Gli accordi di pace in Colombia

Johan Galtung

Bogotá, 30 settembre 2015 – Gli accordi di pace in Colombia sono stati firmati una settimana fa con ancora molto lavoro da fare per il prossimo semestre. Il 23 marzo 2016 è la scadenza definitiva.

Però, sono dvvero accordi di pace? O solo assenza di violenza eliminando “quell’altro esercito”, per il monopolio di stato di Weber sulla ultima ratio regis, rafforzando addirittura l’esercito governativo? Un concetto occidentale di pace praticato di recente in Sri Lanka e in Nepal, contro l’LTTE (Tigri per la Liberazione dell’Eelam Tamil) e i maoisti? Non affrontando i problemi che stanno alla base dei conflittii?

E la parola “pace” violata, come “conflitto”, dicendo “post-conflitto”, come se non ci fosse più nulla da risolvere. Le parole sono importanti; le si tratti con attenzione.

In tutta la complessità del conflitto colombiano, il punto focale è su un solo conflitto, fra i contendenti violenti: governo e paramilitari in combattimento con le FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) ed ELN (Ejército de Liberación Nacional) – non (di nuovo?) attivo. La guerra cinquantennale si è volta contro le FARC; ma senza capitolazione, né vittoria, in vista. A un certo punto si è pensato di negoziare una fine alla guerra dissolvendo le FARC in cambio della normalità, con la partecipazione in politica; con un secondo centro d’attenzione sulla giustizia penale per i delitti commessi. Dato il monopolio del governo sulla violenza, si tratta per lo più di delitti FARC, fra cui la presa d’ostaggi e il narcotraffico. E un terzo focus sulle compensazioni alle vittime. Ma come?

Un paese traumatizzato in cerca di una via d’uscita ha battuto il percorso della [Commisssione per la] Verità e la Riconciliazione sudafricana (TRC), con Frederik de Klerk come guida importata. Il risultato è un complesso sistema chiamato “giustizia transizionale” d’impunità in cambio di una completa confessione dei crimini. E intensamente contrastata da coloro che vogliono una punizione da “giustizia criminale”. C’è molto di bello in questo modello. Il paese è stato colpito da una disgrazia, di cui siamo tutti vittime in un modo o in un altro. Lavorare assieme, riparare il danno, compensare le vittime, per un nuovo inizio. Il discorso invocato quando si è colpiti da disastri naturali, essendo inutile prendersela con la natura. Tuttavia, la Colombia è colpita da un complesso disastro sociale, e si può fare qualcosa. La situazione colombiana non è così disperata.

Ma i discorsi su violenza e crimine sono insufficienti; bisogna aggiungere un discorso d’identificazione dei conflitti irrisolti sottostanti. Che incombono minacciosi come l’elefante nel negozio delle porcellane: disuguaglianza flagrante, sofferenza massiccia nei ceti inferiori. Questione di classe con sfruttamento razziale in un paese con il 49% di meticci, 37% di bianchi, 10.5% di origine africana e il 3.4% d’indigeni. Questi ultimi erano il 100% prima della brutale conquista.

L’attenzione su una giustizia transizionale anziché penale maschera la giustizia sociale.

Sono stati commessi tre grossi errori intellettual-politici:

1 Conciliazione dei traumi senza una soluzione al conflitto vuol dire pacificazione;

2 Ignorare la causa prima: il conflitto strutturale sottostante;

3 L’approccio è solo negativo, ci si focalizzi anche su quanto fa di buono la Colombia.

In SudAfrica, il modello usato, la causa originaria, il conflitto soggiacente sulla razza e la democrazia, era stato risolto con una-persona-un-voto. Quanto restava era la conciliazione, senza bisogno di pacificare chicchessia.

In Colombia, il conflitto di classe e razza non è stato risolto. La distanza sociale rende l’Altro un oggetto da uccidere o manipolare, non un socio nella ricerca di dialoghi per la pace. Inoltre: la sofferenza nei ceti sociali più bassi è intollerabile; non da tollerarsi da parte d’altri.

