le delusioni sperimentate in passato, in una prospettiva di carattere rivoluzionario, e che, di conseguenza, erano pronti a recepire e ad accogliere avidamente, non appena si rendessero visibili o percettibili, tutti i segnali che apparivano rivolti in quella direzione, e a rispondere positivamente a tutte le sollecitazioni in questo senso. Verso uno sbocco finale di questo segno (e cioe’ verso la prospettiva dell’ avvento di una societa’ socialista, che avrebbe finito per affermarsi, prima o poi, anche se in forme di volta in volta diverse, in tutte le parti del mondo) sembravano convergere, infatti, tutte le elaborazioni filosofiche e culturali piu’ serie e piu’ articolate, come tutte le analisi economiche e sociologiche piu’ interessanti e piu’ valide: dal pensiero di Lukacs e dei suoi discepoli, sparsi qua e la’ in tutti i paesi europei, a cui mi sentivo, per tanti aspetti, particolarmente vicino, al lavoro dei neomarxisti americani che si raccoglievano intorno al gruppo della “Monthly Review”; dagli sviluppi piu’ originali della scuola di Francoforte ai maggiori esponenti della storiografia economica e sociale in Inghilterra e nel resto del mondo anglosassone; dalle tendenze piu’ avanzate della pedagogia e della psicologia contemporanea alle forme piu’ critiche e problematiche dell’ arte e della letteratura d’ avanguardia. Il fenomeno della contestazione giovanile e studentesca, che si sarebbe manifestato in forma cosi’ drammatica ed esplosiva negli anni immediatamente successivi, era stato preparato da lunga data da questo lavoro di carattere culturale e teorico, che si era venuto compiendo su scala globale e senza alcuna soluzione di continuita’ nel corso degli ultimi decenni, e nel cui ambito si situava, nella sostanza, anche l’attività della casa editrice in tutto ciò che aveva prodotto di meglio nel corso del secondo dopoguerra. Che tutti questi fattori contribuissero a spingermi verso un rinnovato impegno di carattere politico e culturale, ulteriormente accresciuto e rafforzato dall’ assillo costituito dalla minaccia di una conflagrazione atomica sempre possibile, che, per le ragioni che ho detto, ero forse portato ad esagerare e a sopravvalutare oltre il lecito, dovrebbe risultare abbastanza chiaro e comprensibile … .

Ricordo bene, a questo proposito, due episodi che risalgono a questo periodo: una professione aperta di scetticismo, non del tutto priva di accenti canzonatori, ma tutt’ altro che superficiale o improvvisata (come non ci sarebbe nemmeno bisogno di precisare, trattandosi di lui), da parte di Italo Calvino, nei confronti dei timori da me frequentemente espressi in merito alle riflessioni e alle anticipazioni teoriche sulla guerra atomica e sulle sue conseguenze che venivano condotte e sviluppate, in quel periodo su larga scala, e in modi a dir poco impressionanti, da numerosi strateghi e politologi americani (come il famigerato Herman Kahn), riflessioni ed anticipazioni che, a suo avviso, non avrebbero mai avuto la minima possibilita’ di tradursi in pratica e di realizzarsi concretamente sul piano dei fatti (una previsione, come si vede, molto “realistica”, che potrebbe apparire confermata, oggi, da una considerazione retrospettiva degli sviluppi che hanno avuto, o che non hanno avuto, luogo nel corso degli ultimi decenni); e una sincera e – per certi aspetti – sorprendente (data la riservatezza abituale del suo carattere) manifestazione improvvisa di dispetto e di rincrescimento, da parte di Giulio Bollati, per il fatto che io, a suo dire, mi fossi schierato ormai toto corde e senza riserve dalla parte di Raniero Panzieri e avessi rinunciato a sostenerlo e ad assecondarlo, come gli era sembrato, invece, che avessi intenzione di fare in precedenza, nei suoi sforzi di pianificazione complessiva dell’ attivita’ editoriale in una prospettiva di lungo respiro (cio’ che, in realta’ , non era mai stato e non era affatto nelle mie intenzioni, ma che, evidentemente, era stato avvertito o presentito da lui come una tendenza imminente e irreversibile della mia condotta). Avrei fatto meglio a tenere conto di questa avvisaglia, di per se’ fin troppo eloquente, della tempesta che era destinata a scoppiare di lì a poco e che avrebbe determinato la fine subitanea e prematura dei miei rapporti di lavoro permanente con la casa editrice.

