Lo spirito del tempo – Giuseppe Fumarco


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Premessa

Per chi è nato come il sottoscritto nell’immediato dopoguerra (dopo la “seconda guerra civile europea”, cosiddetta seconda guerra mondiale..) è certamente frustrante, deprimente, ma più ancora stupefacente, incredibile, inaccettabile, ecc.. constatare quanto sta succedendo oggi nel mondo, sotto questo cielo.

La mia generazione ha creduto nella laicità, nel socialismo radicale – un socialismo non certo ‘eversivo’ ma che sa andare alla radice delle profonde diseguaglianze alla ‘partenza’ dei diversi esseri umani per cercare di ammortizzarle, di compensarle, ecc.. attraverso l’intervento attivo di uno stato protettore dei deboli, degli esclusi, del proletariato, dei lavoratori dipendenti più in generale, ecc.. – ed ha creduto nella bellezza della vita.

Abbiamo preso molti granchi e molte bastonate psicologiche, prima che politiche.

Personalmente la lettura sistematica di Edgar Morin (dopo quella universitaria dei classici del marxismo e della scuola di Francoforte..e tantissime altre) mi ha convinto di quanto sia ingenuo e infantile coltivare il regno di Utopia ma, soprattutto, mi ha fatto riflettere profondamente sul dualismo intrinseco in ognuno noi, nella specie umana tutta, tra il versante sapiens ed il versante demens della struttura psico-socio-antropo-culturale della specie homo. E ancor più come sia tutta la realtà e gli stessi accadimenti caratterizzati da questa dualità dialogica (unità di due logiche che possono contraddirsi ma sono allo stesso tempo complementari, concorrenti e antagoniste).

Ma questo non basta per recuperare un po’ di ottimismo e credere ancora nella bellezza della vita.

Personalmente poi non ho mai accettato quelle “consolazioni psicologiche” che vengono dalla credenza mitologica nell’al di là, nella vita ultraterrena, nella salvezza, ecc…; promesse fatte dall’insieme delle credenze (religiose e/o spirituali che siano), a tutte le latitudini. Anche se negli ultimi anni ho sempre più apprezzato il contributo all’eticità e al maggior ottimismo vitalistico che tali credenze riescono a dare – svolgendo quindi anche una funzione positiva – a molte persone che frequento e stimo.

L’ “Esprit du temps

Abbiamo intitolato questo intervento con una espressione, forse abusata, che si abbellisce un po’ nella versione francese di quell’“Esprit du temps” che è tra l’altro il titolo di uno dei tanti saggi del nostro Autore di riferimento (Edgar Morin, appunto).

Occorre certo riflettere sullo “spirito dei nostri tempi”. Siamo nel XXI secolo ed abbiamo abbandonato da poco il XX. Che cosa ci aspettavamo? E …a cosa stiamo assistendo?

Ci tengo subito a precisare che appartengo alla schiera di coloro i quali non si aspettano più da tempo il “Progresso dell’umanità” e nemmeno “Le magnifiche e progressive sorti” di quella bella umanità legata in passato al “Sol dell’Avvenir”. Dico ciò con profondo dispiacere perché so quante persone vi hanno in cuor loro creduto, in perfetta buona fede.

Nel quadro dello squallido revisionismo storico al quale stiamo da tempo assistendo si dimentica quanto la seconda metà dell’800 e la prima metà del ‘900 (in realtà, tutto il “secolo breve”) abbiano visto, non solo come vincitori, ma molto più spesso in qualità di vinti, quei “comunisti’ che in tanti paesi hanno subito un vero e proprio martirio (a quando un volume sulla martirologia dei comunisti del XX secolo?).

Ma, quasi di colpo, la contrapposizione laica e ancora positivista tra economie capitalistiche caratterizzate da sistemi politici pluripartitici a “democrazia rappresentativa” ed economie pianificate a partito unico coniugato al “centralismo democratico” ha lasciato il posto ad altro.

Ad ‘altro’ non necessariamente migliore; anzi, direi, assolutamente più osceno, assolutamente ‘peggiore’ da ogni punto di vista.

Ma su questa “alterità” avremo modo di tornare in seguito in questo intervento.

Restiamo per un momento nella seconda metà del ‘900. Ci preme sottolineare come dal secondo dopoguerra in poi le guerre cosiddette ‘locali’ non siano mai cessate e come ciò sia storicamente e contingentemente dovuto – lo si voglia riconoscere o meno – alla logica imperialista che gli USA hanno assunto nel mondo in piena consapevolezza e in piena volontà di dominio.

