“Un elefante in salotto”. Gli USA e il cambiamento climatico…

Elena Camino

Questa espressione – tipicamente inglese – è stata utilizzata più volte negli ultimi tempi per segnalare una presenza ingombrante … ma che nessuno vuole ammettere di vedere… nelle ‘stanze’ in cui si discutono le misure da prendere per ridurre o mitigare il cambiamento climatico in atto.

In realtà di questo ‘elefante’ si era già parlato negli anni passati, ma da parte di chi non aveva peso sufficiente per farsi ascoltare. Un’occasione era stata la Conferenza di Cancun1, nel 2010 (COP16). Poi erano state due ricercatrici, due donne, a pubblicare dati circostanziati sulle dimensioni e sul peso di questo ‘elefante’. La prima è stata H. Patricia Hynes, docente di ‘salute ambientale’, che nel 2011 ha segnalato una serie di problemi ambientali causati dalle attività militari degli USA2. Nel 2014 Tamara Lorinz , dell’International Peace Bureau, ha messo disposizione del pubblico un lungo e circostanziato documento3 nel quale, oltre a denunciare le responsabilità degli apparati militari nel produrre emissioni climalteranti, suggerisce delle misure da prendere per favorire la transizione a comunità ambientalmente più sostenibili.

L’elefante in salotto è la grande macchina bellica degli Stati Uniti, che produce da sola più CO2 di intere Nazioni. Nelle pagine che seguono vi proponiamo la lettura della traduzione (con qualche adattamento e integrazione) di due brevi articoli – usciti nei mesi scorsi – che riprendono i dati pubblicati da Hynes e da Lorinz, favorendo così il processo di ‘ammissione’ della presenza dell’elefante e il ‘riconoscimento’ delle sue caratteristiche.

Ridurre il massiccio contributo del Pentagono al cambiamento climatico (Lenore Hitchler)4

L’asfalto delle strade che fonde per un’ondata di calore in India. Siccità. Inondazioni in Bangladesh. Molti scienziati sono convinti che il drammatico moltiplicarsi di situazioni meteorologiche estreme sia conseguenza del cambiamento climatico.

Parlando delle cause del cambiamento climatico si sottolinea molto il contributo che le single persone possono dare per contrastarlo: dal guidare le auto ibride a fare la spesa direttamente dai contadini. Ma manca una lista esaustiva delle cause e delle soluzioni. Uno dei contributi più importanti all’emissione di gas serra è dato dall’apparato militare. Penso che qualunque discussione su questo problema, se non prende in considerazione l’enorme uso di prodotti petroliferi da parte del Pentagono, non può offrire una prospettiva adeguata per comprendere le cause – e a offrire soluzioni – del cambiamento climatico.

La maggior parte degli Americani non ha idea di quanto petrolio consuma il Dipartimento della Difesa, producendo gas a effetto serra e aumentando il riscaldamento globale. Il Pentagono è attualmente il più grande singolo consumatore di petrolio del pianeta.

Alcuni dati: secondo il World Fact Book della CIA nel 2008 solo 35 Paesi consumavano giornalmente più petrolio del Pentagono. Bloomberg Business riferisce che nel 2011 il Pentagono ha speso 17 miliardi di $ in petrolio. Il Dipartimento della Difesa consuma petrolio in parte per costruire e gestire – in USA e nel mondo – le sue basi militari, che secondo i dati del 2010 erano 4.999. Ogni base richiede combustibili per trasportare equipaggiamenti, personale, cibo, carburante.

In più, ogni settore militare consuma grandi quantità di combustibili per eseguire le proprie specifiche missioni: per esempio, l’Aeronautica degli Stati Uniti usa un quarto del totale mondiale del carburante per aerei.

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Secondo il sito Global Fire Power nel 2014 gli S.U. avevano in totale 8.848 carri armati. Il modello M1 Abrams percorre 0,2 miglia con un gallone5, e usa 252 galloni di combustibile all’ora. I veicoli da combattimento corazzati Cougar fanno circa 9 miglia con un gallone.

Secondo il sito Business Insider, l’apparato militare USA ha circa 13.000 aerei. Gli elicotteri Apache fanno 0,5 miglia con un gallone, i jet F4 Phantom fighter consumano 1.500 galloni all’ora.

Gli Stratocruisers B-52 consumano 3.334 galloni all’ora, e producono 200. 000 libbre all’ora di CO2 equivalente. Per essere riforniti in volo richiedono l’intervento di un KC-10 Extender Aircraft, che consuma 2.050 galloni all’ora ed emette ogni ora 120.000 libbre di CO2 equivalente.