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Platone e Brecht: le passioni di Renato, il figlio del poeta Renato Solmi, nato ad Aosta nel 1927, e’ figlio del poeta Sergio. Si laureo’ a Milano in storia greca su Platone. Lavoro’ giovanissimo all’ Istituto di studi storici di Napoli, ancora vivo Croce. Entro’ all’ Einaudi nel ‘ 51 come redattore. Tra il ‘ 56 e il ‘ 59 fu a Francoforte, dove conobbe Adorno e Horkheimer. Nel ‘ 59 torno’ in via Biancamano, da cui venne allontanato nel ‘ 63 in seguito al caso Fofi. E’ stato insegnante liceale a Torino e Aosta. Studioso anche di letteratura e filosofia tedesca, ha proposto, tradotto e curato, per Einaudi, i “Minima moralia” di Theodor W. Adorno (1954) e l’ “Angelus Novus” di Walter Benjamin (1962). Anche dopo le dimissioni ha collaborato con lo Struzzo, traducendo, tra l’ altro, opere di Seymour Melman, Marcuse, Brecht, Lukacs, Gunther Anders, Noam Chomsky.

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L’ “affaire” che divise il comitato – da una parte Norberto Bobbio dall’ altra Massimo Mila e Cantimori – fu drastico. In un bel memoriale uscito nell’ ultimo numero dello “Straniero”, la rivista diretta da Goffredo Fofi, Luca Baranelli racconta un caso editoriale del ’63 entrato ormai negli annali della storia editoriale italiana come un vero e proprio episodio di censura o di autocensura: si tratta della bocciatura einaudiana del libro dello stesso Fofi intitolato L’ immigrazione meridionale a Torino.

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Il libro, rifiutato dalla maggioranza del consiglio editoriale dell’ Einaudi per ragioni di opportunita’ politico – economiche (attaccava la Fiat e “la Stampa” di Torino, ma anche i partiti e il sindacato della sinistra), sarebbe stato pubblicato l’anno dopo da Feltrinelli. Baranelli era allora redattore dello Struzzo e racconta “dall’interno” divisioni e fratture che quel caso aveva provocato nel comitato. Sulle prime lo stesso Einaudi sollecito’ all’ autore una profonda revisione del testo. Che “emendato” venne poi sottoposto ai membri del comitato per le discussioni del 13 e del 27 novembre. Il risultato fu appunto una spaccatura insanabile tra “conservatori” e “avventuristi”, come avrebbe ammesso molti anni dopo Giulio Einaudi con un non celato “senso di colpa”. Da una parte i “censori”: lo storico Delio Cantimori (il piu’ drastico oppositore), Einaudi, il direttore editoriale Giulio Bollati, Italo Calvino, il caporedattore Daniele Ponchiroli, Norberto Bobbio, gli storici Franco Venturi e Corrado Vivanti e altri ancora; dall’altra i favorevoli: il “rivoluzionario” Raniero Panzieri, fondatore dei “Quaderni rossi”, Massimo Mila, lo slavista Vittorio Strada, lo storico dell’ arte Enrico Castelnuovo, lo stesso Baranelli e Renato Solmi. Ora e’ proprio Solmi a raccontare per la prima volta quella vicenda, che porto’ a due lettere di licenziamento inviate da Giulio Einaudi allo stesso Solmi e al consulente Raniero Panzieri, i due piu’ convinti sostenitori della causa Fofi. Il testo di Solmi, un vero e proprio saggio autobiografico, uscira’ nel nuovo numero dell’ “Indice” in occasione della pubblicazione del monumentale volume di Luisa Mangoni sulla storia dello Struzzo dagli anni ‘ 30 agli anni ‘ 60, Pensare i libri (Bollati Boringhieri, pagg. 976, lire 100 mila). Ricorda Solmi: “Quello stesso giorno, o forse il giorno successivo, tornando a casa, ebbi la sorpresa di trovare la lettera di licenziamento stilata con mano incerta e con scrittura approssimativa da Giulio Einaudi, che, fra tutti quelli che avevano preso posizione contro la pubblicazione del libro, era forse quello che appariva maggiormente irrequieto e che dava l’ impressione di essere tormentato dagli scrupoli di una coscienza non del tutto sicura”. Le ragioni addotte dall’ editore: negli aspri scontri sul testo di Fofi, Solmi si era “espresso in termini offensivi nei confronti di altri membri della casa…”. “Quel giorno” era precedente, come conferma la Mangoni, alla prima discussione (13 novembre), e dunque la rottura doveva gia’ essere maturata ben prima della decisione definitiva. “Cosi’ – continua Solmi – in modo del tutto imprevisto e del tutto inatteso per me, si e’ consumato l’esito di una vicenda che avrebbe segnato pesantemente il seguito della mia vita…”. L’ “affaire” del ’63 impresse anche una svolta alla politica culturale dell’ Einaudi: l’ala giovane, rivoluzionaria e operaista, che vedeva un maestro in Franco Fortini, veniva espulsa. Vinceva la “vecchia guardia”. Il che fece dire a Giovanni Pirelli, in una lettera di quei giorni a Einaudi: “Sono convinto che vi sono filoni di ricerca basati sul marxismo leninismo e fermenti di cultura rivoluzionaria che devono organizzarsi al di fuori della Casa editrice e senza legami organici con essa”. (Paolo Di Stefano)

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