Questa ‘attitudine’ della più grande potenza “occidentale” ha portato inevitabilmente alla chiusura difensiva dell’ex URSS che si sentiva (a ragione) circondata da tale ostilità.

La Cina ‘rossa’ dal canto suo non avrebbe allentato la morsa intorno all’URSS in quanto i due tipi di socialismi erano tra loro etnicamente e culturalmente incompatibili nel lungo periodo (si è visto infatti la totale diversità delle traiettorie storico-politiche che questi due paesi hanno successivamente conosciuto).

La galassia sovietica precipitava così ineluttabilmente in un circuito involutivo che la spingeva non solo ad abbandonare ogni pretesa di “centralismo democratico” per un totalitaristico “centralismo burocratico”, ma a diventare altresì ostaggio di capi di partito autoritari, se non paranoici, ecc.. ecc..

Il tentativo di uscire da tale circuito perverso si dissolveva con la pseudo liberalizzazione post gorbachoviana che con Eltsin tocca il punto più basso della credibilità (e dignità) russa nel mondo. Insomma con il biennio 1989/91, l’esperienza della “costruzione del socialismo in un paese solo” aveva fine … almeno per ciò che concerne la Russia. Solo con Putin (e di nuovo: ci piaccia riconoscerlo o meno) la Russia riconquista una statura da vera potenza mondiale.

Ricordiamo qui ancora che con il biennio 1989/91 finiva allo stesso tempo un quadro internazionale caratterizzato da una relativa (si fa per dire..) stabilità garantita dalla “guerra fredda” tra i due blocchi. Nuovi progressivi orizzonti si stavano profilando …

Un po’ di geopolitica mediorientale

Cosa succede a quella vasta e disomogenea area del mondo che, subiti i colpi di coda del colonialismo, del post-colonialismo e della guerra fredda, aspira alla rinascita dell’orgoglio e della dignità dei propri popoli all’interno di una ritrovata identità nazionale?

I casi sono troppi e occorrerebbe andare a ripescare qui troppa storia. Non c’è lo spazio.

Possiamo soltanto sottolineare che tanto nel Maghreb quanto nel Mashrek la via ‘nazionalistica’ tentava una sua realizzazione nel quadro autoritario vuoi di un capo militare, vuoi di una monarchia – che poteva essere tanto illuminata quanto ultraretrograda – appoggiandosi in pochi, ma non sporadici casi, ad una laicità espressa da quel “socialismo arabo” del quale qui in Europa e in occidente non si è saputo assolutamente nulla.

Per ciò che riguarda più specificamente il Mashrek si è parlato di partito Ba’th e vale la pena sottolineare che tanto l’Irak quanto la Siria avevano lasciato uno ‘spazio’ a tale formazione politica; diverso il caso della Libia, somma di tribalismi che solo l’autoritarismo di una quadro uscito dalla cerchia militare avrebbe potuto tenere a bada (Mu’ammar Gheddafi).

Altrove le monarchie ancora prevalenti (è il caso della Giordania e della monarchia hascemita, del Marocco e della monarchia costituzionale alauita, ma anche quello della dinastia autoritaria ed islamicamente ultraortodossa dei Saud in Arabia Saudita) impedivano la penetrazione delle idee arabo-socialiste.

I paradossi della Storia sono tanti ma qui ne tocchiamo con mano uno che in pochi osano affrontare. La laicità sotto l’egida di un’autorità più o meno militare (e comunque facente perno sulle forze armate) ha caratterizzato le ri-nazionalizzazioni riuscite nell’evoluzione post-coloniale di tutto il Medio Oriente, e non solo dei già citati casi della Siria (che non ha un capo militare..) e dell’Irak, ma anche di paesi non certo di secondo ordine, quali la Turchia e l’Egitto, e, spostandoci nuovamente nel Maghreb, l’Algeria.

Forse il caso più eclatante – e che ci riguarda molto da vicino – è il caso della Turchia, paese nel quale la laicizzazione sembrava in un primo tempo riuscita sotto l’egida di un grande personaggio storico quale Ataturk; alla sua morte prendono le redini del governo direttamente le forze armate ma, infine, l’ex impero ottomano si avvia tristemente con Erdogan verso la re-islamizzazione.

Da sottolineare pure il caso dell’Egitto – che presenta forti analogie con l’Algeria – paese nel quale, dopo mille traversie, ci si ritrova nuovamente sotto una dittatura militare (presieduta dall’ex comandante in capo delle Forze armate Abd al-Fattah al-Sisi); la consonanza con l’Algeria è che in entrambi i paesi si è assistito ad una vittoria elettorale dei partiti filo-islamici ma le forze armate hanno disconosciuto tali risultati e sono tornati al potere con veri e propri “colpi di mano” (i ‘golpe dei paesi sudamericani).

