Gaza e l’industria israeliana della violenza – Recensione di Nanni Salio

cop_Enrico Bartolomei, Diana Carminati, Alfredo Tradarti, Gaza e l'industria israeliana della violenzaEnrico Bartolomei, Diana Carminati, Alfredo Tradarti, Gaza e l’industria israeliana della violenza, DeriveApprodi, Roma 2015, pp. 355, € 16,00

Degli 11 capitoli che compongono questo lavoro, 9 contengono la parola violenza nel titolo, declinata nelle tre principali forme individuate da Johan Galtung: violenza diretta, strutturale, culturale.
Per chi segue da tempo la questione Israele-Palestina il quadro complessivo di violenze, sopraffazioni, errori, è ben noto anche se, come sottolinea Anna Derfina Arcostanzo nella postfazione, siamo di fronte a un «imponente impianto disinformativo e mistificatorio con cui l’opinione pubblica occidentale viene informata in merito alla questione israelo-palestinese». Proprio per tentare di contrastare quest’opera di disinformazione di massa, il libro raccoglie una quantità di informazioni impressionanti, che tuttavia creano una sensazione di angoscia mista a rabbia.
Occorre reagire al senso di impotenza che può paralizzare l’azione e guardare anche a tutto ciò che i movimenti di solidarietà internazionale stanno facendo da anni per portare un minimo di sollievo e contrastare, soprattutto con azioni nonviolente, l’oppressione nei confronti della popolazione palestinese, da parte sia dell’IDF sia dei coloni.
È questo un punto essenziale di tutta la questione. La trasformazione nonviolenta del conflitto israelo-palestinese è uno dei banchi di prova più impegnativi per le teorie su cui si basa la cultura della nonviolenza, da Gandhi ai tempi nostri. Sebbene non sia questo il filo conduttore del libro, viene spontaneo porsi in questa prospettiva, di fronte alla «violenza del processo di pace» (cap. 2), ovvero al fallimento degli Accordi di Oslo, ampiamente prevedibili, condotti da negoziatori tutt’altro che imparziali e di fronte alla crescente militarizzazione dello stato israeliano (cap. 7).
Una via d’uscita è quella proposta da tempo da Johan Galtung, dibattuta sia su Haaretz («Ingredients for a True Peace Process») sia nel mondo palestinese («Conflict Theory and the Palestine Problem», Journal of Palestine Studies). La sua proposta si riassume nella formula «1-2-6-20», a partire dall’esperienza che dopo la seconda guerra mondiale ha portato alla costruzione dell’Unione Europea («Israele-Palestina: 1-2-6-20») e che potrebbe sfociare in una analoga Comunità del Medio Oriente.
L’attuale confusa e caotica situazione di tutta questa area non consente certo di fare previsioni attendibili, ma vi sono segnali di una graduale inversione di tendenza su scala internazionale che stanno portando sia al riconoscimento, per quanto sinora puramente formale, dello stato palestinese, sia a una maggiore presa di distanza dal governo israeliano e a una accentuata pressione che proviene anche da settori dello stesso mondo ebraico.

 

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