Mediazione di polizia: un’idea ormai d’attualità

Johan Galtung

La prima volta che sentii parlare di mediazione di polizia fu in Giappone. Ogni isolato ha una cabina di polizia, per il pattugliamento e gli arresti, e per la mediazione. Una rissa per strada, una lite rumorosa al piano di sopra, e li si porta alla stanza di mediazione e si offre loro un tè, con poliziotti con anzianità di servizio e molta esperienza come mediatori.

Il sistema statuale emerse nel 17° secolo, con istituzioni per l’uso della forza: una era adibita all’uso interno e un’altra per l’uso esterno, rispettivamente la polizia nazionale e l’apparato militare nazionale, intendendosi per nazionale quello della nazione dominante nello stato. Il ruolo della polizia era proteggere le élite dal furto e dalla violenza della gente, crimini per la legge. il ruolo dei militari era proteggere reciprocamente gli stati. Sia la polizia sia i militari occasionalmente diedero inizio alle violenze.

La descrizione appena fatta vale ancora benissimo per gli USA. Gli “scandali bancari” ci danno la percezione di una “giustizia” di classe. La polizia pattuglia le strade, non le sale di consiglio. E niente arresti.

Ma le guerre fra stati stanno scemando; cedono il passo a guerre fra nazioni dominanti e altre entro gli stati, e fra civiltà dominanti e altre in ambito mondiale; con l’utilizzo di terrorismo di stato e non.

Come sono arrivate a queste idee le élite “moderne”? Dagli intellettuali. Hanno preso da Tucidide che gli ha detto che le guerre ci saranno sempre, e von Clausewitz che le ha banalizzate, e da Hobbes che gli ha detto che le persone nascono violente e devono essere controllate, e Machiavelli che gli ha detto che il principe dev’essere temuto, non amato. Oppure hanno deciso per conto loro e pescato degli intellettuali che confermassero.

I militari avevano un’agenda: combattere per la vittoria, la resa incondizionata del versante opposto, dettandone le condizioni; chiamandola pace.

La polizia aveva un’agenda: scoprire, arrestare, tribunale, confessione, sentenza, punizione; chiamandola giustizia. Teoria: prevenzione individuale e generale, punizione per non farlo di nuovo e come ammonimento agli altri. Tutto falso, tutto assurdo. E guerre e crimini sono ancora fra noi.

Ma perché abbiamo diplomazia e mediazione fra stati ma solo di recente alternative all’agenda poliziesca? Risposta brutale e semplice: perché non c’è abbastanza crimine. Il livello è tollerabile. Fu necessario Al Capone perché entrasse in gioco la mediazione, con qualche reciproca perdita e beneficio.

La prima volta che sentii parlare di mediazione di polizia fu in Giappone. Ogni isolato ha una cabina di polizia, per il pattugliamento e gli arresti, e per la mediazione. Una rissa per strada, una lite rumorosa al piano di sopra, e li si porta alla stanza di mediazione e si offre loro un tè, con poliziotti con anzianità di servizio e molta esperienza come mediatori.

La seconda volta fu sulla costa del Malabar in India. La polizia era stufa marcia di arrestare, citare in giudizio ecc., e poi ri-arrestare gli stessi dopo il loro rilascio dal carcere, pronti per nuovi crimini. Iniziarono allora una mediazione su vasta scala per riportarli direttamente dal (piccolo) crimine di nuovo in società, e a quanto pare con risultati positivi.

Questa nuova agenda della polizia è adesso coraggiosamete propugnata nell’opera importante svolta nella regione di Valencia in Spagna. La regione è nota non per i delitti dei pesci piccoli ma per quelli economici e politici dei grossi: corruzione massiccia e scandali politici. La strada per una minor delinquenza passa per la spoliazione del crimine del suo carattere di classe. La Spagna sta facendo meglio degli USA: si puniscono i pesci grossi. Proprio come la strada per abolire la guerra passa per la spoliazione delle guerre del loro carattere di classe, condonando le guerre delle grandi potenze (munite di veto), non quelle delle piccole.

C’è una strada di mediazione per la polizia ispirata alle esperienze con la mediazione scolastica. L’idea base è la distinzione fra fini e mezzi. Quel che scoprimmo era che gli allievi, dalla materna in poi, spesso avevano obiettivi accettabili, anche se non molto consapevoli. Però i mezzi erano inaccettabili. Escogitammo allora la domanda per il bullo/la bulla: “quel che hai appena fatto è del tutto inaccettabile, ma perché l’hai fatto?” Una domanda quanto mai raccomandabile per i delitti. La mediazione comincia da dentro alle persone.

I bambini non nascono con concatenazioni adeguate e accettabili di fini-mezzi. Devono essere insegnate, facendo sbagli. Chi finisce in prigione è sovente non dei più svegli – prova ne sia che si fanno beccare – oppure si trova sul versante sbagliato dello spartiacque di classe.

Allora, perché si hanno furti e violenze, per focalizzarci di nuovo su queste categorie delittuose? Se ne occupa la criminologia, in via di principio. Un ventaglio di risposte: dal bisogno di nutrire la famiglia al desiderio di celebrità, la fama da famigerato anche solo per un giorno o due. L’impulso a essere notati, anche se come malfamatii. Conquistarsi i titoli dei giornali.

Il negativismo dei media, focalizzato su quel che non va, le guerre e i delitti, gioca un ruolo; come nel promuovere le guerre. Negando loro i titoli in prima pagina potrebbe essere utile.

La ricerca di qualcosa di avvincente, rischioso, il mettersi alla prova, farla in barba alla polizia. E l’aspetto di guerra di classe: rubare a “quelli”, la violenza contro “loro” in alto, a mo’ di rivalsa per quel che fanno a “noi”, “dargli una lezione” non dovrebbe essere in alcun modo sottovalutato.

Alternative? Senza dubbio gli sport hanno un ruolo importante per la fama, sia quelli individuali sia di squadra. Così la democrazia come modo nonviolento di promuovere agende politiche: come lavoro politico. Come pure la resistenza nonviolenta ai crimini delle élite.

E così fa la guerra, passando al versante negativo: facendo combattere e morire le classi inferiori per le élite. E così fece una risposta che andò per la maggiore in Occidente: élite e gente comune a cooperare e avvantaggiarsi della violenza e del furto ai danni di altri popoli; nella schiavitù, nel colonialismo, imperialismo, capitalismo di rapina. Il risultato netto è infinitamente peggiore che i delitti comuni.

La polizia può davvero svolgere questo lavoro di contattare i criminali, anche quelli potenziali? La polizia ha anche il ruolo di protezione, sa donde viene il crimine; può andare alla fonte. Cionondimeno, dev’essere ovviamente ben addestrata e pagata per questo nuovo difficile aspetto del proprio lavoro. Parlando con loro, chiedendo che cosa vogliano, quali sono gli obiettivi; indicando mezzi alternativi, facilitando.

Da bravi mediatori bisognerebbe provare con quei grossi belligeranti come i taliban, Al Qaeda, il Dipartimento di Stato, il Pentagono, adesso anche la Francia, la Russia e l’ISIS; tutti quanti che ancora sperano che la propria violenza “dia loro una lezione”.

Possa la mediazione di polizia prender piede e fiorire. Per società più pacifiche. Per la pace in generale.


25 gennaio 2016
Titolo originale: Police Mediation: An Idea Whose Time Has Come

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


 

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