Per ultimare questa panoramica un rapido accenno alla Tunisia, piccolo paese arabo compresso tra la Libia e l’Algeria che, in seguito ad una sommossa di piazza, riesce ad eliminare il dittatorello del momento (Ben Alì, che non era un militare..) e promuovere un sistema di rappresentanza democratica pluripartitica in stile quasi-occidentale. Una Svizzera nel Maghreb?

Non abbiamo di proposito finora parlato dell’Iran; ma il caso iraniano è molto particolare e ora dobbiamo introdurlo per via della profonda frattura tra la corrente sciita (minoritaria) e la corrente sunnita (maggioritaria) in seno all’Islam; frattura che è all’origine di buona parte dei rischi bellici attuali in tutta l’area e che vede l’Iran in una situazione strategica a cui occorrerebbe, da parte dell’opinione pubblica occidentale, prestare una maggiore attenzione.

La grande faglia del mondo islamico

Le grandi “chiese” hanno sempre avuto difficoltà a mantenere uniti i loro credenti una volta scomparso il leader propulsore della nuova fede; gli eventi scismatici sono dunque una ricorrenza abituale nella storia delle religioni.

La grande faglia che ben presto si è aperta nell’islam dopo la morte del ‘Profeta’ è stata quella tra gli sciiti (la minoranza: essenzialmente presenti in Iran e nell’Iraq del sud, ma con presenze significative anche in Yemen, ecc …) e la maggioranza sunnita.

La cosa non è per nulla casuale ed ha, come spesso succede in questi casi, un’origine etnica.

Gli iraniani non sono ‘arabi’. Anche oggi per chi viaggia in Iran (che è poi l’antico impero persiano) non deve commettere l’errore di chiamare arabi gli iraniani .. perché si offendono. Loro sono i “persiani”, una etnia indoeuropea molto diversa dai beduini del deserto arabico che scatenarono la Jihad! Vero è che subendo fin da subito l’invasione delle armate del Profeta dovettero sottomettersi, ma compensarono tale sottomissione ritagliandosi lo spazio di uno scisma!

Ma qui è anche il caso di richiamare rapidamente come la storia del’Iran è legata alle perverse intromissioni destabilizzanti messe in atto in era post-coloniale dagli occidentali (gli anglo-americani, nello specifico). Furono loro che, con l’appoggio dell’onnipresente CIA, orchestrarono il colpo di stato che nel ‘53 spodestò quel Mossadeq che era stato eletto nelle prime libere elezioni di quel paese (addirittura con l’appoggio del Tudeh, il partito comunista iraniano) per insediarvi lo shah Reza della dinastia Pahlavi (per noi, in occidente, semplicemente lo ‘Scià’).

La storia successiva non possiamo certo ripeterla qui, ma la sequenza di errori (e ‘orrori’ della sua polizia segreta, la Savak) commessi dallo Scià portò a crescenti, tumultuose rivolte di piazza che culminarono con l’avvento al potere dell’ayatollah Ruhollah Khomeini (1979). E’ storia recente che molti ricordano.

Ma già allora ‘qualcuno’ aizzò il dittatore sunnita di turno affinché aggredisse militarmente l’Iran con l’idea di spazzarlo via in quattro e quattr’otto; ci riferiamo al ben noto Saddam Hussein, armato e plagiato dall’occidente (sic!). Le cose non andarono esattamente così: la guerra si impantanò nelle paludi dei confini meridionali Irak/Iran (Bassora) e durò otto anni (1980/1988). Saddam rischiò addirittura di perdere clamorosamente (un destino che ebbe a ripetersi – la “coazione a ripetere” degli psicologi – in forma diversa con l’invasione del Kuwait; ma lì intervennero direttamente i ‘liberatori’ americani).

Il punto sulla situazione attuale

Dopo la disastrosa seconda guerra in Irak di Bush figlio (2003/2011), in ciò plagiato dai fascisti repubblicani della Casa Bianca alla Dick Cheney e Donald Rumsfeld..) l’Irak si squagliò e nella disgregazione mortale di quel paese covarono le ceneri di una rivolta isterica (e pazza) dei tanti sunniti umiliati; in particolare – come già sottolineato – di quei quadri dell’esercito. stupidamente dichiarato ‘sciolto’ subito dopo la presa di Bagdad da parte degli americani, e bisognosi di ritrovare un’identità che l’estremismo islamista era lì pronto ad offrirgli.

