CIAK… si gira! – Stefania Macchiafava

Da aprile a giugno ho partecipato insieme ad altre volontarie del gruppo di educazione alla pace ad una formazione sul tema dell’intercultura all’interno di “Progetti per una scuola inclusiva” con i ragazzi dell’Istituto Lagrange di Torino.

In linea con i principi del Sereno Regis e in particolare del gruppo, abbiamo proposto una serie di attività che permettessero di riflettere su temi quali identità, comunicazione tra persone di culture diverse, rispetto dell’Altro e dei suoi bisogni e visione del conflitto come opportunità di scambio e arricchimento personale. Tutto ciò attraverso metodi di educazione non formale.

Il percorso di formazione prevedeva un incontro di approfondimento e riflessione sul tema dell’intercultura, due incontri di scrittura creativa, due di teatro e due di videomaking, con l’obbiettivo di realizzare un corto sul tema da diffondere on-line e da far vedere a tutta la scuola nel giorno della festa di fine anno scolastico.

Durante il primo incontro, gestito dal gruppo di educazione alla pace, i ragazzi hanno svolto tre tipi di attività.

Nella prima abbiamo chiesto loro di immaginare che la stanza fosse il nostro pianeta e di posizionarsi in un primo momento nel luogo in cui sono nati, in un secondo momento nel luogo a cui si sentono di appartenere e in un terzo momento nel luogo in cui piacerebbe loro vivere in futuro. Talvolta i posti combaciavano e talvolta no. Questo semplice gioco è stato utile per far capire come l’identità sia un concetto flessibile e che si può essere nati in un posto ma non sentirlo come proprio. Ognuno può decidere di avere l’identità che preferisce dal momento che è una costruzione che cambia nel tempo. Il fatto di appartenere per nascita ad un luogo non dipende dalla persona, che è libera di scegliere la propria appartenenza.

Nella seconda attività abbiamo dato ad ogni ragazzo un foglio con su scritto un personaggio fittizio in cui avrebbero dovuto immedesimarsi (una badante di origine rumena, una domestica di origine filippina, un rifugiato polito, un senzatetto, il figlio di un politico o di un banchiere ecc. ecc.). Successivamente in base alle nostre domande (es. puoi avere assistenza sanitaria? Puoi andare in vacanza quando vuoi? Vivi in una casa? Puoi sposarti con chi desideri? Ecc. ecc.) dovevano scegliere se fare o meno dei passi avanti. Alla fine del gioco c’era una notevole differenza tra le diverse persone. Chiedendo ai ragazzi cosa avessero provato, coloro che si trovavano nelle ultime file dicevano di sentire un senso di impotenza e di non avere alcuna speranza, coloro che avevano progredito non dicevano di aver provato una sensazione di piacere o soddisfazione, bensì di colpa e di ingiustizia verso coloro che non riuscivano a raggiungerli. Ci siamo chiesti se le persone che davvero si trovano nella stessa condizione all’interno della nostra società provino realmente questa solidarietà verso gli ultimi. Inoltre abbiamo riflettuto sul fatto che l’appartenere ad un certo strato della società spesso non dipenda dalla persona poiché non tutti hanno le stesse opportunità e talvolta certe scelte sono obbligate.

Nella terza attività i ragazzi, seduti in cerchio, dovevano disegnare un sole e scrivere nei raggi ciò che li rappresentasse. Il loro carattere, i loro interessi, i loro hobby, il loro credo ecc. ecc. tutto ciò che formasse la loro identità. Al termine dell’attività alcuni di loro hanno letto il foglio ed hanno notato come avessero moltissime cose in comune nonostante fossero nati in paesi molto diversi tra loro.

Trovare delle vicinanze è uno dei primi passi passi per vedere l’Altro non così diverso. Siamo tutti esseri umani e proviamo tutti certe gioie e difficoltà. Tutti abbiamo diritto ad avere le stesse opportunità e lo stesso rispetto. Ciò che è diverso da me può solo essermi d’aiuto per crescere ed essere una persona migliore. Mi mette in discussione, mi fa ragionare, mi fa vedere le cose da un altro punto di vista e mi permette di agire di conseguenza. Non guardiamo alla differenza come vincolo o come invasione del nostro modo di essere, guardiamo alla differenza come una ricchezza, come fonte di apprendimento e di forza. Se si lascia spazio alla fiducia e alla voglia di ascoltare e imparare si fanno delle esperienze meravigliose e si trasformano gli scontri in incontri.

Alla fine del percorso ogni classe ha realizzato un corto. Il fatto di esprimersi attraverso l’arte è stimolante per i ragazzi perché si mettono in gioco in modo piacevole. Acquisiscono delle conoscenze e delle abilità, come apprendere tecniche di scrittura o di recitazione o imparare ad usare una cinepresa. Inoltre il mezzo artistico è facilmente diffondibile, soprattutto attraverso il web che, se usato come una risorsa, può mandare messaggi positivi.

Uno dei due video realizzati si intitola “Divisi da una panchina”. La protagonista è Irin, una ragazza dalla pelle scura cresciuta in Italia. Mentre è seduta su una panchina in un parco vicino scuola ascoltando la musica e leggendo un libro viene presa di mira da un gruppo di ragazze e subisce un atto di discriminazione. E’ la realtà o un sogno? Questo per spiegare come la violenza la si porti anche a casa, anche nei momenti della vita in cui si dovrebbe essere al sicuro e senza preoccupazioni, soprattutto in età adolescenziale.

Il secondo video si intitola “Uguali e diversi”. I protagonisti sono Paolo e Fatima, due compagni di classe. Fatima viene presa in giro dai compagni di scuola perché porta il velo e spera che Paolo la difenda per via della loro amicizia. Cosa farà Paolo, asseconderà i suoi amici o difenderà Fatima? Con questo episodio si vuole trasmette il fatto che l’indifferenza non porti da nessuna parte e che bisogna avere il coraggio di trasmettere agli altri ciò che pensiamo. La volontà di conoscere le persone, aldilà delle loro abitudini così diverse dalle nostre, porta alla creazione di legami sinceri e profondi come quello di Paolo e Fatima.

L’ultima parte del progetto era la valutazione dei ragazzi sul percorso attraverso un gioco. I resoconti sono stati piuttosto positivi. Molti hanno detto di aver pensato a delle cose su cui non si erano mai interrogati prima, mentre altri dicevano di essere già abbastanza consapevoli di ciò su cui abbiamo lavorato e che per loro è scontato ragionare in questo modo.

Concludo allora con la speranza che le nuove generazioni, molto più abituate a vivere in una società multiculturale e ad avere esperienze interculturali possano effettuare veramente dei cambiamenti.

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