Al culmine della Guerra in Iraq l’apparato militare USA consumava 1 milione di galloni di carburante al giorno.

Secondo Oil Change International (priceofoil.org/) la Guerra in Iraq ha prodotto almeno 141 milioni di tonnellate di CO2: se la guerra fosse classificata come un Paese in termini di emissioni, avrebbe emesso più CO2 all’anno di 139 Paesi messi insieme.

E’ certo che molte persone sono convinte che la sicurezza degli Stati Uniti dipenda dal suo forte apparato militare… ed è vero che alcuni membri illuminati dell’establishment militare sono consapevoli della necessità di modificare la gestione dell’energia … ma non abbiamo tempo di aspettare un graduale cambiamento da parte del Pentagono. La risposta etica è di imporre ai militari di ridurre rapidamente i consumi di combustibili fossili, per contribuire a prevenire una catastrofe climatica.

(Lenore M. Hitchler è membro di Citizens Climate Lobby e di 350.org)

Armi e gas a effetto serra. Gli impatti dell’ economia di guerra sull’ambiente e sul cambiamento climatico (Nick Buxton)6

(Nick Buxton è autore, insieme a Ben Hayes, di un libro appena uscito per la Pluto Press: The Secure and the Dispossessed – How the Military and Corporations are shaping a climate-changed world.)

Non si fa economia di parole nel documento preparato a fine novembre 2015 per avviare la discussione negli incontri di COP 21 a Parigi. 32.731 parole, per essere precisi. Eppure, stranamente, vi è una parola che non viene mai menzionata: “militari”. E’ una omissione ben curiosa, visto che l’apparato militare degli SU da solo è il maggior consumatore mondiale di petrolio, ed è stato il principale sostenitore dell’economia petrolifera globale per decenni.

La storia di come i militari siano scomparsi da ogni sistema di contabilità delle emissioni di carbonio ci riporta agli incontri di Kyoto del 1997. L’équipe di negoziatori USA, sotto la pressione delle alte gerarchie militari e dell’area più aggressiva degli esperti in politica estera – che erano contrari a qualunque forma di restrizione alla potenza militare – ottennero di stralciare il settore militare da qualunque richiesta di riduzione delle emissioni di gas serra. Anche se poi gli USA non firmarono il protocollo, le esenzioni rimasero valide per tutte le Nazioni firmatarie. Anche oggi i report che tutti i Paesi sono tenuti a fare alle Nazioni Unite sulle proprie emissioni escludono i prodotti petroliferi acquistati e utilizzati per le missioni militari all’estero.

Ne consegue che è difficile calcolare le responsabilità delle forze militari nel mondo nella produzione di gas a effetto serra. E’ certo che l’avidità di carburante di mezzi cingolati, jets e droni sta diventando una preoccupazione crescente per gli strateghi della NATO.

Ma la responsabilità dei militari nella crisi climatica va ben al di là dell’uso di combustibili fossili per I carburanti. Come abbiamo assistito in Iraq, i militari, le corporazioni di produttori di armi e I loro potenti protettori politici hanno spinto molto per l’intervento politico per assicurarsi rifornimenti sicuri di fonti energetiche. I militari non sono solo dei grandi consumatori di petrolio, ma rappresentano uno dei capisaldi di una economia globale basata sui combustibili fossili. Che si tratti di Medio Oriente, del Golfo, del Pacifico, il dispiegamento delle forze militari moderne si accentra nelle regioni ricche di petrolio e lungo le rotte di approvvigionamento dei prodotti petroliferi che sostengono l’economia globale dei consumi.

L’espansione dei conflitti a livello globale ha fatto aumentare anche le spese militari: nel 2014 la spesa militare globale ha raggiunto la somma di 1.8 migliaia di miliardi di dollari . Questo denaro rappresenta una enorme sottrazione di risorse pubbliche che potrebbero essere utilizzate per investire in energie rinnovabili e per portare soccorso alle popolazioni più colpite dai cambiamenti climatici. Quando il governo del Regno Unito nel 2014 destina al Ministero della Difesa 25 miliardi di sterline, e 1.5 miliardi al Dipartimento dell’Energia e del Cambiamento Climatico, è chiaro dove stanno le sue priorità.

