Guerra civile siriana: la testimonianza straziante di una vittima di cinque anni di questa guerra senza fine – Robert Fisk

L’unica cosa che  strappa il cuore quanto  il sorriso di Sahar Qanbar, è la sua storia. Semplice e terribile lascia, chiunque vada in visita nella casa di sua nonna, con una domanda insondabile: quanto può capire una bambina di 5 anni quando dice, parlando di suo fratello Hashem e di sua   madre Asma, letteralmente: “Hashem è diventato un martire.  Mamma è stata ferita. Entrambi sono diventati martiri.

/nas/wp/www/cluster 41326/cssr/wp content/uploads/2015/06/Sahar Nelofer Pazira v2 1

“Martirio” è una parola che gli arabi usano per i morti,  senza ostentazione. In occidente, potremmo dire che i nostri cari “hanno perso la vita”. Ma Sahar, che tiene in mano il quadernino con i suoi disegni di fiori, di alberi e di farfalle – sì,  e di fucili – comprende realmente la fine della vita della sua famiglia? La tragedia di Sahar Qanbar inizia e finisce nell’ordinaria città siriana di Jisr al-Shugour sul fiume Oronte, ai margini della Provincia di Idlib, che è quasi completamente perduta  per il governo siriano di Bashar al-Assad. Meno di due mesi fa un esercito di combattenti islamisti  ha circondato i suoi abitanti  e centinaia di soldati del regime. Soltanto ora che  pochi     civili e soldati intrappolati sono riusciti a salvarsi dietro nuove linee militari, il governo di Assad sta rivelando la portata della sofferenza che la sua gente ha patito durante un attacco dei ribelli così brutale quanto quello dei combattenti islamisti contro le truppe irachene a Ramadi pochi giorni dopo.

Al contrario di Ramadi, in Iraq, tuttavia, i soldati dell’esercito siriano hanno combattuto – e in molti casi sono morti, insieme a molti civili, compresa Asma,  la madre trentenne di Sahar Qanbar, e Hashem, il  fratellino di 10 anni.

Le loro morti, per ora, devono rimanere ufficialmente non dimostrate, insieme al destino di forse altri 300 civili e soldati, la maggior parte dei quali musulmani Sunniti – la stessa fede dei loro uccisori. Tra di loro c’erano degli Alauiti – la stessa setta del presidente siriano – alcuni già cacciati da un villaggio ai margini di Jisr al-Shugour. I soldati, però, venivano da tutta la Siria, comprese le città inserite all’interno del cosiddetto Stato islamico che ora minaccia sia la Siria che l’Iraq. La storia di Sahar deve perciò iniziare con l’unica parente adulta che possa parlare con autorità dei giorni in cui un’alleanza di Islamisti che si definiscono lo “Esercito di Conquista”, era avanzato minacciosamente verso la città nelle mani del governo, di fianco al fiume Oronte dell’antichità.

La nonna di Sahar, Asia Marai, ricorda lentamente e attentamente la telefonata che aveva ricevuto da sua figlia Asma, insegnante nella scuola governativa della città.

Per tutto il tempo, Sahar, vestita con una maglietta di un rosso vivace, con “Bretty” (Pretty) stampato sul davanti in inglese – in arabo la lettera “p” non esiste – sorride e guarda  il suo libro di disegni, accigliandosi leggermente per gli stranieri che sono comparsi nella sua piccola vita improvvisamente, brevemente e con invadenza imperdonabile.
“Mia figlia mi ha telefonato e mi ha detto che vedeva tutta la gente  lasciare Jisr al-Shugour,” ha detto Asia Marai. “Mi ha chiesto: ‘Che devo fare?’ e lo ho detto: ‘Segui gli altri’. Le  ho chiesto dove andavano e Asam mi ha detto: ‘All’ ospedale’ e le ho detto di andare lì. Le ho chiesto di chiamarmi quando arrivava in ospedale. Non ho sentito nulla per 5 giorni, e poi mi ha chiamato di nuovo. Mi ha detto che uno dei soldati le aveva prestato il suo telefono.

“Avevamo poco tempo per fare una vera conversazione. Tutto quello che ho fatto è stato di rassicurarla: “Non preoccuparti, figlia mia, starai bene, certamente, riusciranno a risolvere la situazione.”

Tutte le guerre civili hanno i loro misteri, e Asia Marai era a disagio quando le ho chiesto di suo genero. Sua figlia e il marito – il padre di Sahar e Hashem – erano separati, ha fatto capire.

In seguito avrei sentito la notizia che il genero di Asia era morto all’inizio della guerra siriana, che era un impiegato governativo, ucciso da un parente che appoggiava i ribelli. C’è stata anche una voce crudele secondo la quale l’uomo simpatizzava con l’opposizione e che questo aveva provocato una frattura nella famiglia. In ogni caso, Asma era da sola in ospedale con Sahar e Hashem.