L’attenzione centrale su delitti, vittime, persone sparite, è comprensibile, ma lo è anche sulle enormi parti della Colombia che fanno bene. Come? Provate a immaginare: con meno miseria. Ma miseria comporta apatia più che aggressione. Il livello intermedio è il più aggressivo; verso l’alto, verso il basso.

Prognosi

l’accordo Governo-FARC – gli uni e gli altri bianchi – può funzionare; ma i conflitti da ingiustizia sociale trascurati possono esplodere di fronte a entrambi. Data la cultura di violenza –conquistadores-poteri di fatto-oligarchi – è più probabile che l’esplosione sia violenta piuttosto che non. L’acronimo non sarà FARC. Le armi possono essere più forti; i narco-contrabbandieri sanno come.

Alle FARC verrà dato accesso alle pratiche politiche costituzionali consuete in una democrazia. Eppure, quella democrazia finora non s’è davvero occupata dei problemi. Le FARC, considerate da molti criminali, e traditori da qualcuno, non saranno quasi in grado di cambiare questo stato di cose. Ci vuole un’azione diretta e rapida.

Terapia

Per alleviare la sofferenza e ridurre la disuguaglianza si debbono migliorare le condizioni dei ceti sociali più bassi. Si cominci: dei 32 dipartimenti [territoriali] si selezionino i 3 più miserabili per vita media e inoltre i 3 meno violenti; dei 1.119 comuni si scelga il 10% più miserabile e il 10% meno violento.

Per i più miserabili ci si concentri su alimenti-acqua-vestiti-alloggio-sanità-istruzione. Si faccia credito alle cooperative per i bisogni fondamentali con punti vendita diffusi, si dia dignità ai più miserabilii con l’auto-elevazione, ripagandoli, con l’ingresso in una società normale. E si imiti la natura, con una agricoltura pluri-colturale con acqua-coltura. Si usi come modello Marinaleda in Spagna: espropriando la terra inutilizzata [conferendola] a un comune con la capacità di far funzionare cooperative con persone che guadagnano secondo il numero di ore effettuate. I risultati sono stati buoni e comprendono alloggi a basso costo e scuola d’infanzia.

Dai meno violenti s’impari perché e come, li si valorizzi premiandoli, si creino zone di pace, si chieda loro di adottare qualcuno, di aiutare i più miserabili. E non si cerchi di corrompere i più violenti con vantaggi economici.

Ma questo non equivale ad ammettere che le FARC avevano ragione? No, la loro violenza è stata sbagliata e controproducente. Anche il loro modello era sbagliato, una Unione Sovietica comunista, crollata sin dal 1989. Ciononostante la loro identificazione nei primi tempi con gli sfruttati e sofferenti era giusta.

In El Tiempo del 28 settembre 2015, Enrique Santos, fratello del presidente, afferma:

“Pensavamo che le FARC fossero così abbacchiate e demoralizzate che sarebbero state pronte a un rapido accordo. Niente affatto. Erano dei coriacei. E Timochenko (il capo FARC): cortese, intelligente, loquace“.

Una vera conciliazione, essendo anche orientata al futuro, è cooperativa. Potrebbe esserci una base per una cooperazione nonviolenta governo-FARC con lavoro per la gente, che renda la Colombia un esempio per il mondo?

Narcotraffico? Compito per la CELAC (Comunità degli Stati Latin-Americani e Caraibici), che negozi con l’Anglo-America.

Il ruolo di Cuba? Santos: Sicurezza garantita, confidenzialità.

Il ruolo della Norvegia? Garantire la legittimità? Guardiamo gli Accordi di Oslo del 1993-94 ora cancellati come privi di valore dalla Palestina, data la situazione di Gaza; la catastrofe in Sri Lanka con la Norvegia come “facilitatore”. Troppo Occidente.

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5 ottobre 2015

Titolo originale: The Colombia Peace Accords

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


 

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