A ciò si aggiunga la finzione delle cosiddette “primavere arabe”: finzione in quanto ad eccezione della Tunisia (che le innescò) e dell’Egitt – paesi nei quali esse assunsero realmente i toni di rivolte di piazza – altrove si trattava di piccole minoranze di giovani borghesi che si coordinavano utilizzando Internet: sedizioni più virtuali che reali che si contagiavano l’un l’altra.

Esse in ogni caso gettarono altro carburante sul fuoco, facendo intuire all’estremismo islamico che era l’ora di entrare in azione.

In Siria fu subito evidente che Bashar al-Assad non avrebbe facilmente accettato l’idea di “farsi da parte”. D’altronde, perché? La minoranza alawita (di cui Assad padre e figlio facevano parte) aveva amministrato il paese con durezza ma garantendo la sostanziale laicità dello stato ed un certo accettabile equilibrio tra le diverse componenti etniche e religiose del paese.

Inoltre la Siria – che aveva combattuto contro Israele subendo l’occupazione delle alture del Golan – ospitava diverse campi profughi palestinesi e garantiva una pace “de facto” nel vicino e martoriato Libano. Perché allora accanirsi contro “il dittatore Assad”? Forse che nel sudamerica di prima dell’89 qualcuno negli ‘States’ si era mai preoccupato delle orribili dittature sudamericane sostenute proprio dagli USA? E quale giornalismo becero e acriticamente filo-americano ha dato la stura all’idea insensata dell’esportazione del metodo occidentale di governo detto “democrazia rappresentativa” in quei paesi? Invece di preoccuparsi degli incredibili deficit di democrazia che stanno dilagando proprio in Europa e in Nordamerica? La democrazia non si esporta; ogni popolo, se ne è convinto, deve costruirsela da sé a caro prezzo e lottare ogni giorno per non lasciarsela scappare,in quanto la vera democrazia non è mai una conquista irreversibile.

Nasce l’ISIS, muore la Siria

Nelle pluritragedie medio-orientali nasce così una realtà che qualcuno chiama Daesh (Al dawla al islamiya fi al Iraq wal Sham) ma che in TV ci vendono come ISIS (Islamic State of Iraq and Siria); un tentativo di ridisegnare le mappe coloniali e creare un vasto califfato che includa Siria ed Irak … ed altro ancora (ora stanno invadendo la Libia, già nel caos totale per conto proprio).

La somma della disgregazione della società civile dell’Irak e della stupida politica americana di dare spazio ad uno scita (ex esiliato in Iran ed oppositore di Saddam Hussein, Nuri al-Maliki) che si è messo a governare con una sorta di volontà di rivincita sui sunniti (tra i quali molti ex ufficiali del disciolto esercito di Saddam) hanno fatto il resto.

Anziché tentare una riunificazione, l’azione dissennata di Maliki spacca l’Irak in tre regioni etniche: un’area curda al nord (quando ci ricorderemo che i curdi sono una “Nazione” ed hanno quindi diritto ad un loro “Stato”?), un’area sunnita al centro ed un’area scita al sud .. grosso modo.

La Libia si è già dissolta in aree tribali. In Siria con l’appoggio di molte potenze occidentali e, soprattutto, della Turchia, dell’Arabia Saudita e del Qatar si scatena l’inferno.

La Siria non è oggi solo un paese dilaniato da anni ed anni di guerra civile ma è di fatto una nazione che non esiste più; i milioni di morti e le centinaia di migliaia di profughi civili siriani che sbarcano sulle nostre coste (o tentano di superare i fili spinati magiari e quant’altro) ce lo dimostrano.

La Siria è il paradigma e la rappresentazione di tutto il male che è derivato dai dissennati interventi occidentali nel medio oriente, e, prima di tutto, la conseguenza di quella spina nel fianco del mondo arabo che si chiama Israele; questo stato, nato abusivamente nel ’48 e figlio dei complessi di colpa euro-occidentali nei confronti degli ebrei e della shoah. Una nazione sorta nell’ideologia sionista del “grande ritorno”, forgiatasi con gli attentati terroristici dell’Irgun ai britannici e con le sparatorie contro i pastori e gli agricoltori palestinesi per farli sloggiare

Tutto questo trascina inesorabilmente con sé l’irrisolta “questione palestinese”, un’ingiustizia permanente esposta tutti i giorni in bella vista nei milioni di televisori di tutto il mondo arabo.