Per 35 giorni, sotto attacchi continui, sono rimasti con centinaia di altri civili e soldati nel complesso medico, un ospedale civile che comprendeva anche un’ala per i soldati feriti in guerra. Il cibo per loro veniva lasciato cadere dagli elicotteri dell’esercito. “Ho ricevuto un’altra telefonata da Asma e la nostra conversazione è stata uguale all’altra,” dice Asia Marai. “Avevamo poco tempo. Ho cercato di rassicurarla. Poi, quasi due settimane fa, ho sentito alla televisione che i ribelli avevano fatto incursione in ospedale.”

Un piano del governo siriano di sfondare le linee dei ribelli per salvare le persone intrappolate sotto l’ospedale, si è dovuto abbandonare quando gli ufficiali dell’esercito hanno saputo che i ribelli avevano scavato un tunnel sotto l’ospedale e che stavano per farlo saltare in aria con gli esplosivi.

Ai soldati che erano dentro è stato ordinato di scappare per proteggere i civili che fuggivano con loro. Ad Asia Marai hanno detto che i superstiti li stavano portando all’ospedale militare di Latakia (città portuale al confine con la Turchia, n.d.t.) e ha aspettato lì notizie di sua figlia e dei suoi nipoti.

“Poi ho visto la mia Sahar con uno dei soldati e mi sono precipitata da lei,  e gli ho chiesto di darmela e me la hanno messa in braccio. Il soldato mi ha detto che Asma e Hashem erano insieme quando erano scappati dall’ospedale e che lui era con loro. I ribelli sparavano a  tutti e il soldato mi ha detto che aveva detto ad Asma che avrebbe trasportato Sahar. Ha aggiunto che Hashem era ferito  e che era caduto e che mia figlia era caduta sopra di lui per proteggerlo, ma che non era potuto tornare  indietro a cercarli, ma lui teneva stretta Sahar.”

Asia Marai conosce il nome del soldato: Bassil Hammoud – e sa che è stato ferito a una gamba e aggiunge che  ha tentato di rimettersi in contatto con lui e di dargli dei regali perché aveva salvato la vita a Sahar. Però non è più riuscita a trovarlo. Questo è tutto ciò che ha saputo del destino della sua famiglia.

Sembrava una cosa perversa da fare, forse, chiedere a una bambina così piccola  e fragile di parlarmi delle sue esperienze, ma tutto quello che Sahar ci ha potuto raccontare era, naturalmente, una storia infantile. “Abbiamo lasciato l’ospedale, io tenevo la mano di mamma, e il soldato mi ha preso su e siamo scappati. Hashem è diventato un martire. Mamma è stata ferita. Entrambi sono diventati martiri.”

Asia Marai dice che il soldato le ha raccontato la stessa storia. “Ho chiesto all’ospedale se avevano qualche registro di corpi delle persone morte,” ha detto Asia. ”Hanno detto che non ne avevano.”

Sahar mostrava con orgoglio  i suoi disegni sul quadernino che la nonna le aveva dato dopo che era arrivata nella casa di famiglia al centro di Latakia.  E’ un appartamento    ammobiliato, con una copia del Corano esposta bene in vista  su un tavolo e un disegno su stoffa  in falso stile Regency sulla parete del salotto. Il quadernino di Sahar conteneva schizzi fatti con una penna biro,  di alberi e di una casa e di farfalle e di una donna,  e varie pagine con immagini di armi a forma di triangolo, una di loro  che lanciava grossi globi in cielo. Sahar ha detto che non sapeva chi fosse la donna nel disegno, ma aveva scritto i nomi Hashem e Sahar in arabo su una delle pagine, su alcune delle  quali  c’erano delle tabelline di numeri.

Ha detto che non ricordava che cosa aveva mangiato all’ospedale e neanche quanto tempo c’era stata -35 giorni – ma che c’era tanto rumore. Voleva completare gli esami di fine d’anno a scuola – faceva la prima elementare – e ha detto che ora giocava tutto il giorno a casa della nonna, ma che tutti i suoi amici li aveva lasciati a Jisr al-Shugour.

Quando le abbiamo parlato, è arrivato un ufficiale dell’esercito che ha consigliato ad Asia Marai di considerare di andare anche lei a Jisr al-Shugour, che, poiché aveva 60 anni, non le avrebbero fatto del male e che forse avrebbe potuto trovare Hashem.

La bambina non sentiva questa conversazione e voltava le pagine del suo quadernino, perduta nel suo mondo. “Voglio tenerla qui e prendermi cura di lei,” ha detto Asia Marai. “Voglio educarla. E’ l’unica cosa che mi è rimasta dell’anima di mia figlia.”

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org

Fonte: http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/syria-civil-war-the-harrowing-testament-of-a-fiveyearold-victim
Originale : The Independent Traduzione di Maria Chiara Starace

2 giugno 2015
http://znetitaly.altervista.org/art/17619

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