Etiche dell’ambiente. Voci e prospettive – Recensione di Nanni Salio


cop_Matteo Andreozzi (a cura di), Etiche dell'ambienteMatteo Andreozzi (a cura di), Etiche dell’ambiente. Voci e prospettive, Led edizioni, Milano 2015, pp. 432, € 43,00

Il libro è una raccolta di saggi presentati nel Laboratorio Didattico di Etica dell’Ambiente tenuto nell’A.A. 2011-2012 presso l’Università di Milano, rielaborati e arricchiti con i contributi di altri autori. Emerge un quadro assai ricco di tutte le principali scuole di pensiero, rigorosamente declinate al plurale, poiché il dibattito e le ricerche sono in continua evoluzione. È un panorama ben più ricco di quello degli anni 1980, quando iniziai a occuparmi di questa tematica.

Nella prima parte, numerosi autori rispondono alla domanda «perché studiare le etiche dell’ambiente?» ripercorrendo ognuno la propria storia personale che li ha condotti a questa scelta.

Greta Gaard ricorda

«l’ultima delle battaglie familiari all’ora di cena: la conversazione conclusiva che mi avrebbe accordato la libertà alimentare all’età di undici anni, e che mi avrebbe spinta a studiare le etiche dell’ambiente. “E se venissi da te, ti strappassi il braccio, e me lo mangiassi”, dissi, praticamente urlando, a mio padre. “Cosa ne penseresti? Che genere di persona mi renderebbe?” Fortunatamente, restò in silenzio. “Non lo capisci? Non ho intenzione di mangiare Pookie (il nostro bassotto), non ho intenzione di mangiare le tue braccia e le tue gambe, e non ho intenzione di mangiare neanche quelle di nessun altro”. Anche se, ovviamente, all’epoca non la pensavo in questi termini, questa conversazione fu l’inizio ufficiale della mia etica dell’ambiente» (pp. 69-70).

Holmes Roston III rievoca la sua giovinezza in Virginia «[…] non avevo elettricità, prendevo l’acqua da una cisterna all’esterno, zappavo il giardino […]» e ci invita a diventare «persone a tre dimensioni. La vita totalmente urbana (e mondana!) è unidimensionale: si ha bisogno di sperimentare sia l’urbano, sia il rurale, sia il selvaggio, per non perdere questi privilegi» (p. 73).

Nella seconda parte, Umanità e ambiente, Silvia Roberti discute il principio responsabilità di Hans Jonas, che ha portato alla formulazione del principio di precauzione. Non vengono tuttavia presi in considerazione i lavori di Silvio Funtowicz e Jerry Ravetz sulla «scienza postmoderna» e quelli di Nassim Nicholas Taleb sul rischio e la teoria del «cigno nero», che contribuiscono ad avvalorare ulteriormente le tesi di Jonas.

La terza parte affronta il difficile rapporto tra «Animali umani e non-umani», che Matteo Andreozzi e Leonardo Caffo definiscono «uno dei più complessi – e ancora da esplorare – terreni di ricerca in cui la riflessione teorica e le pratiche di vita si intrecciano in un unico e inevitabile sentiero, tutt’altro che privo di difficoltà» (p. 193) A partire dai lavori di Peter Singer, Massimo Filippi esamina criticamente i molti specismi e antispecismi che caratterizzano il dibattito del rapporto uomo-ambiente.

La quarta parte è dedicata al rapporto Società e natura. Silvia Varengo parla di società ecologica a partire dal lavoro di Murray Bookchin, mentre Matteo Andreozzi e Adele Tiengo discutono i diversi approcci degli ecofemminismi. Vengono richiamati i lavori di autrici come Karen J. Warren e Val Plumwood che esaminano il rapporto tra ecofemminismi e vegetarianesimo. In particolare, la Warren sostiene che il «vegetarianesimo morale», nato in occidente, non può essere esteso universalmente, per esempio a società indigene come gli Inuit o altre ancora. È un tema che richiede di essere approfondito sia in chiave antropologica sia alla luce degli sviluppi ulteriori delle società umane ed è un altro esempio dell’incompletezza delle teorie in generale e di quelle etiche in particolare.

La quinta e ultima parte è dedicata al rapporto tra «Ecologia e Wilderness». Matteo Andreozzi e Guido Dalla Casa riprendono i temi dell’ecologia profonda introdotti da Arne Naess e successivamente da George Session e Bill Devall e da una folta schiera di altri importanti studiosi, tra i quali spicca Gary Snyder. Vengono esaminati criticamente sia i presupposti teorici sia gli sviluppi successivi che sovente hanno dato luogo a incomprensioni e valutazioni errate.

Nel saggio successivo, Marco Andreozzi parte dall’«etica della terra» di Aldo Leopold, «un nome che difficilmente uscirà mai dal dibattito delle environmental ethics» (p. 329) e riprende alcuni aspetti del pensiero di Leopold, quanto mai precursori e attuali, evidenziando che non ci si può attendere che un autore illustri tale etica «a tutti sistematizzandola in modo rigoroso, la si deve sviluppare in comunità, anche se in modo sempre sommario (perché la conoscenza non sarà mai completa) e approssimativo (perché l’evoluzione non si ferma mai)» (p. 334). Viene inoltre presentata la «rivisitazione rigorosa» fatta da John Baird Callicott delle diverse obiezioni che sono state mosse alla formulazione proposta da Leopold, in particolare rispetto alle questioni morali su cui essa si fonda. Rispondendo ad alcune delle critiche che gli furono mosse, Leopold osserva: «dato che la natura ha generato almeno una specie capace di comportamento morale, Homo Sapiens, essa non è amorale» (p. 357). È questo un tema di grandissima portata, che dovrebbe essere discusso e ampliato prendendo in considerazione gli studi di «ricerca per la pace», e le teorie della nonviolenza, in particolare secondo la scuola di pensiero sviluppata da Johan Galtung.

Nell’ultimo saggio, Valori selvaggi, Roberto Peverelli ripercorre gli sviluppi della wilderness soprattutto negli Stati Uniti. Sarebbe interessante e utile vedere anche le concezioni di natura selvaggia che si sono sviluppate storicamente sia nelle culture indigene delle diverse aree del mondo, in molti casi ancora presenti, sia in culture millenarie come l’India e la Cina. Un lavoro ancora da fare in termini comparativi.

Una immagine suggestiva e ricca di implicazioni etiche è quella del «fiume della vita», della natura come fonte perenne di vita e al tempo stesso come «gigantesco mattatoio: distruzione incessante, disordine, morte» (p.386). È il flusso continuo di energia neghentropica di origine solare che contrasta la tendenza dei sistemi verso l’entropia e la morte. Si apre così uno squarcio, che andrebbe indagato più a fondo, con l’aiuto delle conoscenze sviluppate nel campo dell’ecologia, del concetto quanto mai controverso di «sviluppo sostenibile».

Le etiche dell’ambiente sono dunque un capitolo fondamentale che richiede un incessante lavoro critico indispensabile per affrontare i grandi temi sui quali si interroga l’umanità.

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