La libertà di informazione tra pace e guerra

giovedì 18 giugno 2015
Palazzo Cisterna, Sala consiglieri, Via Maria Vittoria 12 – Torino

ore 15.00: Stephen Holmes: I diritti in tempo di guerra
ore 17.00: seminario: La libertà di informazione tra pace e guerra. Introduce Nanni Salio

/nas/wp/www/cluster 41326/cssr/wp content/uploads/2015/05/logo Scuola buona politica

 

Scuola per la Buona Politica di Torino – Guerre di civiltà o civiltà della guerra?

Semestre didattico 2015

All’indomani del secondo conflitto mondiale, l’istituzione dell’ONU e la previsione, in molte costituzioni coeve, del rifiuto della guerra come “strumento per la risoluzione delle controversie internazionali”, sono state salutate come un promettente “nuovo inizio”. Per la prima volta veniva istituito, con il consenso di un numero via via crescente di Stati, un potere “terzo”, con l’obiettivo di perseguire la pace, salvando “le future generazioni dal flagello della guerra”. A distanza di poco più di mezzo secolo, l’utopia del pacifismo giuridico sembra avere esaurito la sua forza propulsiva.
Dopo la parentesi della guerra fredda, gli eserciti sono tornati a scontrarsi in Europa: ieri in Kossovo, oggi in Ucraina. In Siria e in Iraq avanzano le milizie dell’Isis. E l’Occidente sembra non saper rispondere in altro modo che lanciando l’ennesima “guerra di civiltà” e promuovendo il riarmo.
D’altronde, alla riabilitazione della guerra come strumento legittimo di risoluzione delle controversie internazionali ha contribuito ampiamente la stessa ONU – la cui “ragione sociale” consisterebbe nel perseguire la pace – da quando ha iniziato ad autorizzare, o a intraprendere in proprio, guerre “umanitarie”, “etiche”, “per i diritti” o “contro il terrorismo”.
Per riflettere su questi scenari inquietanti la Scuola per la buona politica di Torino, giunta al suo ottavo anno di vita, ha deciso di dedicare il semestre didattico gennaio-giugno 2015 al tema: “Guerre di civiltà o civiltà della guerra?”. Intendiamo per un verso offrire strumenti per capire che cosa sta succedendo in alcune aree calde del mondo, come l’Ucraina, l’Iraq, la Siria, ma anche l’Africa, continente che i media ricordano solo quando sbarcano profughi sulle nostre coste. Ci proponiamo, per altro verso, di aprire una riflessione di più ampio respiro sul rapporto tra politica e violenza. Il progetto di abolire la guerra, disarmando gli Stati e affidando il monopolio della forza legittima a istituzioni super partes, è destinato a fallire? Che cosa possono fare la politica (e la diplomazia) per prevenire e scongiurare il ricorso alle armi? Quale contributo possono offrire i comuni cittadini e i movimenti della società civile?

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