La mancanza di buon senso e di buona volontà di ‘questa’ Israele (e soprattutto dei suoi governanti attuali, dopo l’assassinio di Rabin che l’aveva portato ad un passo dalla pace) hanno reso l’ex Palestina un innesco incendiario permanente. I morti irakeni, siriani e palestinesi, tutti questi morti e queste società martoriate sono in qualche modo sulla nostra coscienza e ci presentano il conto.

Un nuovo “asse” si costituisce

Con l’ingresso della Russia nell’agone militare gli eventi si accelerano e si squilibrano ulteriormente. Intanto .. perché la Russia?

In primis la Russia era alleata da sempre del regima alauita degli Assad (fin dai tempi dell’ex URRS); secondariamente, secondo un corretto se pur discutibile criterio di diritto internazionale (un diritto mai rispettato, in questi ultimi decenni, soprattutto dagli USA e da Israele), Assad – capo di stato “de iure” della Siria – ha esplicitamente chiesto a più riprese l’aiuto all’ex alleato; terzo: nelle file del sedicente ISIS si sono intruppati molti ceceni e kosovari e la Cecenia mussulmana in particolare è una brutta gatta da pelare per i russi (vedi attentati efferati nelle scuole e in un teatro di Mosca e la risposta brutale dell’esercito); quarto: per ragioni strategico militari Putin cerca di evitare l’accerchiamento che la NATO, dagli anni ’90 in poi, ha messo sistematicamente in atto nei suoi confronti quale strategia di “contenimento” (il perché la Russia, non più sovietica e non più “comunista”, sia da “contenere” – come peraltro è da contenere la Repubblica Popolare Cinese – è argomento che si lega alle logiche imperiali nordamericane a cui abbiamo fatto cenno all’inizio di questo intervento).

Infine l’aereo abbattuto sui cieli del Sinai (abbattimento esplicitamente rivendicato da ISIS) ha dato il fuoco alle polveri. Putin ha prima morso il freno ed è alla fine intervenuto.

Un nuovo asse è così oggi ben delineato: la Russia, attraverso l’alleanza tattica con gli sciti iraniani e a supporto di ciò che resta dell’esercito di Assad, costituiscono il nuovo ‘asse’ anti-ISIS sul versante nord-orientale. A nostro avviso, tra l’altro, l’unico vero asse contro l’impazzimento antistorico e ri-feudalizzante costituito dalla paranoia di Abu Bakr al-Baghdadi e di tutti quelli che l’hanno seguito su questa strada efferata. E i nostri eroi occidentali che fanno?

L’alba di una nuova guerra fredda globale

Tutto era già nell’aria. Dopo i brindisi per la caduta dell’”impero sovietico” e il rilancio neoliberistico anticipato dal duo Reagan-Tatcher, l’Impero Americano individua i suoi nuovi nemici – raccolti dalla definizione di Bush Junior con l’epiteto di “stati canaglia” – in alcune nazioni specifiche e ben individuate.

In primis la Corea del Nord (ma lì c’è un problema: sia per l’atomica – probabilmente già in mano ai nordcoreani – sia per una maledetta geografia che vede la Corea del Nord ‘contenuta’ al 38° parallelo a sud dalla Corea del Sud ma, per il resto, ‘sconfinante’ con il vasto retroterra cinese e russo a nord e a ovest); seguono, come stati canaglia, l’Iran e la Siria.

Questi ultimi due potenzialmente attaccabili in qualsiasi momento: ma, per fortuna, la Siria si disfa in tempo delle armi chimiche (interviene addirittura papa Francesco a calmare gli ardori bellici delle lobbies militari americane, nonché il ruolo da ‘intermediario’ di Putin) e l’Iran di Rohani si dimostra ‘ragionevole’ sulla questione della ricerca atomica e dell’arricchimento dell’uranio.

Ma ora succede che la Turchia, nazione appartenente alla NATO [*], abbatte un caccia russo impegnato nel bombardamento dell’ISIS e della guerriglia anti Assad; e che è oramai sulla bocca di tutti il comportamento a dir poco eterodosso dei Sauditi e del Qatar con troppa evidenza supporter del neonato fronte islamista-sunnita del terrore.

C’è di più: foto satellitari russe individuano collegamenti sistematici tra ISIS e Turchia, vere e proprie piste di scorrimento attraverso il poroso confine turco; confine che non solo non viene ‘sigillato’ (come chiede l’insipiente Obama) ma che vede scorrere in entrata, su colonne di camion, il petrolio proveniente dai pozzi occupati dallo stato-terrorista e in senso inverso, in uscita, un flusso di armi che non ci vuole molta fantasia ad immaginare dirette a chi.