E’ ironico che, nonostante le responsabilità che hanno nella crisi climatica, alcune delle voci che con maggiore forza richiedono di intervenire sul cambiamento climatico sono proprio i militari, ai quali fanno subito eco i politici. Il Primo Ministro inglese, David Cameron, ha affermato che “il cambiamento climatico costituisce una delle più gravi minacce al nostro mondo. E non si tratta solo di una minaccia all’ambiente. E’ una minaccia alla nostra sicurezza nazionale, alla sicurezza globale…”

Potrebbe essere vantaggioso avere i militari al nostro fianco per fronteggiare questa sfida ambientale… Ma conviene essere cauti: le strategie militari messe in campo riguardano l’aumento di sicurezza dei confini, la protezione delle vie di transito per le multinazionali, il controllo dei conflitti sulle risorse e la repressione delle manifestazioni di protesta. Le vittime del cambiamento climatico vengono trasformate in ‘minacce’, da controllare o da combattere. E non traspare alcuna propensione ad analizzare criticamente il ruolo stesso dei militari e le loro responsabilità nel produrre la crisi climatica.

Addirittura, ci sono evidenze che molti soggetti coinvolti nella rete tra corporazioni, apparati militari, sistemi di sicurezza e potenze industriali vedano già il cambiamento climatico come una opportunità. Le industrie di armi e di sistemi di sicurezza vivono grazie ai conflitti e all’insicurezza, e il cambiamento climatico promette altri nuove opportunità finanziarie in questa perdurante Guerra al Terrore.

La potentissima impresa inglese BAE Systems è stata sorprendentemente esplicita in uno dei suoi report annuali, in cui si legge “Nuove minacce e nuove arene di guerra pongono richieste senza precedenti alla forze militari, e presentano alla BAE Systems nuove sfide e opportunità”.

Una delle lezioni di questi ultimi anni per i movimenti impegnati nell’affrontare il cambiamento climatico è stata quella di far capire che non basta fare pressione sui politici affinché facciano le scelte giuste. Bisogna contrastare, delegittimare e indebolire le corporazioni che impediscono il cambiamento.

E’ tempo di prestare attenzione – nei discorsi sui cambiamenti climatici – all’elefante che si aggira nelle sedi discussione, ed è tempo di chiedere che l’adattamento ai cambiamenti climatici sia guidato dai principi dei diritti umani e della solidarietà, invece che dal militarismo e dal profitto delle grandi imprese.


Altri contributi sullo stesso tema:

Nelson Joyce The Pentagon’s Carbon Boot Print December 4, 2015 http://www.counterpunch.org/2015/12/04/the-pentagons-carbon-boot-print/

Smith Gar The Pentagon’s Hidden Contribution to Climate Change January 18, 2016 http://www.earthisland.org/journal/index.php/elist/eListRead/the_pentagons_hidden_impact_on_climate_change/


Note

1 Non-Governmental Organizations’ Resolution Presented at the Conference of the Parties (COP) 16 in Cancun, Mexico in 2010 http://templeofunderstanding.org/wp-content/uploads/2012/09/Cancun_FINAL_Sept_28.pdf

War = Climate Change = War = Climate Change… Time to Break the Cycle!

Militarism/War: Elephant in the Living Room

2 Hynes P.H., Pentagon Pollution, 7: The military assault on global climate. 2011 (http://climateandcapitalism.com/2015/02/08/pentagon-pollution-7-military-assault-global-climate/)

3 Lorincz Tamara Demilitarization for Deep Decarbonization: Reducing Militarism and Military Expenditures to Invest in the UN Green Climate Fund and to Create Low-Carbon Economies and Resilient Communities

http://ipb.org/uploads/documents/other_docs/Green_Booklet_working_paper_17.09.2014.pdf

September 2014 International Peace Bureau 41 rue de Zurich 1201 Geneva Switzerland Tel : +41 22 731 64 29

4 Hitchler Lenore Shrink the Pentagon’s Massive Contribution to Climate Change (This article was first published in The Capital Times) http://www.middlewisconsin.org/shrink-the-pentagons-massive-contribution-to-climate-change/

5 Un gallone vale circa 3,8 litri. Una libbra è circa 453 grammi.

6 Buxton Nick Guns and Greenhouse Gases. Impacts of the War Economy on the Environment and Climate Change

13 November 2015 http://www.globaljustice.org.uk/blog/2015/nov/13/elephant-paris-%E2%80%93-guns-and-greenhouse-gases


(traduzioni e adattamenti di Elena Camino)

3 commenti

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  1. […] Il peso ambientale dell’apparato militare a livello globale non era stato preso in considerazione nei summit precedenti: neppure a Parigi, nel 2015, nonostante le proteste di pacifisti e ambientalisti, quando era stato reso esplicito il contributo del mondo militare quantomeno alla produzione di CO2 (si veda per es. Un elefante in salotto). […]

  2. […] della produzione di gas serra del comparto militare.  Il problema è stato posto anche sul sito del CSSR, già nel 2016, ma gli sforzi per includere le attività militari nelle valutazioni delle […]

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