I giornalisti turchi che avevano in mano questo ‘scoop’ o sono stati “sistemati” o devono tacere (rischiano l’ergastolo nelle prigioni turche). E poi c’è il caso dell’avvocato dei curdi ucciso da agenti turchi in borghese alla luce del sole. Si badi bene: ‘questa’ Turchia vuole entrare a far parte della U.E. la quale sta decidendo di stanziare diversi miliardi (3 miliardi) a suo favore per ‘trattenere’ nei campi profughi turchi (si immagini in quali condizioni) le migliaia di sfollati siriani che nessuno vuole più accogliere nella cittadella europea oramai sotto assedio.

Infine, ‘qualcuno’ dà il via alle “operazioni europee”: non solo più quindi i foreign fighters esportati a migliaia dalle banlieues europee verso il regime delle bandiere nere, ma “cellule dormienti” (??) di giovani immigrati di seconda o terza generazione che sparano all’impazzata su chi capita loro a tiro (per ora nella capitale francese, ma, domani, chissà dove …).

Ma chi gli ha fornito i kalashnikov e le granate in uso solo negli eserciti? Bella domanda alla quale, per ora, i servizi segreti europei non ci hanno dato risposta.

Per non parlare del Pentagono che risponde alle prove sugli strani commerci tra Turchia e ISIS illustrate dai generali russi in conferenza stampa … negando l’evidenza: “Ma non diciamo sciocchezze ..quelle lunghe file di camion in entrata/uscita sul confine turco portavano merci varie o, chissà, magari turisti avventurosi…”

E’ per noi evidente – e per tutti quelli che non vogliono chiudere gli occhi e fingere di non capire (come fanno ancora taluni con una vera e propria operazione psicologica di self-deception, cioè di “autoinganno”) – che un altro asse (questo sì un vero “asse del male”) si è oggettivamente costituito in questa seconda decade del secondo millennio. Esso vede fianco a fianco l’ipocrita Impero Americano – che trova in Obama (premio Nobel per la pace?) il suo rappresentante perfetto – la Turchia di Erdogan, l’Arabia Saudita dei Saud, il Qatar e gli Emirati arabi del Golfo, ecc…

Un asse del male, dicevamo, che nel suo insieme costituisce un nuovo e inaudito ‘fronte’ che dovrebbe combattere l’ISIS ma che di fatto lo sostiene.

Con una importante precisazione (che è anche una temibile previsione per il futuro): che in fondo per i falchi americani del Congresso e per quei cosiddetti ‘democratici’ alla Hillary Clinton e alla Barack Obama, il vero nuovo nemico è il vecchio nemico di ‘sempre’: la Russia. Non più “impero sovietico”, ma una Russia nei confronti della quale continua a scattare il vecchio riflesso della “guerra fredda”. Così è stato nel caso della secessione illegale da parte dell’Ucraina (costruita a tavolino dagli strateghi della CIA infiltrati tra gli arancioni; arancioni che poi, quando hanno tolto le tute, hanno evidenziato ‘strani’ tatuaggi nazisti sui tricipiti..) e della conseguente necessità della Russia di difendere la componente slavofila e russofona nella regione del Donbass.

E così è ancora oggi, quando si parla di “nuovo nemico comune” (l’estremismo fondamentalista islamico e non la civiltà dell’Islam, si badi bene!) ma, allo stesso tempo, la NATO [*] chiede al Montenegro di aderire ad una “Alleanza” anti russa (che non ha più nessuna ragione storica di esistere, se non quella di essere la lunga mano militare degli USA fattisi esperti nel costruire finte coalizioni militari di fatto militarmente comandate soltanto da loro…) il doppio gioco americano si rivela in pieno.

La storia ha messo la retromarcia? Ricordiamo a tutti che USA e Russia sono dotate ancora di armi atomiche in grado di distruggere il pianeta, nonostante i vari trattati SALT (Strategic Arms Limitation Talks ) che si sono succeduti negli ultimi decenni.

Dopo la sberla vietnamita gli americani sembravano essersi calmati; d’altronde l’URSS di Bresnev aveva dovuto ritirarsi penosamente dall’Afghanistan; ma la sbornia dell’ 89/91 ha paradossalmente ridato fiato all’antica bellicosità di sempre degli espatriati nel nuovo continente (una ‘nazione’ che nasce con il genocidio dei nativi e poi scatena una guerra civile al suo interno di una durezza e di una distruttività inenarrabili..).

C’è qualcosa che non ci convince nelle patologie dei popoli e, in particolare, di questa fragile, psicotica, grande nazione americana; nazione che certo non si merita né questa governance, né di essere permanentemente ricattata dalle potenti lobbies che la governano ‘de facto’: quella economica delle multinazionali (oggi transnazionali), quella industrial-militare, quella ebraica e infine quella delle bolle finanziarie e speculative che opera a Wall Street (sembrano luoghi comuni anti USA, ma non lo sono).

La decadenza dell’Occidente Europeo

In Occidente sta arrivando il Natale. Anche in Europa..ma quale Europa?

Il consumismo stremato lancia i suoi stentati richiami con quel “ciccione vestito di rosso che viaggia sulla slitta celeste” (Crozza) e con i presepi pieni di artigiani della piccola e media impresa che aspettano i ‘bonus’ da 80 € del governo Renzi; presepi che con la povera Palestina (ma non doveva essere nato lì il bambinello?) non hanno ovviamente nulla a che fare; e chissenefrega dei palestinesi veri, quelli in carne ed ossa.

Quel conta è rilanciare i consumi e il PIL. Poco conta l’insieme di cose incredibili che stanno succedendo là, appena fuori dalla nostra porta. Noi qui abbiamo i nostri “non-luoghi” da frequentare e in cui estraniarci, alienarci e diventare uomini massa sempre più lobotomizzati.

Meglio un super-iper-mercato che una discoteca; non si sa mai, le “cellule dormienti” per ora non li hanno ancora presi di mira…

Una cosa condivido con molta cultura araba. Noi europei non siamo e non possiamo essere il modello di riferimento per nessuno. Noi europei occidentali (ma dove finisce ‘questo’ Occidente? Forse che Ucraina e Turchia, che vogliono entrate in U.E., ne fanno parte?); noi, dicevamo, che nella dea Merce e nel dio Denaro riconosciamo le uniche vere nostre divinità.

La secolarizzazione non ha portato con sé la vera laicizzazione delle menti, ma ha introdotto subdolamente in esse una “reificazione” a 360 gradi. Come bene aveva previsto Marx, con l’avanzare del capitalismo i rapporti tra le persone sono sempre più diventati rapporti tra cose (processo di “reificazione”) e il denaro come il profitto sono diventati il nuovo totem al quale sacrificare le nostre anime. E, così come Hilferding aveva previsto già all’inizio del ‘900, a ciò si aggiunga il processo di “finanziarizzazione dell’economia” con tutti i suoi guasti.

Ma, ahimè, abbiamo svenduto non solo l’anima ma anche l’ambiente in cui viviamo e che ancora (ma fino a quando?) ci “ospita”. E’ dovuto intervenire il Papa con la sua “Laudato Si’”: noi non possiamo fare a meno della Terra, ma lei può tranquillamente fare a meno di noi (ho addirittura il dubbio che ci conti). Riusciranno i nostri eroi a ridurre di qualche infinitesimo grado la temperatura globale?

Decidersi da che parte stare

Mentre non riusciamo a decidere nulla di convincente per l’ambiente, mentre non riusciamo a sciogliere nessuno dei nodi che, come europei, siamo chiamati a sciogliere, abbiamo davanti a noi , davanti alle nostre coste, Daesh/ISIS.

Sono convinto che ci sono momenti della Storia in cui si è chiamati (tutti!) a decidere da che parte stare. Ho prospettato sopra le diverse e strane alleanze di fatto che sono andate costituendosi.

Dovremmo stare con l’asse Russia/Iran/Siria o con l’asse USA/Turchia/Arabia Saudita, ecc..?

O, come europei, dovremmo approntare una nostra strategia militare? Ma con quale esercito europeo che non c’è? La Francia, la Germania e l’Inghilterra che ora partono con i bombardamenti non sono l’Europa; anzi, non possono proprio esserlo. Inoltre sembrano accodarsi militarmente allo stile Obama (bombardamenti e basta, non un uomo sul terreno..; ma quale guerra si è mai vinta così?).

Forse occorre ricordare qualcosa della storia della fine del secondo conflitto mondiale. Forse dovremmo ricordare la storia perché, in fondo, questo nostra persistente subornazione agli USA ha una motivazione psico-antropologica e culturale che andrebbe rivista. E’ in parte vero che noi europei siamo stati liberati dal nazifascismo dall’intervento delle truppe americane a nord (sbarco di Normandia) e a Sud dell’Europa (Sicilia) e che senza il loro contributo chissà per quanto ancora il nazifascismo avrebbe imperato. Ma anche a questo proposito operiamo processi di rimozione sistematica per nulla casuali. Ci dimentichiamo che – ad avviso di molti strateghi militari, anche super partes – senza la riscossa sovietica di Stalingrado e la successiva avanzata dell’Armata Rossa (con centinaia di migliaia di soldati russi lasciati sul terreno .. molti di più dei morti americani) la liberazione non ci sarebbe stata (o non sarebbe stata così relativamente rapida, non consentendo ad Hitler e a Mussolini di riorganizzarsi e di “vendere più cara la pelle”).

La Russia fa in ogni caso parte della nostra storia e della nostra cultura europea. Oltre a leggere J. Steinbeck, o S. Bellow, o H. Miller.. forse che non abbiamo letto Tolstoj e Dostoevskij? E l’arte russa non è parte integrante della cultura artistica europea a tutti i livelli?

Perché allora continuiamo a subire il ricatto della “divisione del mondo in sfere di influenza” (Yalta) quando stiamo parlando di cose accadute oltre 60/70 anni fa, a metà del ‘900?

Siamo prigionieri di una storia letta a senso unico; dobbiamo qualcosa agli americani e dobbiamo molto ai russi. Non dobbiamo più credere alla G.F.S.M. (la “Grande Fabbrica dei Sogni e delle Menzogne”, come ama ricordarci Giulietto Chiesa).

Personalmente non ho dubbi, o meglio: quelli che ho li respingo seguendo la logica del “male minore”: contro l’ISIS scelgo l’asse Russia, Iran e Siria (quest’ultima già morta: non esiste più, ma andrà in qualche modo ricostruita e i suoi abitanti fuggitivi dovranno poter ritornare).

E non accetto l’obiezione secondo la quale “così mi metto con il dittatore Putin”; Putin sarà pure autoritario e populista ma sta riscattando un popolo che ha subito mille umiliazioni per aver avuto il torto di aver fatto, all’inizio del ‘900, una rivoluzione che metteva in discussione l’arbitrio di uno zarismo feudale, decadente e immorale. E in ogni caso io non sto con Putin ma con il popolo russo.

E non voglio assolutamente che gli USA ricreino un ‘status’ globale spaccato nuovamente in due, ma aspirerei ad un mondo multipolare in cui una “nuova ONU” abbia ragione di esistere.

[*] NOTA tratta da Wikipedia:

«L’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (in inglese North Atlantic Treaty Organization, in sigla NATO), è un’organizzazione internazionale per la collaborazione nella difesa. Il trattato istitutivo della NATO, il Patto Atlantico, fu firmato a Washington, D.C. il 4 aprile 1949 ed entrò in vigore il 24 agosto dello stesso anno.

Attualmente, fanno parte della NATO 28 stati del mondo.

Il Patto Atlantico traeva origine dalla percezione che il cosiddetto mondo occidentale (costituito da Stati Uniti d’America, Canada, Regno Unito, Francia, Norvegia, Italia ed altri Paesi dell’Europa occidentale), dopo la seconda guerra mondiale, stesse cominciando ad accusare tensioni nei confronti dell’altro paese vincitore della guerra, ossia l’Unione Sovietica, con i suoi stati satellite.

Ciò generò un movimento di opinione che – anche grazie alle varie attività in tal senso organizzate dagli Stati Uniti d’America – iniziò a svilupparsi in modo generalizzato nei Paesi occidentali e che identificò una nuova assoluta necessità di garantire la sicurezza del mondo occidentale dalla minaccia comunista: la NATO».

E’ evidente che la NATO è “nata” in funzione anti-comunista/anti-sovietica nel secondo dopoguerra (tanto è vero che l’URSS e i paesi dell’Europa orientale in risposta si organizzarono militarmente nel “Patto di Varsavia”) e che – come vorrebbe la logica – doveva essere sciolta dopo l’implosione dell’URSS nel biennio 89/91 in quanto organizzazione che non aveva più ragion d’essere.

Invece non solo ciò non è accaduto, ma la NATO (egemonizzata ovviamente dal complesso industrial-militare degli Stati Uniti) continua a costituire un elemento di squilibrio nel quadro di un possibile futuro “multipolarismo mondiale” e un fattore di blocco oggettivo del rilancio dell’ONU con capacità e forza di intervento militare reale (per interporsi attivamente nel caso di conflitti tra nazioni con funzione di peacekeeping).

Rivoli, dicembre 2015

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